XXXIII. Fratelli


Altair

Aveva reagito male, così tanto da sentire il petto bruciare.
Si era rintanato nella propria auto e aveva cominciato a battere quasi in modo isterico le mani sul volante. Altair odiava piangere. Si sentiva debole, eppure era così liberatorio dare alito a tutto il dolore che aveva covato negli anni con straordinaria dedizione.
Era bastata una piccola miccia per la detonazione.

Inspirò forte l'aria e mise in moto, senza una vera e propria meta. Il suo cuore devastato, però, lo riportò al vecchio parco, dove di solito giocava quando era un bambino, quando aveva ancora il diritto di essere immaturo. Non avrebbe augurato a nessuno la tempesta che agitava il suo animo. Si sentiva smarrito, spaesato.

Si era abituato a essere solo. Eppure, adesso sapeva -anzi aveva l'assoluta certezza- che fosse colpa di suo fratello. Tutte le responsabilità da adulto, che aveva dovuto assumersi a soli quindici anni, gli avevano rovinato l'esistenza. Aveva vissuto con un macigno perenne sul proprio petto. Sempre preoccupato da così tante possibilità. Adesso era stanco.
Voleva solo che tutto finisse, che le voci e le ansie smettessero di tartassargli la testa, strisciando e dilaniandogli le fessure della mente.

Parcheggiò frettolosamente e scese dall'auto, rischiando quasi di scivolare sui suoi stessi piedi.

«Fanculo.» Avrebbe preso a calci anche l'aria se solo fosse stato possibile.

Affondò le mani nelle tasche del giaccone e fece uno sbuffo sommesso. Il ciuffo di capelli si alzò in aria per poi ricadergli dolcemente sulla fronte.
Si guardò attorno.
Era tutto così malinconico ai suoi occhi. Fissò gli abeti sempre verdi e il prato inglese perfettamente in ordine. Tutto si piegava a sinistra, assecondando il vento freddo, che gli sferzò i capelli.
C'era odore di bagnato. Quella notte aveva piovuto incessantemente. Aveva sempre amato ascoltare il ticchettio della pioggia, riusciva in qualche modo a rilassarlo, ma non quella notte. L'aveva trascorsa a rimuginare per buona parte del tempo. Quando aveva deciso di abbandonarsi alla marea dei suoi sentimenti, così come Zalia gli aveva suggerito, era crollato sulle calde coperte e si era addormentato.

Aveva smesso di fare programmi e aveva perso il controllo. Un po' detestava non poter prevedere cosa sarebbe successo, lo faceva sentire impotente di fronte alle infinite possibilità del fato.

Osservò alcune giostre abbandonate, ancora bagnate da alcune gocce di pioggia. Nessun bambino avrebbe voluto giocare col rischio di bagnare i propri vestiti. Si incamminò verso una piccola casetta di legno.
Quando era piccolo amava nascondersi lì durante nascondino.
Insieme ad Andromeda, correvano ovunque mentre Orion contava, dando loro un certo vantaggio.

Andromeda era sempre stata bravissima a nascondino, al punto tale che, un giorno, Orion credette di averla persa e iniziò a chiedere a tutti i bambini e i loro genitori se l'avessero vista. Era riuscito poi a scovare subito Altair, sapendo che la casa era il suo nascondiglio preferito, e insieme avevano cercato la sorella.
Alla fine si era semplicemente accucciata nell'auto di Orion, approfittando del fatto che il fratello la dimenticasse quasi sempre aperta.

Aprì la piccola porta e si abbassò quasi completamente pur di nascondersi all'interno di quella casa per nani. Si accucciò a terra, portandosi le ginocchia al petto e inspirò piano. Fissò il vuoto davanti a sé.

