capitolo quarantacinque - il 1864, l'anno d'oro delle disgrazie dei Rèal

Londra profumava di fresco e di primavera quando un giovane, di una bellezza ed eleganza fiabesca, giunse dalle Americhe per ritrovare la famiglia.
Volava nei cieli con le sue scure ali nere, profonde come un cielo senza stelle.

Atterrò alla residenza del Regno dei Dannati, un palazzo ornato in oro e dipinto in beige.
Simboli riportanti morte e distruzione ricoprivano tutte le mura e un mix di luci ed ombre riempivano l'ambiente.

Ad ogni sonoro passo, un tonfo riportava il ragazzo alla realtà, distogliendolo dai suoi sogni e pensieri tormentati.
Si diresse nel salotto elegante, cui non vi accedeva da ben tre anni, i quali passati con degli zii.
"

Ferdinando!" sentì una voce rude e rabbiosa avvicinarsi.
Si voltò lentamente, fingendo un sorriso, ritrovandosi una dama anziana portante la corona maledetta.
Le prese la mano e la baciò delicatamente durante un'inchino
che si propagò fino alla punta del mocassino.
"Vergogna della famiglia! Ventidue anni e ancora senza una moglie! Sei stato tutto il tempo um perdigiorno, giusto?!"
Oscillò il ventaglio e lo sventolò frettolosamente, portandolo alla vista in modo drammatico.
Si accomodò sul divanetto in velluto e finse di svenire.
"Smettetela, non è la fine del mondo. Nessuno vuole un dannato come me"
"Certo, Ferdinando, perché sei la pecora nera della nostra famiglia! Philippe ha anche avuto due bellissimi gemellini!"
Il ragazzo battè le mano e si gettò tra le braccia della poltrona verdastra.
"Tuttavia"
Egli si voltò di scatto.
La regina Victoria stirò con le dite affusolate le balze violette del suo abito, sorridendo malignamente al figlio.
"Camille, fa entrare la signorina Artemisia Peverell e la sua chaperon Adelaide Evercreech"
La cameriera annuì e si avventò al portone in legno di quercia; da esso entrò una donna alta e slanciata, dai lunghi capelli mossi, cui legati solo ai lati da treccine, e indossante un lungo abito beige e bianco.
Il principe deglutì al contatto visivo con ella: i suoi occhi nocciola, sottili e felini, rapirono le labbra carnose dell'uomo.
Egli si alzò e si diresse a salutarla galantemente.
Notò che la signorina rivolse uno sguardo ammiccante alla donna che l'aveva accompagnata, gracile e rugosa.
"Principe Ferdinando, è un vero onore conoscervi"
La sua voce suadente gli trasmise un brivido lungo la schiena, seducente e rovente.
La regina, non sorpresa dall'atteggiamento dell'erede, osservò con cura la sua pretendente preferita e le sorrise.
"Lo stesso per me, signorina Peverell"

-Quella strega antica sa del mio legame coi vampiri- pensò Ferdinando mentre sorseggiava il suo tè caldo.
Aveva gli occhi verdi della donna addosso, come un fucile su un detenuto.
La madre, con l'indifferenza del figlio, costrinse i due a fare una passeggiata, senza la dama della giovane.

"È bellissimo questo giardino colmo di rose perlacee" disse Artemisia, avvicinandosi a una delle pareti del labirinto e cogliendo una di esse.
La portò alle narici e l'annusò delicatamente.
Scostò i capelli, mostrando le dolce curva lisca del collo.
Lo voleva sedurre?
"Avvicinatevi, non mordo, signore"
Ma invece mordeva: ogni singolo atomo della sua pelle bruciava di lussuria e cattiveria.
La figlia della morte, così la chiamavano e Ferdinando lo sapeva.
Durante il suo viaggio nelle Americhe, aveva conosciuto il diavolo in persona, Lucifero.
"Oh, non credo signorina"
Da tempo conosceva della famiglia Peverell, gente destinata a ricevere e perdere: i protettori dei doni della morte.
Artemisia era l'ultima erede del terzo fratello, colui che nella fiabesca storia riesce a salvarsi.
"Che intendete?" chiese lei accigliandosi.
Un dannato alpha biasimato ad essere il padre della regina del male, del ponte, doveva procrearsi con la figlia della morte?
"Artemisia, entrambi sappiamo benissimo che voi siete l'ultima erede Peverell e che la stirpe potrebbe finire qui. Io non vi voglio come moglie"
"Credete davvero che io non sappia delle voci che corrono per le vie di Londra? Sono solo bugie, i miei antenati non hanno nessun dono dato dalla Morte."
Scacco matto: la donna era inciampata nella sua stessa veste.
"Doni? Chi ha parlato di doni? Io mi riferivo a una profezia lontana che vi riguardava"
Adesso le gironzolava intorno, sentendo la pelle della donna avamparsi.
Lo guardò con lo sguardo felino e si morse il labbro inferiore.
"Sarebbe?"
"Andate via da me"

Da quell'incontro, la giovane donna si innamorò perdutamente di Ferdinando, nonostante il sentimento non fosse reciproco.
Egli la disprezzava più di quanto disprezzasse se stesso: ella era la portatrice dell'ombra, la madre scelta per il piccolo angelo mortale.

