capitolo quarantuno - il Regno dei Dannati

Rose si sentiva in una trappola, in un inganno continuo.
Voleva solo la verità; doveva pagarla a prezzi così alti?
Solo con la morte di James, aveva scoperto di sua madre...
Sua madre.
Non aveva minima idea di chi fosse e forse neanche le importava: era cresciuta senza una famiglia, sola col suo Erik, e non ne voleva una adesso.
E fra i passi lenti e pesanti nelle stradine di Godric's Hollow, la mente la riportava agli anni di infanzia passati senza magia.
Agli anni spenzierati, nonostante vissuti in quattro mura polverose definite casa.
Erik era la sua casa; colui che amava davvero, che definiva realmente fratello.
Adesso, però, doveva affrontare della gente offesa e delusa: i suoi "parenti".

Sbuffò controvoglia e bussò un paio di volte alla porta scura; pare che anche a mezzanotte, i Potter erano svegli.
Si aspettava che i fratelli erano assenti, chiusi nelle proprie camerate della scuola, cui l'unico problema era il compito di Pozioni andato male.
"Chi è?" chiese allarmata Ginny, prima di aprire la porta.
Tossì: voleva scappare nuovamente, più lontano possibile.
Ebbe la tentazione di ritornare da Lucifer; probabilmente egli era l'unico a poterla difendere e capire.
"Sono Rose, mamma"
Recitò l'ultima parola con finto bene. Non riusciva a chiamarla <mamma> senza pensare alla vera che l'aveva realmente partorita.
In quel momento capì il vero motivo per cui non aveva cercato la madre: non le importava un'accidenti.
"Harry! Vieni, svelta!"
Probabilmente il padre stava dormendo.
Aprirono la porta insieme; Harry era sorpreso di vedere di nuovo sua figlia, Ginny era in lacrime.
L'uomo la fece entrare ed entrambi la strinsero in un caloroso abbraccio.
Rose sentì stringere il petto, come se mille vampiri le stessero bloccando i polmoni.
Questo era la sensazione del calore dei genitori?
Si divincolò bruscamente: quella stretta la riportò alla notte precedente, quando abbracciò e baciò per l'ultima volta il suo James.
"Siediti, ti preparo qualcosa da mangiare. Hermione e la nonna sono appena andate via; Harry, valle a chiamare, grazie" disse Ginny

Quando Hermione e Molly, seguite dai mariti, entrarono nel cuore della notte in casa, Rose stringeva fortemente la tazza di tè caldo.
Adesso la circondavano e la riempivano di occhiate furtive sulle sue condizioni: capelli sporchi, lividi e crosticine sparsi su braccia e gambe, viso pallido e spento.
"Oh, piccola mia, quanto ci hai fatto preoccupare!" esclamò Molly, coi corti capelli rossi e i suoi vestiti allegri.
Corse da lei e la strinse ancora: ancora.
Venne obbligata ad abbracciare e sorridere a tutti: una situazione opprimente e disgustosa.
"Rose, dove sei stata?"
"Perché non ci hai avvisati?"
"Oh, come sei dimagrita!"
"Non hai portato qualche souvenir babbano?"
Domande, ancora domande.
Voleva gridare, farli smettere di borbottare e dimostrare affetto non ricambiato.
Voleva stare da sola.
"Smettetela!" urlò alzandosi dalla sedia e scrutando i presenti.
"Hai ragione; adesso spiegaci tutto, con calma" disse Hermione dolcemente.
Annuì e pensò a qualche storiella da adolescenti che andasse bene.
Un tipico cliché che potesse almeno tranquillizzarli.
"Ho viaggiato per l'America, il sogno di James. Gliel'avevo promesso e questo mi ha aiutato a superare il lutto"
"Sapevi che girava una serial killer, proprio negli Stati Uniti?" chiese Harry, dallo sguardo indagatore di Auror.
"Ne ho sentito parlare. Perché?"
Altre frottole: era lei, probabilmente, l'assassina di cui parlava suo padre.
"L'ultimo avvistamento è stato proprio ieri notte, in Virginia. Il Ministero Americano ci ha potuto dire, dalle vittime sopravvissute, che aveva un accento inglese e quindi è compito nostro.
"Ciò che è strano, che mi ha particolarmente colpito, è che
l'omicida stava dove stavi tu. Coincidenza?"
"Forse, non lo so. Adesso vado a dormire, è stato un lungo viaggio"
Suo padre sapeva.
Doveva uccidere soltanto un'ultima persona in America per non far saltare la copertura: l'assassina colpiva nel grande continente mentre lei dormiva tranquillamente nel suo letto a Londra.

