capitolo trentotto - un viaggio interiore

Jonn pensava di aver perso tutto; temeva che colei che amava alla follia potesse morire per lui.
Lo stesso ragazzo a cui era stato ordinato di ammazzarla.
"Questo è per Jovan" la sentì mormorare un attimo prima che un uomo mascherato le trafigesse le costole con un'arma in ferro.
Cadde ai suoi piedi, col sangue che sgocciolava sulle sue ginocchia.
"Rose! Hey, ascoltami. Andrà tutto bene"
La prese per le gambe, tamponando con l'altra mano la ferita, e corse all'ascensore.
Non si accorse nemmeno che Lucifer aveva cacciato tutti gli intrusori e non volle sapere neanche come vi riuscì.
"Lucifer, vieni, è urgente"
Lesse la paura negli occhi del Diavolo, che gli andò in contro e gli strappò Rose tra le mani: capì che la vedeva come se fosse suo fratello.
Ma per lui Rose era più che un parente: era l'unica che era riuscita ad entrare nel suo cuore, a spaccarlo, a tormentarlo, a farlo battere fino allo sfinimento.
Non poteva perderla così.

La poggiarono sul letto, spingendo violentemente la detective che li attendeva dinnanzi all'ascensore.
"Cosa diavolo è successo!"
"Prendi delle pezze bagnate, subito!" ordinò Lucifer impanicato.
Jonn le accarezzava i capelli e la tranquillizzava: in realtà, calmava lui.
Chloe e Lucifer si impegnarono a medicare la ferita e, tra magia e scienza, parve che l'emorragia venne arrestata.

"Jonn, dì la verità" disse Lucifer, che gli sedeva accanto sul divanetto.
Era l'alba: le sue sfumature dipingevano gli specchi del balconcino e la fievole luce della nascita del mattino splendente illuminava i ricci della bella addormentata.
"Sarebbe?"
"La congrega è qui. Sto ricevendo delle lettere dalla C.A."
Si alzò, aprì il cassetto del mobile nero lucido alla sua destra.
Ne estrasse una di tante lettere dalla stessa carta bruciacchiata e vecchia.
Gliela porse, aspettando che Jonn l'aprisse.

《Non faremo del male a Rose, vogliamo solo proteggerla per il bene di tuo fratello

¤ C.A. ¤》

"È una bugia. La vogliono uccidere"
"E perché mai, piccolo Riddle? Parla!"
Jonn deglutì; alzò la manica sinistra della camicia bianca, sporca di sangue e lacrime, e mostrò un marchio scintillante all'uomo: una stella contenente una lacrima, simbolo di dolore, brillava alla luce del sole nascente.
"La stella di Kezial" sussurrò Lucifer rivolgendo uno sguardo accurato.
Aggrottò le sopracciglia e scosse la testa: per gli angeli, la stessa di Kezial indicava morte e distruzione, come quella provocata dai primi dannati.
"La lacrima indica Rose" disse Jonn.
Lucifer disprezzò quella goccia; se Rose rappresentava tutto ciò che vi si ritiene oscuro e necroso, anche il fratello lo era.
"Lucifer, e se Rose fosse tuo fratello?"
"Che intendi?"
Jonn impugnò la bacchetta come se fosse una piuma d'oca e la poggiò sull'altro lato della lettera bruciacchiata.
Corse sul letto dove Rose dormiva tranquillamente, ingnara delle cospirazioni del ragazzo; le baciò la mano candida e delicatamente alzò il maglioncino per mostrare il braccio dipinto di cicatrici sacre.
"I simboli dannati" disse Lucifer.
Egli annuì e li riportò sulla carta.
"Sono cinque, come le punte delle stelle"
Accarezzò il simbolo più in alto, i doni della morte; le dita scivolarono fino alle due punte finali di una stella, le quali corrispondevano al serpente intrecciato su sè stesso e alla rosa spinosa.
Le rette dei due punti si intersecavano e si interrompevano alle ultime due cicatrici, le punte laterali: a sinistra, c'erano le spade incrociate mentre, a destra, vi si trovava una saetta, così chiara da risultare invisibile.
"Non c'è la lacrima al centro" notò Lucifer.
Si sbagliava.
Jonn ripercorse il sentiero che formava la stella; delle linee dorate si dipinsero sul braccio di Rose. La luce si propagò, così tanto da illuminare l'intero attico.
L'immobile era inghiottito dalla luce.
"Lucifer!" urlò Chloe, appena rientrata dopo una pausa.
Il chiarore nella stanza scomparve ma sul braccio della ragazza comparve una lacrima.
Sanguinava e sfavillava allo stesso tempo.
"Jonn, lei è colei che spodesterà mio fratello dal dominio dei dannati" annunciò il diavolo separandosi dalla principessa.
Ecco perché Rose doveva morire.
"Ma questo vuol dire che è più forte di un angelo? E quindi lei..."
"Lei è un angelo mortale"