D'istinto si morse la lingua, mentre le lacrime gli bagnavano le guance. Singhiozzò stanco. A volte aveva davvero avuto il terrore e la sensazione che tutti si sarebbero dimenticati di lui, qualora Orion fosse tornato. Non aveva mai avuto il suo carisma e quasi tutti in casa lo davano per scontato. Era il solito Altair, quello che li fermava da fare scelte avventate o azioni illegali. Altair il fratello freddo che non aveva mai saputo godersi la vita.
Tirò su col naso.
Non avrebbe mai detto di essere stato una grandissima figura genitoriale per i propri fratelli, ma aveva cercato di fare il meglio, per assicurarsi che non succedesse nulla e che fossero sempre al sicuro.
Non aveva idea a quindici anni di come ci si prendesse cura di una sorella di dodici e due gemelli di sei anni. Si era dato da fare, si era messo d'impegno in ogni modo. Non era certo che fossero state tutte brillanti idee. Ma ci aveva provato.
Vederli comunque felici e spensierati l'aveva sempre fatto star bene. Non gli interessava quanto il suo animo stesse sanguinando, finché i fratelli erano felici, in fondo lo era anche lui.
Gli bastava fissare la loro tranquillità come in uno specchio per convincersi che tutto sommato non gli mancava nulla, che quel buco profondo nell'anima, quasi come un pozzo infinito, era passeggero.

Sentì dei passi avvicinarsi. Non importava quanti anni fossero trascorsi, avrebbe sempre saputo riconoscere il passo felpato di Orion. Sembrava accarezzasse appena il terreno. Lo sentì bussare a quella porticina e un sorriso gli increspò le labbra.
Un idiota.
Ecco cos'era.

«È occupato o passo dopo?»

«Fanculo.» Si asciugò nervosamente le guance ancora inumidite, passandosi più volte le mani in volto. Di sicuro non era un gran camuffamento. Gli occhi gli bruciavano e dovevano essersi anche arrossati.

Orion ridacchiò piano e aprì la porta. Lo osservò appena e si morse il labbro in tensione. C'era abbastanza spazio per entrambi. Certamente le loro gambe si sarebbero incrociate e la posizione non era delle migliori, ma ad Altair non importava. Voleva restare lì e se Orion avesse avuto da ridire poteva anche andarsene al diavolo.

«Se mi fai un poco di spazio forse ci entro.»

Altair gli scoccò un'occhiataccia e Orion alzò le mani in segno di resa. «Oh. Va bene, non fa nulla, ci entrerò comunque, credo.» Si abbassò ancora un po' per entrare in quello spazio minuscolo e richiuse la porta. Si sedette di fronte a lui, portandosi le ginocchia al petto, imitandolo.

Aveva l'aria stanca, ma quel solito fascino non abbandonava mai la sua figura. Orion inclinò il capo, guardandosi un po' intorno. «Me la ricordavo più grande.»

Altair inarcò un sopracciglio. «Forse perché sono passati più di dieci anni dall'ultima volta che venivamo qui dentro insieme, no?»

«Touché.» Orion sospirò piano. Sembrava a disagio. «Al... mi dispiace. Non ti avrei mai lasciato da solo, mai. Non avrei mai voluto andarmene, ma a volte dobbiamo fare delle scelte che, per quanto possano essere dolorose, sono le uniche possibili. Dovevo tenervi al sicuro.»

Altair storse il naso. Deviò il suo sguardo. Iniziò a fissare la punta delle proprie scarpe. «Questo discorso l'avrebbe capito l'Altair di qualche giorno fa. Quello che si è preso cura di tutti. Adesso hai di fronte il quindicenne che hai ucciso.»

Il volto di suo fratello si rabbuiò. Osservò l'orologio che Altair teneva sempre al polso, quello che lui stesso gli aveva regalato. Gli afferrò il polso, sfilandogli l'orologio. Altair inarcò un sopracciglio. «Allora torniamo indietro nel tempo a quando non ti avevo ancora dato questo, va bene?»

Altair sbuffò scocciato. Roteò gli occhi al cielo. «Non fare l'idiota, so che ti risulta difficile-»

«Tu puoi assecondarmi un momento? Hai o no quindici anni?»

