xxɪᴠ. revenge

New York, 01.01.2022

     « No, ti prego! No! Per fav- ». Il fischio di un proiettile interruppe le suppliche dell'uomo strisciante a terra. Fu colpito alla testa questa volta, una grazia rispetto a ciò che il suo assassino avrebbe potuto riservargli se solo avesse avuto tempo da perdere, ma non ne aveva allora e serbava il peggio per qualcun altro.
A passo svelto, testa alta e una rabbia che continuava da sola a nutrirsi, Azael proseguì la sua corsa all'interno del palazzo dei Chong raggiungendo l'ascensore con un bizzarro zainetto rosa in spalla, sopra vi era disegnato un unicorno nato da un arcobaleno, giusto per non dare nell'occhio eh; conteneva le ricariche della sua La-16u/Peq.
Era al ventesimo piano, non uno ne aveva saltato prima, perché voleva far saper loro, ai piani alti, chi stava per arrivare e per quale ragione.
Premette il pulsante del piano successivo sulla tastiera all'interno della cabina e le porte automatiche si richiusero velocemente davanti al Principe Infernale accecato dalla rabbia e dal sangue di cui si era macchiato l'abito e il volto, il sangue di coloro che avevano tentato alla sua vita e quella della sua compagna o che comunque si potevano ritenere coinvolti con un'alta probabilità; c'era un margine di dubbio, vero, ma Azael come al solito alle conseguenze dei suoi gesti non pensava. Poi seguirono attimi di silenzio in cui l'ascensore salì per raggiungere l'ultimo piano di quella torre di vetro. Quando si fermò le porte si riaprirono e lo scenario che gli si presentò davanti gli sembrò quasi surreale:
Era troppo vuoto e silenzioso quel piano per essere nell'ora di punta.

Dopo esser venuto a capo di quel labirinto, Azael calció la porta bianca, il legno con gli infissi in ferro venne via come un sottile velo di carta esposta e attraversata dal vento quando la suola dello stivale di lui la colpì, e questo gli permise di avanzare sollevando teso il braccio la cui mano impugnava ancora la pistola appena ricaricata. Puntava dritta alla testa del capo del clan cinese, l'unico presente in quegli uffici. Evidentemente i suoi più stretti collaboratori avevano ben pensato di abbandonare la nave voltando le spalle al capitano. Codardi.
      𝗠𝗿. 𝗖𝗵𝗼𝗻𝗴: « Ce ne hai messo di tempo. », da seduto in fondo alla parete opposta il più robusto e vecchio si alzò dalla poltrona girevole.
      𝗔𝘇𝗮𝗲𝗹: « Beh, che dire? Mi piace farmi desiderare.»
Restava il solito sbruffone, dopotutto. Occhi negli occhi i due continuavano a studiarsi mentre Azael avanzava nell'ufficio dall'arredamento molto minimal ed elegante, orientale, da perfetto uomo d'affari che voleva dare la parvenza di un'immagine e una coscienza pulita quando invece dietro la loro organizzazione si nascondevano traffici di droga, armi, corruzione e omicidi; ma ciò per cui Azael era giunto fin lì era per una questione strettamente personale. L'asiatico sorrise divertito, ne era consapevole.
      𝗠𝗿. 𝗖𝗵𝗼𝗻𝗴: « Sai, non mi aspettavo di rivederti. Sei un osso duro... Duro a morire. »
      𝗔𝘇𝗮𝗲𝗹: « Brutto figlio di puttana! »
      𝗠𝗿. 𝗖𝗵𝗼𝗻𝗴: « Come sta la nostra Regina? »
      𝗔𝘇𝗮𝗲𝗹: « Viva. »
