xxᴠɪ. now I see you
New York, 17.04.2022
Un uomo in camice bianco e un tesserino infilato in un taschino entrò silenziosamente nella stanza al lasciapassare dei due agenti armati fuori l'ingresso, dopotutto era quello l'orario comune dei controlli che ogni medico faceva ai pazienti del proprio reparto; quello di neurochirurgia non era mai stato così affollato e così chiassoso prima di allora, con gli agenti tra polizia locale e FBI a darsi continuamente il cambio per la sorveglianza dell'intero piano. I familiari di qualche paziente se n'era lamentato che a causa loro non si sentissero al sicuro, paradossalmente, o non vi era privacy per affrontare le loro sofferenze in santa pace, ma sarebbero stati di altro avviso se solo fosse stato condiviso dalle autorità che era tutto proprio a protezione loro più che della Callahan, non più vista di buon occhio dalle forze dell'ordine che su di lei stavano indagando, quella specie di occupazione.
Agli occhi dei medici però ogni paziente era uguale agli altri, non ve n'erano di serie A e di serie B proprio come ci si aspetterebbe da ogni individuo che prometta di non nuocere volontariamente ad alcuno. Il nuovo guardava la paziente dall'angolo più remoto della stanza mentre con la suola di una scarpa stringata nera chiudeva la porta alle sue spalle. Aveva i capelli di un castano ramato, labbra sottili, il dorso del naso particolarmente sporgente e due fondi di bottiglia davanti agli occhi a far più grandi quelle iridi verdi che avrebbero inquietato chiunque in quel frangente, perché come stava studiando la bionda dormiente lei non l'avrebbe augurato a nessuno; con fare critico e violento nel modo in cui cercava nella propria mente di aprirla e penetrarla sotto lo strato cheratinocito come a voler trovare in lei il segreto della vita. Le si avvicinò a passo felino e una volta al suo fianco inclinò il capo per avere un'altra prospettiva. La bella addormentata respirava autonomamente ma sul viso passava un piccolo tubo collegato a una bombola di ossigeno che egli andò a rimuovere molto delicatamente con le proprie mani in un paio di guanti in nitrile azzurri prima di appenderlo alla testiera d'acciaio dietro il capo di lei. Poi quello che fece fu insinuare una mano dietro la nuca della donna per sollevarle il capo e sfilare lateralmente il cuscino con l'altra. Quando le fece riappoggiare la testa al materasso le sollevò il mento accompagnandolo con le dita di una mano prima di stringere l'altra estremità del cuscino che aveva preso la forma del suo capo.
Da diverse settimane ormai la davano per spacciata. In ogni esame specialistico effettuato non vi era nulla che ai dottori suggerisse una terapia efficace per riportarla cosciente, ma vi era si segno di una minima attività cerebrale che impediva a chiunque di poter credere o dichiarare la sua morte. Nonostante gli arresti cardiaci, le mancate risposte agli stimoli e un proiettile che nel cranio l'aveva passata da parte a parte, Sarah Callahan era ancora viva. Ma così qualcuno... Aveva deciso che non dovesse più essere.
L'uomo strinse saldamente il cuscino tra le mani e con forza lo premette sul volto della donna allettata. Passarono due, tre secondi, e nessuna reazione. "Un gioco da ragazzi", pensò. Fin quando il corpo di lei non iniziò a farsi prendere dagli spasmi; la prima reazione, il primo segno di vita, dopo mesi di stato comatoso.
«Oh cazzo...»
Ringhiò lui esterrefatto premendosi con gli avambracci contro il cuscino per impedirle di divincolarsi. Le braccia femminili si muovevano scoordinate, picchiavano l'uomo che la stava letteralmente soffocando senza il minimo turbamento emotivo, e con le unghie della destra gli graffiò il braccio, forse accidentalmente o forse no ma neanche quello lo scompose. Questo finché d'un tratto cessò di resistere e il suo carnefice poté sentirla abbandonarsi sotto la sua forza.
"Una tosta fino all'ultimo... Peccato non lo saprà nessuno per poterlo scrivere sulla tua lapide." pensò lo sconosciuto quando lentamente risollevò il cuscino dal suo viso dopo una manciata di secondi di quiete. Sembrava un angelo, con il pallore del incarnato di chi non si esponeva al sole diretto da diverso tempo, quelle labbra carnose al naturale, gli occhi chiusi per riflesso, sembrava ancora nel suo profondo sonno ristoratore, e la chioma dorata catturata in uno stato ondoso nell'aurea bianca che era il lenzuolo. Che fosse un angelo lo sembrava da morta più che da viva, se ne compiacque l'uomo ammirandola come si contemplerebbe un'opera d'arte che i nostri più profondi desideri ci rivela. Ma quando d'improvviso le palpebre della sfortunata si riaprirono e lui si ritrovò per la prima volta riflesso nell'oscurità del suo sguardo, raggelò.
Non aveva mai visto nulla di simile. Nessuno che avesse avuto la sfortuna di imbattersi in lui era mai tornato in vita; non una volta, figuriamoci due. Restò lì immobile, in piedi, a fissare le pupille nelle sue, una poco più ristretta dell'altra in risposta alla luce del sole che a quell'ora picchiava e filtrava dai vetri della finestra, lasciando solo ai margini una sottile striscia delle sue iridi blu. E non sapeva giustificarlo, non era né un medico né un credente, ma comprese di non essere più solo in quella stanza da quando... l'aveva uccisa; e che da cacciatore, l'uomo, sarebbe divenuto preda se non avesse portato a termine il lavoro.
"Maledizione" imprecò serrando le mascelle. Neanche il tempo di compiere un passo verso di lei che altri provenienti dal corridoio lo allarmarono. Le voci di dottori e infermieri si fecero sempre più vicini tanto che tempo per finirla, e chiudere quella storia, non ve n'era più. Non restava che nascondersi ma prima dovette risistemare la testa della bionda sul cuscino in modo da non destare sospetti; non avrebbero mai creduto che fosse stata da sola per tutto quel tempo se non avesse anche rimesso il tubo dell'ossigeno sul volto della donna. Poi scattó verso la finestra e la aprí. Si sbilanciò in avanti, sotto di lui sei piani erano troppi per un salto, soprattutto se l'atterraggio non sarebbe stato attutito da niente e si sarebbe sfracellato al suolo peggio della bionda sopravvissuta a un incidente stradale, ma il cornicione era abbastanza spesso da reggere il suo peso il tempo necessario per l'attraversamento, se era fortunato. Così salì rapidamente sul davanzale e mettendo una punta di un piede dietro l'altra si scostò verso la sua sinistra lasciando scorrere le spalle sulle mura esterne dell'edificio intanto che i medici facevano il loro ingresso nella stanza della loro paziente. Si nascose alla loro vista giusto in tempo. Poté sentire il tono di meraviglia nelle loro voci all'osservare l'espressione della donna, incerto se proseguire oppure attendere che il suo obiettivo fosse di nuovo solo, mentre sotto di lui ciottoli e polvere a cadere sotto le scarpe gli ricordavano l'urgenza di prendere quella decisione. Appoggiò la testa alla facciata dura, prese un profondo respiro e poi si affacció alla finestra aperta facendo attenzione a non sporgersi di troppo in avanti col rischio che il peso del capo lo sbilanciasse e portasse tragicamente al piano terra. Una sconfitta vederla ancora con gli occhi sgranati su quelli che la stavano visitando per fare una nuova prima diagnosi. Si morse la lingua e giunse la resa.
Venne allora a una promessa: "Ci rivedremo... Callahan.", che però suonava una minaccia.
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