capitolo trentadue - i difetti delle nobili famiglie

Sirius non si era dimenticato del suo lavoro: andare nella vecchia dimora dei Black e scovare qualche indizio su Morgana e Rose. Era convinto del collegamento tra le due donne.
Entrambe erano dannati; forse questa fu la più grande prova delle sue ipotesi.

Conservò la foto della Gazzetta del Profeta e la tenne stretta in tasca quando vi trovò l'antico palazzo contenente l'appartamento della regina Morgana.
Un brivido gli percorse la schiena: non ne capì il motivo, ma quella casa lo inquietava. Sapeva storie orribili su quella famiglia.
Quando Albus, venuto per fargli compagnia, si accorse dello stato del fratello, avanzò e aprì lui la porta.
I loro occhi s'incantarono quando videro il palazzo aprirsi: i mattoni si separavano come se fossero pedine di scacchi, le finestre segrete affiancavo quelle già presenti, le quali mostravano la non curanza delle persone che vi abitavano. Quell'atteggiamento stupì persino Albus; questa era la vera magia.
Dopo che comparve anche il numero 12, Sirius deglutì e seguì Albus sulle scale ricorperte di polvere e di un antico velluto nero.

L'interno era più malridotto dell'esterno: le mura crepate, cumoli di polvere negli angoli e sui quadri, teste di elfi domestici fiancheggianti la scalinata.
Tutto ciò che li ciorcondava sapeva di vecchio, inusato e triste.
Percorsero il corridoio e si diressero verso la stanza dov'era l'albero genealogico della casata.
Non sapevano se definirlo quadro, pittura o semplicemente magia.
Toccarono i nomi ancora sani e quelli bruciati. Centinaia di Black occupavano tutta la parete.
Sirius andò verso gli ultimi rami, quelli dai meno volti sani.
Si fermò al nome Walburga, probabilmente la madre di Sirius: da essa, tutti i ritratti erano riarsi; tranne due.
Uno raffigurava una donna giovane, tutt'altro che sorridente, coi capelli raccolti come quelli delle precedenti Black. Il suo nome, Morgana Rèal-Black, risplendeva ancora, sebbene di una luce debole.
Un ramo la congiungeva a un'altra donna: una fanciulla della loro età, dai capelli scuri e sciolti e dagli occhi che emanavano felicità.
Al collo portava un ciondolo dalla pietra nera a forma di cuore. Sirius fu tentato dalla sua bellezza e al suo tocco gli occhi della giovane divennero rossi come il sangue che ribollì ad entrambi.
Il muro iniziò a tremare e una piccola fiamma nera iniziò a riempire l'antico e memorabile albero.
Di esso restarono, in pochi secondi, solo resti calcinati di ciò che era stato il grande albero.

Le gambe dei ragazzi iniziarono a tremare: tutto accadde troppo velocemente.
"Hai visto il nome?" chiese Albus allontanandosi man mano dal salotto.
Egli annuì, con le parole morenti in gola.
Dei tacchi.
Parve che solo Sirius udì dei passi, poiché non vide in Albus nessuna reazione spaventata.
"C'è qualcuno" disse recuperando il coraggio che possedeva.
Albus si voltò e per la prima volta impugnò la bacchetta al di fuori della scuola; fortunatamente non ne aveva mai avuto bisogno.
Qualcuno tossì e i passi sembravano avvicinarsi.
C'era un intruso; o loro erano gli intrusi?
La domanda sorgeva spontanea.
"Mostrati e non attaccheremo" disse Sirius convinto.
Albus gli lanciò uno sguardo furtivo prima di ammirare colei che si aggirava in casa: una delle donne Black in vita.
"Papà non vi ha insegnato la violazione di domicilio cos'è?"
La sua voce era delicata ma allo stesso tempo era tagliente.
Le maniche di seta viola cooprivano le fredde baccia; il vestito era semplice e scendeva morbidamente lungo i fianchi.
I stivaletti di cuoio percorrevano il pavimento e non osavano fermarsi, finché non arrivarono a pochi centimetri dal volto di Sirius.
"Credo che lei abbia sbagliato: questa casa è di Harry Potter"
Ella sorrise e si avvicinò alla parete distrutta del salotto.
Albus notò che sgranò gli occhi prima di voltarsi nuovamente verso di loro: in fin dei conti, le avevano tolto l'unico ricordo della propria famiglia.

"Rose Hayley Rèal-Black è mia figlia, colei che ho dovuto abbandonare" dichiarò lei.
Il tremore dei ragazzi, apparentemente, l'addolcì.
I suoi occhi erano meno duri ed erano visibili lacrime trattenute.
"Perché?" chiese Albus spinto dalla curiosità.
Doveva e voleva sapere se la sua gemella fosse viva o no; suo fratello lo aveva avvertito: poteva scoprire la verità sulla sorella solo tramite quella donna.
"Rose è un dannato alpha cresciuta senza genitori. L'odio è l'emozione che prevalerà sempre"
"La sua domanda era un'altra. Perché l'avete abbandonata"
Stavolta Morgana non sorrise a Sirius: le ricordava troppo suo padre. La stessa arroganza.
"Voglio parlare con tuo fratello, Sirius"
Albus gli lanciò un'occhiata furtiva e il fratello si diresse nelle camere da letto, più lontano possibile da quell'arpia.