      𝗠𝗿. 𝗖𝗵𝗼𝗻𝗴: « Ne sa una più del diavolo quella donna.»
      𝗔𝘇𝗮𝗲𝗹: « L'hai sottovalutata, stronzo. »
      𝗠𝗿. 𝗖𝗵𝗼𝗻𝗴: « Si, hai ragione, devo ammetterlo. Ma non sono neanche l'unico a quanto pare. » e lo disse insinuando il dubbio che non fosse stato lui a premere il grilletto nell'occasione del ventiquattro dicembre in direzione della sua protetta, cosa che Az ignorò.       « Non c'è bisogno di spargere altro sangue, non credi? Adesso sei tu il capo. Che ne dici di sederci al tavolo e stabilire un prezzo per alzare i tacchi e non tornare mai più? Andiamo... » aprì le braccia in segno di un'amichevole resa.      « Sappiamo entrambi quanto ti facesse invidia che una femmina ti fosse sempre un gradino sopra. Oggi potresti guadagnarti il rispetto dei suoi alleati e nemici, di tutto il mondo. Corromperemo qualche agente, piazzeremo un paio di testimoni, e diremo che si è sparata un colpo in testa da sola. ». Con le mani, il signor capelli corvini a scodella, mimó il gesto di puntarsi alla tempia un'arma con la mano destra, tozza, e poi il suo rinculo in seguito ad uno sparo immaginario. Piuttosto teatrale, tipico di lui.      « Lo sapevano tutti quanto fosse già fuori di testa. E cancelleremo per sempre il nome e la faccia di quella puttana dalla storia. Pensaci... Sei stato sempre più capace di lei in queste cose, le hai fatto da maestro ma non è stato sufficiente: ha calpestato i piedi a troppi autoproclamandosi padrona di questo e quello! ». Chong abbassò lentamente le mani, che sparirono dietro la scrivania, pur mantenendo il contatto visivo con l'avversario e un inquietante sorriso sul volto.      « È la tua occasione. Vuoi finalmente la gloria che hai sempre cercato o... Restare 'quel leccapiedi di Sarah Callahan'? ». Dire che avesse torto su tutti i fronti sarebbe una menzogna, perché Sarah era tutt'altro che perfetta: né una brava donna né la migliore degli affaristi per via del suo scarso controllo sul suo equilibrio mentale ed emotivo; ma non vi era creatura più cara al mondo per un essere rinnegato dal Padre ed esiliato da uno dei suoi fratelli che lei. Proprio per questo tutte le ambizioni che inizialmente aveva avuto compiendo i primi passi sulla Terra e riportate a galla gli parvero ora delle emerite stronzate. Che senso avrebbe avuto per lui tutto quello senza la sua più cara amica, la sua nuova famiglia...? Si mostrò dunque disprezzante nei confronti del Chong. Non avrebbe voltato le spalle alla famiglia che s'era scelto come i collaboratori avevano fatto con lui, neanche ne fosse valsa la sua esistenza.
      𝗔𝘇𝗮𝗲𝗹: « Guarda e impara come conduco io gli affari, stronzo. », affilò lo sguardo. Era pronto a sparare. All'improvviso però un movimento brusco da parte del corvino gli fece cambiare obiettivo perché si scoprì che il secondo aveva recuperato una pistola di piccolo calibro da sotto la superficie di mogano mentre cercava di distrarlo con quel discorso sulle sue potenzialità, meriti e soldi. Tesero l'uno il braccio verso l'alto, poi in un altro momento partì un colpo, e regnò nuovamente la pace... Almeno così sarebbe stato per un breve lasso di tempo.