"Adelaide, perché non mi vuole!" sbraitò una notte, quella prima del matrimonio combinato per volere della regina Victoria.
I due non si erano mai sfiorati e mostravano amore e affetto solo ai ricevimenti: la sceneggiatura di un dramma shakespeariano.
La chaperon, tuttavia, sapeva il piano progammato dal principe; aveva taciuto per mesi per il bene della sua padrona.
Sapeva che il futuro marito della fanciulla avrebbe commesso un omicidio, in vista delle nozze: quella notte.
"Signorina, sappiamo entrambe dell'oscuro segreto che porta in sè. Lui è un alpha, non possiamo fare niente poiché lui già sta per fare qualcosa"
La sua voce tranquilla traballò allo sguardo furioso della giovane; il suo amore era solo frutto dell'ossessione, della follia.
Adelaide le spiegò tutto con calma, cercando di essere più dolce possibile.
Le raccontò delle passioni vampiresche, delle scoperte sugli angeli e del suo imminente suicidio.
"Ade, dobbiamo maledirlo a ciò che teme"
"No, signora, gli spiriti non vogliono che si alteri la natura. Se facessi ciò, rischierei la vita e persino l'incantesimo può diventare pericoloso e fin troppo oscuro"
"È ciò che voglio"
Artemisia, in preda a un'attacco isterico, iniziò a spargere del sale attorno alla dama, posta in ginocchio per asciugarle le labbra durante il racconto.
"Voglio che lo condanni a una vita di sofferenze, che l'ultima Rèal beta giaccia con un Peverell e porti in grembo l'angelo mortale, la prima omega. L'incrocio tra distruzione e creazione, il sangue nero della figlia della morte deve scorrere nelle sue vene.
Ella dovrà essere il cosiddetto ponte cui spodesterà l'Angelo Creatore"
La donna ripeteva le parole in formule magiche, estraendo del sangue dalla pelle dormiente del principe, trasformando esso in un'incisione nascosta sulle mura del castello, in tal modo da tenere sempre in vita la maledizione del Rèal.

Le vene della chaperon erano scure come cenere: gli spiriti l'avevano abbandonata ed ora solo la magia nera l'aiutava.
Gli esseri spirituali, incattiviti dalle due compagne, avevano deciso che la piccola creatura sarebbe stata la reincarnazione di Kezial ma con l'aspetto di Artemisia: un doppione...

Adelaide si accasciò sul pavimento, inerte e pallida, lasciando che l'ultima scintilla di magia la prosciugasse.
Abbracciò la signora Morte e precipitò nell'inferno, condannata dagli spiriti per il male appena compiuto.
"Sei stata utile, riposa in pace strega"
Estrasse dal cassetto del comò un coltello sottile, affilato e ricamato di rose sul manico argento.
Posizionò l'arma sul cuore della defunta e la colpì numerose volte, come se volesse accertarsi che la morte l'avesse baciata.
Col suo abito grigiastro, uscì dalla camera perlacea e corse per i corridoi, fino all'ala ovest: la stanza del principe.

"Aprite!" urlò ferocemente la fanciulla.
Egli aprì la porta e la fece entrare, col capo abbassato e le parole mozzate.
Non aveva idea del coltello che portava nel corsetto; se solo l'avesse saputo...
"Ho sentito il sangue che mi avete estratto. Come avete potuto, Artemisia?!"
"Tu mi hai chiamata figlia della morte, hai rifiutato la mia seduzione, mi stai per sposare solo perché nessun'altra vuole un dannato alpha lurido come te! La tua famiglia è condannata a ciò che Kezial voleva per te"
Ferdinando scosse la testa, avvicinandosi alle colonne del baldacchino.
Iniziò a disperarsi: quella era la peggior deplorazione per la famiglia reale.
La profezia dell'omega preoccupava da secoli i dannati:
quando l'ultima goccia di sangue sarà versata, l'ultimo erede nascerà.
"L'erede è il tuo, lo so da tempo. Adesso è il momento di spargere il tuo sangue e aspettare la prossima guerra. La battaglia dove combatterà un Peverell"
Artemisia spense la candela volteggiando e si avvicinò al petto sudante dell'uomo.
"La guerra che perso, la vincerà un mio erede, amore mio"
Zac.
Il ventre del principe adesso bramava salvezza e morte: una lunga scia di sangue scorreva sul pavimento e il sorriso trionfante di Artemisia aleggiava sul volto spento di Ferdinando.
"Lo sapevo"
"Se lo sapevi, perché non hai rimediato prima? Mai essere nemico della figlia della morte"

Passarono ore prima che Ferdinando si svegliasse dal sonno della trasformazione in vampiro.
"Ho fame" sussurrò, alzandosi in piedi e correndo dalla donna per vendicarsi del suo omicidio.
Immaginava che ella non si aspettasse della sua rinascita.

Nella camera di Artemisia c'era un fetore di morto e sangue, sale sparso sul parquet e letto disfatto.
La signorina osservava l'alba, il sole nascente.
Quella stella che illuminava le spine dei suoi peccati e i petali della sua bellezza.
"Ti ho sentito arrivare, Ferdinando. Uccidimi, il danno è fatto ormai"
Ondeggiò la bacchetta e mimò con le sue rosee labbra: Stupeficium.
Puntò la bacchetta alla tempia e cadde, come la sua chaperon la notte precedente.
L'istinto vampiresco del principe lo costrinse a nutrirsi di lei, fino allo sfinimento.

Ferdinando si era macchiato con la sua ultima goccia di sangue versata e si è nutrito con quella della sua assassina.

La profezia di Rose, detta l'omega, era stata decretata prima della nascita dell'ultimo alpha ma era stata modificata il giorno della morte di egli.

Un gioco di lussuria e vendetta aveva devastato la vita di un'innocente bambina e trasformata in un Inferno terrestre.

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