-

Morgana non era una madre perfetta: aveva lasciato la sua piccola Rose per una stupida promessa fatta al padrino.
Per un uomo che conobbe solo attraverso i ricordi sbiaditi di una creatura di due anni; per un giovane chiamato Regulus Black, colui che la lasciò per proteggerla.
Anche lei, una donna ormai, cercava di perdonare il suo errore tramite la convinzione di averla protetta; ma si sbagliava.
L'assenza di una madre, della donna di cui tutti i figli si possono fidare, aveva portato Rose a chiudersi come un riccio.

Adesso, quel giorno di Natale, ella dovette affrontare il dolore di aver quasi perso la figlia, per la seconda volta.
Fu il marito Gilbert Grindelwald, lontano nipote del grande mago oscuro Gellert Grindelwald, a riferirgli dell'attentato al Lux.
"Rose è rimasta ferita. Non potevo fare niente per proteggerla, poteva saltare la copertura"
"Oddio. E Jonn? Che ha fatto?"
"Ciò che fa un ragazzo innamorato"

Un giovane biondo scuro, come la paglia morta, mordeva una mela accasciato a una colonna della reggia.
Ogni morso era più forte, più acido.
Invidia ed odio erano mescolati come acqua e zucchero: omogenei.
"Il mio fratellino sta facendo solo guai" mormorò gettando il torso del frutto.
Si sistemò gli abiti sgualciati e si diresse dalla madre.
Notò il viso pallido di Morgana puntato su quello rosso di rabbia di Gilbert; la sala del trono, antica quanto elegante, era piena di urla di odio verso i mangiamorte.
"Se Rose moriva, era colpa tua che l'hai abbandonata o di Voldemort che la vuole morta?!"
"Gilbert già ne abbiamo parlato"
Il tono di lui era forte mentre quello di lei era basso: Alex sapeva come si sentiva la sua madre adottiva.
"Mamma" disse per far presente che fosse lì ad ascoltare tutto.
Controvoglia, egli spiegò alla donna tutto ciò che sapeva su Rose: tutti i suoi scheletri nell'armadio, le sue paure, i suoi amori.
"Da quel che mi ha detto mio fratello, Rose è nella fase di minimo potere dannato"
"Minimo?" chiesero all'unisono i due adulti
"Esatto; per gli alpha il processo è differente. Tu hai parlato al fratello della ragazza per avvisargli del potere oscuro, giusto?"
Morgana annuì.
"Bene. La morte di quel ragazzo, James, ha amplificato quei poteri oscuri angelici ma ha diminuito quelli dannati. Il bilanciamento tra angelico e dannato è saltato: ora conta solo la legge della dominanza."
"Ma Rose non ha poter angelici, solo quelli della maledizione" disse Gilbert.
Alex scosse la testa e non rispose subito al padre.
"Al mio compleanno, inviteremo i Potter. Devo confermare le mie ipotesi"
"Sarebbero?" insistè il re, ora seduto sul trono.
Il principino inarcò il sopracciglio mentre giocarellava col sigillo del regno che portava al dito.
"Lei è un angelo mortale"

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