(Qualche minuto dopo...)      Lo sparo fu udibile da ben quattro isolati, poi seguirono le sirene; aveva segnato la fine di quella violenta strage compiuta da Azael, ma questo si era preoccupato di disattivare le telecamere di sorveglianza prima di attuare il proprio piano volto a vendicare la sofferenza che Sarah stava ora attraversando. Perciò polizia ed FBI una volta varcate le porte a vetro dell'edificio a Times Square si ritrovarono davanti a una carneficina.
      𝗕𝗮𝗶𝗹𝗲𝘆: « Per la miseria... », il capo delle indagini sul caso di Sarah Callahan - che aveva sentito una strana puzza del suo perfetto zampino e per questo affiancava anche in quell'occasione la polizia locale, era sbalordito.
      𝗙𝗿𝗲𝗮𝗸𝗲𝘀: « Chi potrebbe essere stato? Una famiglia rivale? », il suo collega lo era altrettanto.
      𝗕𝗮𝗶𝗹𝗲𝘆: « Stai dando per scontato che non possa essere una sola persona? Fossero stati di più, si sarebbero fatti notare... »
      𝗙𝗿𝗲𝗮𝗸𝗲𝘀: « Guardati intorno! Quale uomo, o donna, potrebbe mai essere in grado di compiere tutto questo da solo? Sarà perfino complicato contare i morti.»
      𝗕𝗮𝗶𝗹𝗲𝘆: « Credo di conoscerne qualcuno... Qui a New York ultimamente succedono cose strane. Venti piani, si e no saranno state un centinaio di persone. Come ci è riuscito? Ha usato le scale? L'ascensore? Tutti questi morti e nessun superstite? Nessun testimone che li abbia visti entrare o uscire? Non può essere... », rifletté ad ad alta voce l'afroamericano. Poi si fermò e fece per voltarsi.       𝗕𝗮𝗶𝗹𝗲𝘆: « Aspettate! » I due agenti in abiti formali arrivati al penultimo piano dell'edificio stavano passeggiando tra i corpi inermi, con le scarpe eleganti in pozze di sangue fresco, quando uno dei due si accorse di un uomo, dai tratti asiatici, che allungando una mano sul pavimento sdraiato su un fianco tentava di attirare la loro attenzione muovendo la mano. L'agente speciale Bailey si inginocchió stando attento a non macchiare la divisa e inquinare il meno possibile la scena. Si rese finalmente conto che era ancora vivo quando l'uomo balbettó qualcosa.
      𝗩𝗶𝗰𝘁𝗶𝗺: « Shì tā... »
      𝗕𝗮𝗶𝗹𝗲𝘆: « É ancora vivo! Sta dicendo qualcosa, ma non comprendo. » gridò per richiamare l'attenzione di alcuni paramedici nel corridoio e del collega di bell'aspetto con quella mascella quadrata e quei capelli castani tagliati piú corti ai lati mentre un ciuffo ricadeva morbido sulla sua fronte.
      𝗩𝗶𝗰𝘁𝗶𝗺: « Tiǎn jiǎo zhě... »
      𝗙𝗿𝗲𝗮𝗸𝗲𝘀: « Chiamate un interprete! » urlò il più giovane.
      𝗩𝗶𝗰𝘁𝗶𝗺: « Nemesis...»
      𝗕𝗮𝗶𝗹𝗲𝘆: « Nemesis... Dovrebbe dirci qualcosa? Cos'è Nemesis? In inglese, perfavore. »
Solo quell'ultimo nome risaltó all'orecchio del detective, non che sarebbe stato chissà quanto utile dal momento che Nemesis, l'organizzazione da Sarah fondata e controllata, viveva da sempre nell'ombra e perciò niente poteva dire a quei due agenti. Perfino i membri stessi che ne facevano parte non si conoscevano tra loro, così era meno rischioso perché questo tipo di sistema permetteva che nel caso di un arto malato non rischiasse irreversibile la morte il resto del corpo di quella società, ma esso sarebbe potuto essere amputato e fine del problema. Sarah era stata molto astuta, ma non era esente dalla sua stessa regola imposta.
      𝗩𝗶𝗰𝘁𝗶𝗺: « Shì tāmen... »
Ripeté l'uomo nella sua lingua madre, prima di esalare l'ultimo respiro. I due detective al suo fianco tentarono di farlo riprendere: Bailey gli schiaffeggió piano una guancia nel tentativo di svegliarlo mentre l'altra poneva due dita, indice e medio, all'altezza della giugulare alla ricerca di pulsazioni che non arrivarono.
      𝗕𝗮𝗶𝗹𝗲𝘆: « È morto. Aveva perso troppo sangue. »
      𝗙𝗿𝗲𝗮𝗸𝗲𝘀: « Dannazione... » rispose Freakes gettando il capo in avanti in un gesto di stizza. Non c'era niente che essi avrebbero potuto fare per evitarlo, noi lo sappiamo: l'uomo era stato colpito da un proiettile che aveva perforato un polmone e poi esplodendo al suo interno aveva danneggiato il cuore, inutili anche la chiamata dei paramedici che ad ogni modo verificarono lo stato di morte e ne riportarono i primi dettagli su un taccuino al loro arrivo. Doveva esser stato molto doloroso, un atto crudele quello di lasciarlo lì senza porre fine a quell'agonia, eppure egli aveva avuto la forza di fornire loro un piccolo indizio dalla quale partire a smascherare il colpevole. O meglio... Uno, dei colpevoli.
      𝗔𝗴𝗲𝗻𝘁: « Hey, capo... Guarda qui. » fece un'agente coi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo a Bailey. Questa portava nelle mani uno scatolone ingiallito contenente qualcosa di molto pesante a giudicare dall'inarcamento della sua schiena e l'espressione contratta, erano dettagli che non potevano sfuggire. Si diresse verso di lui e questo si alzò che aveva già gli occhi puntati su quelle che già fiutava essere qualcosa di grande valore. Doveva per forza. Ci sperava.      𝗔𝗴𝗲𝗻𝘁: « Sembra proprio che qualcuno ci abbia voluto fare un bel regalo oggi, per il nuovo anno. Da quel che ho visto ci sono prove che legano i Chong al crimine organizzato, quelle che da anni stavamo cercando... Finalmente qui, signore... ». Bailey non sembrò sorpreso quanto lei e Freakes al suo fianco destro, manteneva la sua solita anonima espressione perché preferiva guardare il lato positivo senza mostrare il suo lato cinico: finalmente in qualche punto di quella complicata e violenta realtà ci sarebbe stata una svolta, quindi per quanto ancora sarebbe stato necessario mostrarsi addolorato per quella disgrazia però più vantaggioso per le forze del bene...?
      𝗕𝗮𝗶𝗹𝗲𝘆: « Ottimo lavoro, agente. Ottimo lavoro. Controlli che non ve ne siano altri e poi carichi tutto sul furgone. Non c'è tempo da perdere. Ogni secondo che passa è un nuovo criminale a piede libero, e noi ne abbiamo parecchi da riacciuffare. »

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