Aspettò che tutti se ne andassero e che i suoi si coricassero; si cambiò in fretta e si smateliarizzò nel luogo in cui iniziò tutto: Los Angeles.
Le luci natalizie, come quasi l'anno prima, ricomprivano i grattacieli e le palme californiane.
Camminò distrattamente per le vie isolate, in cerca di qualche vittima.
Aveva esattamente sei ore prima che nel Regno Unito sorgesse il sole.
In America erano le quattro del pomeriggio: doveva aspettare la notte per colpire.
Avendo un po' di fame, ma soprattutto per noia, si diresse in un pub per cibarsi di qualcosa.
"Buon pomeriggio, che gradisce?" disse una cameriera sorridente e apparentemente dolce.
"Un frullato al cioccolato, grazie"
Notò che la ragazza aggrottò le sopracciglia in un'espressione desolata alla vista dei suoi lividi.
"Quasi un anno di lotta, niente di ché"
"Ah"
Sorseggiò il suo frullato mentre osservava il sole che inondava il cielo.
Venne distratta dal rumore della campanellina della porta: vi entrò un ragazzo che conosceva molto bene.
Vestito da un normale teenager, ordinò al bancone colorato un caffè e si voltò verso il tavolo di Rose.
La riconobbe immediatamente e si avvicinò alle sedie anni '60 del locale.
"Signorina Rose, che piacere. Posso?"
"Ciao, Alexander. Siediti"
Si costrinse a sorridere; passarono minuti di silenzio, sorseggiando il suo caffè.
"Come mai di nuovo qui?" chiese rompendo il ghiaccio
"Un'ultima questione in sospeso"
"Mh, essa sarebbe uccidere una persona?"
Rose serrò la mascella e non rispose.
"Immaginavo"
"So che sei offeso perché ho rifiutato l'invito al tuo compleanno, ma non potevo venire per quella faccenda"
Pochi mesi prima, qualche giorno dopo il suo compleanno, un'aquila reale le aveva portato una lettera d'oro e d'argento su cui vi era scritto data ed ora dell'evento dell'anno: il compleanno di un principe.
Impegnata con le stragi, decise di deviare il generoso invito.
"Non sono così rancoroso; vorrei solo capire perché hai fatto tutto questo per un ragazzo come quello"
"James era il mio migliore amico, non si meritava una morte del genere"
"Hai altri amici"
Beh, dov'erano allora?
In quell'anno nessuno si era fatto vivo, nessuno aveva provato a chiamarla, a cercarla.
Lei non aveva più amici: chi voleva essere più di un conoscente per una ragazza come lei?
"No, non più"
Alexander abbozzò un sorriso e la guardò dritto negli occhi; il ragazzo aveva iridi scure proprio come Jonn...
"Penso che sia triste ritenersi senza amici"
Allungò la mano sinistra alla sua destra e la strinse. 
Che stava facendo?
"Alex, il tuo nuovo compagno fedele, nonché tuo più devoto amico"
Erano mesi che ella non rideva di vera felicità e non per una recita, per un copione scritto anni fa.
"Tra poco sarà buio, torna a Londra, me ne occuperò io"
Si alzò e si diresse alla cassa.  
Non capì perché Alex non solo le pagò il frullato, ma si era proposto di uccidere al posto suo. 
"È questo che fanno gli amici"  disse prima di scomparire tra le mura calde dei viali di Los Angeles.

Era ancora notte fonda quando si ritrovò nella sua stanza. 
Un raggio di luna invase l'angolo del letto a baldacchino; si chinò verso esso e sentì tra le dita il morbido tessuto del velluto. Tastò ancora fino a che non incurvò il dito in uno spigolo: una lettera.
La prese e la cinse tra le dita affusolate. 
Si sedette sul letto e, spinta dalla curiosità, aprì la missiva. 
Grandi lettere scritte in un corsivo perfetto, dalle curve senza sbavature e dall’inchiostro nero scintillante, recitavano l’invito per una festa di compleanno regale.

