• capitolo due - follia
In quei mesi a Roma aveva iniziato ad apprezzare le lunghe distese verdi del terreno, le colline delle campagne.
Amava andarci al tramonto e perdersi nel cielo notturno ad osservare colei che la vegliava da lunghi sedici anni: la Luna.
Anche la notte prima del suo compleanno ella si recò al solito luogo; alberi attorno al colle, la frescura di Luglio che le addolciva il viso e il rimorso delle morti che si portava sul dorso come pugnale nel cuore.
Ogni notte vedeva nel pallido volto sovrastante la persona che più aveva fatto soffrire, sebbene fosse l'ultima cosa che desiderasse: James Black.
Il suo cuore era ancora macchiato dalla sua morte e i sogni erano invasi dal suo ultimo bacio acido, al retrogusto di sangue.
Con quell'immagine sullo specchio atmosferico, scattò la mezzanotte ed entrò ufficialmente nel tunnel dei sedicenni. Almeno ci era arrivata.
Era tormentata da Kai, uno dei componenti della setta predicante Kezial, i custodi delle chiavi, che poteva sapere tutto sulla sua profezia.
Unico ostacolo, forse il più dolce di tutti, era proprio Jonn; egli non era a conoscenza di quell'incontro al bar e non doveva saperlo.
Il giovane avrebbe fatto pazzie per uccidere i membri della più grande congrega, coloro che pur di rendere felice il proprio padrone ucciderebbero. Il motivo per cui non potevano accedere alla Città del Vaticano.
Non uella notte, aveva l'impressione che la sua ora stesse arrivando.
Un sussurro proveniente da lontano, calde parole, la fece rabbrividire:
"Angeli e diavoli s'incontrano in notte fonda"
Il timbro di voce sembrava infantile, di un bambino undicenne.
"Vattene!" urlò Rose, sentendo il cuore battere a mille, ogni pulsazione sempre più pesante.
La gola si strinse in un nodo, quelli che non si riesce a slacciare.
"Perché hai paura di me? Mi hai conosciuto in vita, fino alla morte"
Chiuse gli occhi; era solo un brutto scherzo del sonno.
La stanchezza le aveva portato allucinazioni.
Sembrava di vivere in un film del Canto di Natale: la voce era il suo Marley, ma lei stessa l'aveva ucciso...
"Basta! Fatti vedere"
Intrappolò nelle sue dita la bacchetta, no che fosse indispensabile per la sua magia.
"Dai, piccola Rose, non agitarti. Ogni tuo desiderio è ordine"
Egli comparve: abiti sporchi, rozzi, viso ricoperto di cenere. Gli occhi scuri puntati su essa, brillanti alla luce dei lampioni del quartiere romano.
Nelle mani stringeva un quadernino, un diario.
"Non sei tanto diverso da Lord Voldemort, anche tu dai troppa fiducia a pezzi di carta. Possono bruciare, come le persone"
"Tu ne sai qualcosa, Chuck!"
Urlargli contro il suo nome, perdere il controllo per un diario che teneva tra le dite, le fece emergere dal profondo la parte più oscura di sé.
"I morti stanno ridendo di te. Un angelo che non può entrare al Vaticano poiché è immerso nel suo lago di sangue, plasma appartenente a qualcun'altro. Sei tormentata, piccola Rose"
"Sei giunto tu alla morte, io sono stata solo il mandante. Non avevi il coraggio di suicidarti"
Dalle sue mani emerse un pugnale nero fatto di fiamme nere; un tocco e il decesso era assicurato.
Da tempo che lavorava su quell'arma: il pugnale dannato.
"Non volevo morire! Come avrei potuto lasciare Andrew, la persona che amavo. Mi hai strappato dalle sue braccia per un misero quaderno" sbottò il giovane con le lacrime di rabbia che rigavano il volto.
Gettò il diario ai piedi della ragazza, che lo raccolse e lo strinse.
Aprì l'ultima pagina, l'unica dove c'era traccia d'inchiostro:
< Sogno 1:
Una donna mi ha detto che sono speciale e ha aperto le ali
2013>
"Sei nostalgica dei vecchi tempi? Povera Rose, i sogni ti hanno portato alla pazzia. Sfoglia le pagine precedenti, i pastelli bianchi sono facili da ricalcare"
Rose cedette all'impulso di veder colare il suo sangue ai suoi piedi.