«Non hai vissuto i quindicenni. Ti assicuro che sono davvero in fase ribelle, Leon ed Eris non mi ascoltano mai-» Altair scrollò le spalle esasperato e Orion gli sorrise divertito.

Suo fratello non si lasciò intimorire da quell'atteggiamento scontroso. «Okay, portiamo indietro le lancette a dieci anni fa. Avevi quindici anni, giusto?»

Altair ghignò. «Sono sorpreso, sai ancora fare le sottrazioni.»

Orion gli assestò un calcio leggero. Altair ridacchiò appena, fissando gli anfibi sporchi di fango del fratello. Aveva indosso alcuni vestiti di Robert, li riconosceva. Anche perché era il primo a rovistare nel suo armadio, approfittando del disordine cronico di Robert, che fino ad allora non si era mai accorto di quanti vestiti mancassero.
«Allora mini Al, adesso che ti ho scovato, cosa vuoi fare?»

Altair corrugò la fronte. Avrebbe voluto dargli un pugno sul naso. Sbuffò. «Smettila. Tutto questo non risolverà nulla e lo sai-»

Orion sorrise sardonico. «Sto parlando ad Altair venticinquenne o no?»

Lo detestava. «No.» sbuffò a fior di labbra. «Ma comunque anche a quindici anni non mi sarei nascosto qui-»

«Stai andando troppo nel dettaglio, mi vuoi far parlare?!»

«oh certo. Procedi pure.»  Bofonchiò Altair.
Orion sorrise e gli prese il polso. Aprì la porta e gli fece cenno di seguirlo fuori all'aria aperta. Altair decise di assecondarlo, avrebbe voluto vedere dove sarebbe andato a parare con quella farsa. Ormai era anche quasi ora di cena. «E ora cosa facciamo, genio?»
Non voleva ammetterlo, ma l'idea che suo fratello si stesse impegnando -anche se come un idiota- a farsi perdonare lo faceva sorridere.

«Mi hai appena detto che non vuoi andare a una festa perché ci sono troppe persone-»

«Potresti dare anche a me il tuo copione invisibile? Così so che parte recitare».

Orion lo ignorò, agitando la mano scocciato. Allungò il braccio attorno alle sue spalle e lo tirò a sé. «E io adesso ti dirò che andiamo a mangiare delle alette di pollo, spiegandoti perché non c'è nulla di male se andassi a una festa a bere. Andiamo, seguimi.»

Altair si arrestò. «Non possiamo andare da nessuna parte, potrebbero riconoscerti.»

Orion si dondolò sui talloni, esibendo il suo miglior sorriso. «Chi è qui l'adulto?»

«Avrei molto da ridire... non credo tu lo sia-»

Orion gli assestò una gomitata al fianco. Altair avrebbe davvero voluto poter sorridergli, fingere che nulla fosse successo, ma c'era una vocina crudele nella sua mente che gli urlava di smetterla di fidarsi, che lo avrebbe abbandonato di nuovo.
Sarebbe stato di nuovo solo.
Non voleva abituarsi a quella felicità. L'avrebbe deluso ancora. E questa volta non aveva idea se sarebbe stato capace di riprendersi. Non sarebbe stato abbastanza forte da raccogliere i cocci distrutti della sua anima.

Si guardò intorno. Ormai iniziava a imbrunire e forse avrebbero dovuto far ritorno a casa. Si passò una mano tra i capelli scuri e arricciò le labbra. «Voglio andare a casa... è tardi, Orion. È tardi per fingere che siamo ancora fratelli.»

Orion indietreggiò appena. Scosse il capo, come un bambino capriccioso. «Lo so che ti sto chiedendo tanto. So quanto tu stia male, anzi lo immagino ma probabilmente è solo in minima parte quello che credo.» Si avvicinò piano. Gli occhi sembravano quasi inumiditi e lo vide deglutire più volte, mandando giù un groppone pesante. «Non voglio che mi perdoni adesso, Al. Voglio solo che mi dai un po' del tuo tempo adesso... possiamo farlo?»