Cara Rose Hayley Rèal-Black Potter,
Sei invitata al quarantesimo compleanno del re Gilbert Grindelwald, cui festeggia il giorno 2 Novembre dalle ore 21:30, finché il sole non sorga. Presso il Gran Palazzo dei Dannati 

Benvenuta a casa, amica mia

Era il compleanno del padre di Alex; probabilmente il regno era alleato della congrega di cui lo stesso principe ne aveva fatto parte.
Doveva andarci per forza, era stato carino ad averla invitata. 
Un invito dal suo nuovo amico.
Sorrideva al pensiero di presentarsi in quella grande sala da ballo, decorata con colori scuri e ombrosi, col suo abito brillante, tutti gli occhi addosso. 
La vanità adolescenziale la rapì dalla vera e cruda realtà: tutti l’avrebbero guardata per il suo destino pietoso, per quella bellezza rubata agli angeli e resa oscura e manipolatrice. 

La mattina successiva, Rose si precipitò al piano di sotto per riferire l’evento a cui doveva partecipare. 
Vi trovò i fratelli Albus e Sirius, dallo sguardo torvo e le mascelle serrate, seduti attorno al tavolo e la sorellina Luna che corse ad abbracciarla. 
"Sei tornata, che bello" bofonchiò col capo abbassato il fratello maggiore. 
"Anch’io non ho il piacere di vederti, fratello" rispose spingendo dolcemente la sorella. 
Si sedette accanto a Ginny, di fronte ad Albus; notò che egli non gli rivolgeva uno sguardo fugace e nemmeno un sorriso. Evitavano entrambi, soprattutto Sirius, di avere del contatto con lei.  
"Papà, ieri notte ho ricevuto un invito per una festa" annunciò spalmando del burro su una fetta di pane. 
La “madre” le passò della marmellata, notando la confusione di Harry.
"Festa di qualche tuo amico?"
"Non esattamente"
"In che senso, spiegati meglio"
Credeva che si trattasse di un party di dannati? Tecnicamente, lo era.
"In realtà, oggi è il compleanno del re del Regno dei Dannati: Gilbert Grindelwald"
Harry spalancò gli occhi dallo stupore; Ginny finse indifferenza e continuò a sorseggiare il suo caffè.
"Verremo con te" propose Albus, ricordandosi di Morgana, la madre biologica della sorella.
"Ieri notte è arrivato anche a noi, guarda"
Ginny passò la lettera a Rose: quella scrittura era diversa, elegante ma scritta in verde. 
Le vennero a mente le lontane lettere di T.M.R., ricevute durante il suo primo anno ad Hogwarts. 
E se…
"Perfetto" sussurrò Rose, alzandosi e correndo in camera. 

Aprì il suo baule e ripescò tutte le lettere del mittente misterioso: era la stessa, identica scrittura. 
Ora capiva: la congrega aveva sempre manovrato tutto. 
L’apertura delle sale maledette; il torneo dei campioni. Tutto.
L’arrivo di Jonn nella sua vita. Tutti erano suoi nemici.
Lo stesso amore, quell’acre sentimento, era il suo più grande nemico. 

Non uscì dalla sua stanza per tutto il pomeriggio: il puzzle della verità era quasi completo.
Se Gilbert Grindelwald era il mittente delle lettere, allora anche Alex e tutta la congrega c'entrava.
Quindi, Jonn ed Alex si conoscevano già...
Ma perché il re dei Dannati le aveva mentito sulla propria identità, dicendole che fosse Lily?
Ecco l'ultimo pezzo: la sua madre biologica.
Lei era la chiave per capire ogni cosa; bastava trovarla.

"Rose, ha detto la mamma di prepar-"
Luna smise di parlare: alle pareti della camera di Rose erano stati incisi dei nomi, come quelli iscritti sull'albero geniologico dei Black.
"Mh, certo. Esci"
Le chiuse la porta in faccia.
La piccola scrollò le spalle e corse nella sua stanza.