Un'inappagabile desiderio di morte la portò a conficcare quel pugnale fiammeggiante nel cuore della giovane illusione.
Una, due, tre, quattro coltellate...
La furia della pazzia colpiva, ma Chuck non moriva.
"Stupida, io sono già morto. Come lo spiegherai ai familiari della bella Alessandra?"
"C-cosa?"
L'immagine di una delle sue prime vittime scomparve, e l'insaguinato corpo di una giovane italiana.
"No, no, no" sussurrò premendo sul petto sporco.
Possibile che non aveva udito nemmeno le urla? Cosa stava accadendo alla sua mente?
"Scusa"
Rose, asciugando la lacrima versata, si alzò dal defunto e corse verso casa.
Chuck è morto...
Chuck è morto...
Chuck è morto... o no?
Le gambe dolevano dalla corsa, ogni passo divenne più pesante.
Arrivò al palazzo cadente, in un quartiere non ben nominato.
Unico pregio? Gli affitti erano molto economici e i due coinquilini pensavano al risparmio, no alla bellezza del luogo. Quanto alla sicurezza, erano pur sempre maghi.
Aprì il portone di ferro ossidato, stando attenta a non poggiare i palmi sulla maniglia.
"Aholomora" scagliò l'incantesimo anche sulla porta di casa, legno scuro su cui era scritto un'etichetta:
Hayley Smith
Jeremy Salazar
Ogni volta sorrideva quando la vedeva; Jonn aveva forgiato personalmente i nomi su quell'acciaio ricoperto del color oro.
Attraversò lo stretto corridoio dalle pareti giallastre e si recò nel salotto, unico ambiente con la cucina.
"Jonn, ho bisogno di una ma-"
Le parole le morirono in gola quando vide una figura femminile, dai lunghi capelli rossi come le sue labbra, passargli una mano sul suo petto.
Egli rideva, era apparentemente felice.
La donna si voltò verso di lei...
Dameta, uno dei maggiori componenti della congrega dell'Angelo.
"Lo vedi? Lui non ti ama più, ti ha abbandonata. Anche da morta, per colpa tua, mi desidera. Oh, sento il suo battito accelerato"
La sua voce sensuale le dava ai nervi e ciò scatenò nuovamente la follia.
"Sta' zitta" urlò, spaventando Jonn e la stessa Dameta.
"Stupeficium"
Colpì la ragazza nel basso ventre, godendo alla vista del suo abito rossastro rovinato.
Sbattè le palpebre e, una volta aperti gli occhi, si ritrovò la stessa scena di prima: aveva quasi ucciso un'altra donna, no Dameta.
"Rose! Perchè l'hai fatto!" esclamò Jonn con gli occhi acquosi, poggiato sulla ferita della ragazza, una vicina di casa.
Ella era Camille, una giovane del Trentino migrata nella capitale per gli studi universitari, dai folti capelli neri come una notte cupa e tempestosa, che stava per giungere alla morte per errore.
"Jeremy!" sibilò lei, cercando inutilmente di arrestare l'emorragia. Un taglio profondo, ripugnante, aleggiava sul ventre dalla pelle d'oca.
"
Allora, adesso vedrai cose che non dovresti vedere"
Estrasse la bacchetta dai jeans e ricucì la ferita, sotto gli occhi neri sbarrati di Camille e col sottofondo di sussurri di Rose, seduta per terra e chiusa a riccio.
"Jeremy, ma c-"
"Imperio!" esclamò Jonn, conducendo la vicina all'ingresso e convincendola che non fosse accaduto nulla.
"Rose, cosa ti è venuto in mente!"
Sembrava impazzita, in preda a una crisi isterica: gli occhi rossi sbarrati nel vuoto, viso pallido e labbra secche.
Il suo corpo era in continuo tremolio, come un treno sui binari.
"Era Dameta, l'ho vista, è inutile che provi a distrarmi. La verità è questa: i morti non sono davvero morti"
Jonn era incredulo, la credeva pazza e ossessionata dal male, anche durante il giorno del suo compleanno.