Morgana agitò la bacchetta e man mano il muro si ricostruì, senza il grande albero dei ricordi.
Un pezzo di esso restò; il pezzo raffigurante la collana che provocò la distruzione del quadro.
Egli si inginocchiò e lo raccolse, per poi porgerlo alla donna.
Ella fu sorpresa dal gesto; il ragazzino era così simile allo zio che l'aveva cresciuta per i primi anni di vita, Regulus Black: non solo per suoi occhi chiari come l'erba di un prato fiorito o per i suoi capelli scuri scompigliati, ma il suo viso richiamava la dolcezza e il coraggio che nascondeva nel suo cuore.
Albus voleva solo sapere della sua sorellina.
"Albus, so che tu speri tanto che la Rose che conosci sia la tua Lily, ma non posso mentirti. Rose è mia figlia Hayley."
Il ragazzo parve non sorprendersi. Si era aggrappato a false speranze, un gioco di illusioni cui Morgana era colei che le infranse in pezzi come quella parete.
"Albus, ho bisogno di te per un lavoro" annunciò la donna invitandolo a sedersi dinnazi a lei.
"Voldemort sta tornando, più forte di prima. Vorrà il sangue di Rose, così da avere la capacità di trovare i doni della morte attraverso il suo potere. Albus, Rose deve far emergere i suoi poteri tramite il dolore, l'arma più forte per sconfiggere Voldermort"
"Non capisco. Papà lo sconfisse tramite il suo forte desiderio di amore"
Scosse la testa ed emise una risata di sgomento.
"Tuo padre ha vinto grazie a me e alla figlia che dovevo partorire per forza. Voldemort può morire solo se ricambiato con la stessa moneta: l'odio. Devi sapere, caro Albus, che i dannati sono nati per odiare e non possono provare l'amore per altri esseri, tranne per coloro della loro stessa specie."
"Cosa dovrei fare esattamente, non capisco il mio ruolo. Non conosco dannati"
"Devi solo impedire che si indebolisca"
"Come, alimentare il suo odio?"
"Non devi fare e dire assolutamente niente. Il suo odio principale è l'abbandono dei suoi genitori, anche se sa che non è stata colpa loro. Il ragazzo, Jonn Riddle, le ha detto la cosa che ha alimentato il suo dolore: le ha detto lui che è Lily"
Albus parve confuso e non ebbe nemmeno il tempo di accettare o meno. Un clop e la regina scomparve dal salotto.
Egli capì cosa intendesse: prima o poi Rose avrebbe scoperto la verità sulla sua famiglia, sulle sue origini, e questo le avrebbe provocato così tanto dolore da sprigionare tanto potere.

Però, in cuor suo, sapeva che quell'anno qualcosa sarebbe cambiato. L'aveva capito proprio da quell'albero distrutto: quel cuore di pietra nera ricordava la morte.
Qualcuno stava per morire.
E se fosse stato proprio un Black a morire?

Scacciò via questi pensieri e cercò il fratello.
Lo trovò in una stanza elegante, dai colori scuri come nero e verde smeraldo. C'era del disordine che sapeva di vecchio, antico. Un soqquadro che non riguardava Sirius.
"Che ci fai nella camera di Regulus?" chiese accomodandosi sul letto, dove sedeva lui avente tra le mani una lettera.
"Morgana ha fatto tutto per amore di suo zio. Basta tormentarla o incolparla per la scomparsa di Lily. Non voglio sapere la vostra conversazione, è troppo per me"
Incurvò lievemente le labbra e lasciò il foglio di carta sulle coperte ricamate.
"Almeno abbiamo scoperto la verità"
"Una verità che non porta nullo di buono"
Una delle poche cose cui vi erano d'accordo: aver a che fare con i dannati non era una fortuna, bensì una condanna.

-

Nel frattempo, nel castello magico della scuola, Jonn era alle prese con la sua prima lezione di potenziamento riguardanti la Difesa Delle Arti Oscure.

Quel giorno, il professore Teddy Lupin era assente per questioni personali, non note nè a Jonn nè agli altri studenti.
Prima della campanella, egli si sedette al suo posto e giocorellò con le piume sulla cattedra.
Sorrideva al solo pensiero si tormentare Rose e Scorpius.
La visione dei suoi occhi color nocciola infliggergli occhiate malevoli ed esasperate, lo rendeva euforico.

Rimase incantanto ad osservare il muro opposto al cattedra.
Rose entrò in classe pochi minuti prima e colpì con forza il tavolo col libro: Jonn capì che ella era furiosa.
"Se oggi provi a fare un qualsiasi cosa di scorretto nei confronti di Scorpius, ti giuro che fai la fine di u-"
Egli si alzò dalla sedia. Rose non aveva mai notato quanto fosse alto rispetto a lei. La camicia bianca non stirata e la cravatta messa male gli davano un'aria sbarazzina e giovanile.
Scacciò ogni pensiero positivo o un qualsiasi apprezzamento nei suoi confronti; si aspettava che facesse qualcosa di suo solito al ragazzo che odiava di più: Scorpius Malfoy. Odio alimentato da dissapori familiari e vecchie storie, mai conosciute.
"Perché resti qui, bloccandomi la strada, invece di sederti?" chiese lui malevolo
I suoi occhi si posarono sui capelli mossi e iniziò ad accarezzarli con le sue possenti dita.
Ella, però, negò il gesto affettuoso e si diresse nell'ultimo banco.
Jonn la seguì e appoggiò il mento sulla sua spalla.
Le spostò un piccolo boccolo dall'orecchio, ornato da orecchini d'oro dal ciondolo a forma di saetta, e le sussurrò, facendola rabbrividire:
"Prima o poi mi amerai, Potter"

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