Assicurata che la sorella se ne fosse andata, ella sfilò dall'armadio un abito nero cui nel corpetto due fasce s'intreccivano e abbracciavano le braccia.
Decise di lasciare i capelli sciolti, ribelli e mossi.
Passarono altri venti minuti, nel quale Rose ripassò il suo piano per riuscire a parlare col re.
"Cara, hai messo le scarpe"
Sentì Ginny parlare dal piano di sotto e rispose urlando un sonoro <sì>.
Prese velocemente dei tacchi neri e si recò dalla madre.
La trovò in un abito di velluto verde smeraldo, in armonia coi suoi capelli rossi portati tutti sul lato destro.
"Sei molto bella, figliola"
"Anche tu"
Luna optò per un abito dalla gonna in seta ampia di un colore blu elettrico.
Legò i capelli in una treccia morbida, evidenziando la sua crescita.
Ormai era al terzo anno, era cresciuta molto.
Solo in quel momento realizzò che aveva saltato la fine del quarto e l'inizio del quinto anno...
I tre uomini di casa, vestiti completamente uguali, le aspettavano nel giardino ricoperto da una sottile neve.
"Entrate pure nella carrozza dannata" annunciò un cocchiere alto, scolpito come una pietra.
La sua pelle nocciola brillava al chiarore di luna.
Scrutò Rose; immediatamente, si alzò dalla sella del cavallo su cui poggiava e si inchinò alla ragazza.
"All'invitata speciale"
Arrossì ed annuì sorridendo, prima di entrare nella spaziosa carrozza fiabesca.
Luna notò che assomigliava a quella di Cenerentola; per Rose, assomigliava a un ricordo sbiadito del tempo.
I decori in oro, piccoli mostriciattoli alati, le sembravano più che familiari.

Arrivarono giusto in tempo; centinaia di persone, per lo più dannati, erano presenti all'evento e ondeggiavano nei propri abiti regali.

Dalle carrozze parcheggiate ai lati della sua, uscirono due ragazzi che Rose conosceva fin troppo bene: Jonn, nel suo abito nero dai ricami in argento luccicante, e Scorpius, vestito in verde smeraldo e in nero.
Il primo, venne accerchiato da guardie alate, probabilmente dannati beta e gamma, e scortato fino all'entrata.
Non si spiegò il perché...
Scorpius, invece, entrò sorreggendo la nonna sotto il suo braccio.
Il padre, Draco Malfoy, si voltò e la guardò per qualche minuto.
Harry gli rivolse un accenno del capo, forse come saluto e non disse altro.
"Dobbiamo aspettare ad Hermione e Ron?" chiese Ginny al marito.
"Staranno arrivando. Entriamo lo stesso"
Rose s'incamminò per prima, spinta dalla curiosità.
-Benvenuta a casa- pensò rivolgendo uno sguardo alla sala.
Era proprio come se l'immaginava: un'enorme pista da ballo coperta da pitture riguardante la storia dell'Angelo Creatore e accerchiata da centinaia di tavoli dalle tovaglie nere e bordeaux.
Alle pareti, eregevvano stendardi e omaggi al re.
Non aspettò che la famiglia la seguisse; si affrettò a raggiungere l'ala ovest, dove Alex, vestito in bordeaux, era appoggiato a un pilastro.
Egli subito si voltò e spalancò le labbra alla bellezza della fanciulla.
Aveva ragione Morgana: Rose era un miscuglio tra orrore e bellezza, luce e oscurità, amore e odio.
Forse per la sua parte angelica, Alex non riusciva ad odiarla quando le stava accanto.
Aveva passato anni a progettare la sua morte: adesso non riusciva ad immaginare il suo corpo inerte.
Ecco perché suo fratello si era innamorato di lei: aveva tutti i motivi del mondo.
"Rose, s-sei bellissima stasera" disse prendendole e baciandole dolcemente la mano tremante.
"Mi lusinghi così. Vorrei porgere i miei auguri al festeggiato, dov'è?"
Alex annuì e, stringendole ancora il palmo, la portò con sè dal padre.

Gilbert aveva l'aria di un ragazzino, anziché di un uomo.
Il viso assunse curve spigolose e il mento si ricoprì di una sottile barba.
I capelli scuri erano in ordine e i suoi occhi erano sempre gentili, una caratteristica che sua moglie non aveva mai avuto.
Col bicchiere di champagne fra le dita, si voltò di scatto al richiamo del figlio adottivo.
Non potendo avere figli per la maledizione della moglie, quella scagliata dall'ira delle streghe antiche, egli decise di trarre dalle grinfie dei Malfoy, il figlio maggiore di un mal capitato erede della casata Riddle ucciso proprio dal capostipide.
Il secondogenito, nonché ultimo Riddle rimasto, rimase per anni dalla famiglia di Scorpius, per poi essere scappato alla tenera età di undici anni.