"Rose è una menzogna"
"Non lo è!" urlò isterica, alzandosi dal pavimento e portando Jonn alla parete opposta, nella quale gli puntò la bacchetta nella gola.
In quell'istante sentì un fuoco ardere sulla sua pelle, bruciare fino ai muscoli.
Vide Jonn mordersi il labbro, guardarla negli occhi e spostare la bacchetta.
"Credi che non ti uccida perché fai gli occhi dolci?" disse Rose.
Cercava di allontanare quel sentimento, contrastare l'amore che provava.
Doveva farsi odiare.
"Credi che non ti uccida perché sento il tuo cuoricino battere forte?"
Jonn strinse le sue spalle e le portò al gelido muro; il cuore batteva velocemente, il respiro mancava.
Sentiva le dita spingere nelle carni, il rossore del tocco spargersi sul corpo.
Avvicinò le labbra all'orecchio e vi sussurrò, col respiro che la fece tremare:
"Non mi ucciderai perché il mio sussurro ti fa rabbrividire"
Portò le labbra sul collo.
Le posò un tenero bacio, e poi un altro...
Scivolò le dita sui fianchi, accarezzando la pelle molto delicatamente.
"Non mi ucciderai perché il mio tocco ti fa impazzire"
Jonn proseguì il corpo della ragazza fino al viso.
Lo studiò per pochi minuti; passò un dito sulla labbra, poi sulle guance ancora umide di pianto.
"Non mi ucciderai perché non lo farò io, almeno stanotte"
Un'esplosione di emozioni illuminò la stanza, un bacio fugace diede vita alla passione.
I loro corpi erano un tutt'uno.
Ciò che Rose provava ad allontanare era sempre accanto...
L'amore per Jonn era l'unica cosa umana che le restasse, l'unica forza che potesse piantarla al terreno e non lasciarla andare nei cieli angelici.
-
Sul divano vecchio e rozzo, ella era poggiata sul suo petto nudo, cosa che aveva sempre amato.
Jonn le passava le dita tra i capelli, guardando i dettagli del volto stanco come se fosse un'opera marmorea.
Non sapeva cosa lo spingeva a provare quell'emozione talmente forte, come se fosse legato a lei.
"Qualunque sia il veleno che mi renda fortemente innamorato di te, spero che non abbia cura"
"Io credo che questo veleno sia troppo dannoso. Porta solo dolore, per entrambi" disse Rose, colpendosi da sola nel profondo.
Stava provando a lasciarlo andare via.
"Cosa?" rispose dubbioso Jonn, alzandosi dal divano e raccogliendo dal pavimento i suoi pantaloni.
Porse alla ragazza la sua maglietta; credeva che si sentisse in imbarazzo a discutere in intimo...
Ella indossò l'indumento: agli occhi di Jonn, con quei capelli ribelli, era ancora più bella e lasciarla andare era il peccato più grande che potesse commettere.
"Jonn, noi dobbiamo affrontare ancora una guerra. Non possiamo distrarci con questo!" esclamò indicando la casa in disordine per gli abiti sparsi per la casa.
"No, ti prego, non farlo"
"È per proteggerti"
Ma lui non capiva, non voleva smettere di amarla.
"Hai sempre pensato che facendoti odiare le cose sarebbero state più semplici, ma non riesci a capire che è fottutamente peggio. Mesi fa, vederti con quell'uomo in quel bar mi ha fatto stare talmente male da non prendere in considerazione di lasciare Roma"
Rose aggrottò la fronte. L'aveva spiata all'incontro con Kai.
"Cosa?"
"Ho fatto tutto per paura di perderti"
"Ti sembra giusto seguirmi per tutta Roma?!"
Una rabbia dipinse il viso della ragazza.
"Solo quella volta"
"Perché devi sempre rovinare tutto!"
Rose si sentiva ancora una volta tradita, come se egli non si fosse mai fidato di lei.
L'impulso di correre via, andare da Kai e farsi pure uccidere solo per mettere fine a una vita di bugie e sofferenze.
"Rose, io ti amo. Non voglio lasciarti andare. Sei arrabbiata, lo capisco"
Accinse Rose nelle sue braccia e sussurrò, prima di darle un tenero bacio:
"Ora è il mio turno di salvarti"
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