"Alex, come mai tutta questa fretta?" chiese mostrando la sua voce adulta.
"Padre, una mia amica voleva farti gli auguri" rispose Alex porgendo Rose al suo fianco.
Gilbert capì: il figlio le aveva portato colei che reputava sua figlia, la piccola creatura che aveva stretto nelle sua braccia quella notte dell'11 Luglio.
Rose s'inchinò e sorrise per tutto il tempo.
"Sua maestà, grazie mille per l'invito e vi auguro un felice compleanno"
"Ti ringrazio di cuore. Vuoi vedere il castello?"
Lanciò un'occhiata furtiva ad Alex: voleva parlare da solo con Rose.
"Certo"
Entrambi volevano la stessa cosa...

Attraversarono un corridoio pieni di ritratti di famiglia, risalenti persino al 1400.
Si fermarono dinnanzi a un quadro di una donna seduta su un trono di spine di rose nere.
I capelli scuri della regina erano ornati da un diadema dalla pietra nera opaca al centro.
Il sangue, nato dalle punture delle spine sulle braccia candide, riempiva l'abito bianco nuziale.
Rose si pietrificò dinnanzi a tanta crudeltà e bellezza.
"Chi è?" chiese sfiorando col dito le sottili falangi di quella sposa.
"Mia moglie. Lei è una donna alquanto algida e distaccata, è un dannato beta.
"Non ha avuto una bella infanzia. Devi sapere, Rose, che ella è erede di una famiglia molto nota per i Potter"
Aggrottò le sopracciglia: di chi stava parlando?
Gilbert deglutì: stava per porgerle su un piatto d'argento l'indizio fondamentale per risolvere l'enigma della sua identità.
Passò un dito sul ciglio della cornice.

<Morgana Rèal-Black, Gennaio '95

Louis Rèal>

Al nome dell'autore del quadro, gli occhi del re si lucidarono.
Rose lo notò, ma fece il modo di non farglielo capire.
"Lei è la figlia clandestina di Sirius Black e Susan Rèal"
Voleva sapere di questo Louis; le suonava familiare quel nome, come tutto il resto.
Indicò il dito sull'incisione del nome del pittore.
"Lui chi è?"
"Louis era il suo fratellastro. Susan si era sacrificata per Sirius, rubando la maggior parte dei poteri del figlio. Così, quando la notte della Battaglia al Ministero, quella della profezia, egli non riuscì a sostenere tutti quegli attacchi e il suo cuore si spense, per proteggere la donna che amava: Hermione Granger"
Rose spalancò gli occhi: sua zia aveva avuto una storia d'amore col fratello di Morgana?
Qualcosa non tornava comunque.
"Mia zia mi ha raccontato che erano solo in sei, non in nove"
Gilbert rise e scosse la testa.
"Ha ragione: noi eravamo coi mangiamorte. Avevamo progammato tutto per una stupida missione data ad Ana. Facevamo tutto per lui, per una lettera da parte di Regulus Black.
"Devi sapere che lo zio di Ana sapeva di una profezia, una maledizione, che la coinvolgeva orribilmente. Era una guerra di onore e potere.
Però, tutto andò a monte per la morte di Louis e da allora niente è stato più come prima"
Rose rimuginò sulla profezia che coinvolgeva Ana.
Ma certo...
La profezia dell'alpha.
Tutti i dannati alpha erano predetti e forse la sua aveva compromesso Morgana.
Ma, c'era ancora qualcosa che non andava.
Se ella era sposata con Gilbert, perché aveva avuto una storia con suo padre?
Il legame tra i Black e i Potter poco c'entrava.
Mancavano pochi tasselli.
"Adesso meglio tornare di là, ci aspettano le danze. È stato bello parlare con te, Hayley."
Nessuno sapeva il suo vero nome, oltre Voldemort e Alex.
"Come scusi?"
"Oh, perdonami, mi ricordavi una persona che ha anche questo nome" disse sparendo nel nulla.

Rose restò lì, ammirando quella donna dipinta e pensando a tutto ciò ch'era accaduto.
Si allarmò quando sentì dei passi in lontananza; si allontanò dal quadro e aspettò che arrivasse l'autore della camminata.
"Regina Rose, felice di vedermi?"
Si voltò lentamente verso il sussurro freddo e sanguinoso.
"Tu!"

*Ammetto, è un capitolo abbastanza lungo...
Prestissimo uscirà il continuo!!*

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