Altair sbuffò e annuì con un cenno del capo. Aveva rischiato di perdere di nuovo Orion e si era sentito così stupido. Se anche avesse voluto razionalizzare, sapeva benissimo che l'amore per Orion superava tutto il rancore. Ma in quel momento non riusciva a liberarsi da quello strato avvolgente di rabbia. Si sentiva soffocare, trascinanti a fondo con lei. Si era avvinghiata alla sua pelle con artigli pericolosi e le ferite erano ancora troppo sanguinanti per rimarginarsi subito. «Va bene. Poi torniamo a casa. Gli altri ci aspetteranno... ti aspettano.» si corresse poi.

Orion si morse l'interno guancia e scosse la testa. «Al, ti amano. Non credere di essere una ruota di scorta.»

«Non sono mai stato la prima scelta di nessuno. Nemmeno la tua. Avresti potuto dirmelo, Orion. Avremmo potuto risolvere insieme-»

«Avevi quindici anni. Non dovevi avere la Serpents Agency addosso.»

Altair inspirò, cercando di prendere aria e darsi una regolata. Si passò le mani sul volto, spingendo i ciuffi di capelli all'indietro. «Intanto Eris e Leon sono stati aggrediti. A quindici anni.»

Orion gli posò una mano sulla spalla. Strinse la presa. «E ti assicuro che per questo la pagheranno.» I suoi occhi neri si indurirono all'improvviso. Poi gli accarezzò la guancia. «Adesso vogliamo andare?»

Decise di assecondarlo, se non altro per farlo silenziare, altrimenti avrebbe continuato all'infinito. Lo seguì fino all'auto di Robert e sbuffò piano osservando la propria parcheggiata. Orion sembrò leggergli nel pensiero. «Chiudila e dopo veniamo a prenderla insieme. Adesso ci aspetta un piccolo viaggio.»

«Lo sai che se qualcuno dovesse riconoscere malauguratamente il tuo volto saremmo tutti nella merda?»

«Tranquillo, fratellino. E comunque hai quindici anni, non devi preoccuparti tu di queste cose, ricordi?» Gli aprì la portiera dell'auto e Altair roteò gli occhi al cielo. Si accomodò e attese che suo fratello mettesse in moto.

Man mano che osservava le luci della città essere sempre più vivide, cominciava a riconoscere la strada. Iniziarono poi ad allontanarsi dal centro, per prendere una solita strada sterrata. Riconobbe i vecchi pini secolari e socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal profumo di terra bagnata. Ricordava bene il vecchio pub dove da bambino andavano spesso. Adorava le alette di pollo che preparava e Orion gliele comprava ogni volta che ci fosse l'occasione. Semplicemente era una scusa per stare insieme.

Altair sorrise, pensando a quando a dieci anni usciva da scuola, tenendo uno zaino in spalla più grande di lui e Orion era lì, appoggiato alla propria moto Poppy -un nome ridicolo tra l'altro- aspettandolo.
Lo caricava, accertandosi che non cadesse, dopo avergli dato un casco, che pesava più della sua testa, e andavano in quel vecchio locale.
Si rimpinzavano di alette, mentre Orion ascoltava com'era andata la sua giornata a scuola.

Orion parcheggiò all'angolo e gli tese quindici dollari. Gli ammiccò. «Alette di pollo e patatine. È meglio che vai tu.»

Altair annuì. Ovviamente non avrebbe permesso a suo fratello di cacciarsi in ulteriori guai, se avesse dovuto abbandonarlo di nuovo, l'avrebbe fatto di sua spontanea volontà. Scese dall'auto e quasi istintivamente si voltò a guardare Orion. Impresse la sua immagine nella mente, nel caso in cui decidesse di scappare via mentre ordinava quanto chiesto.

Pochi minuti dopo, uscì dal locale, con due piatti fumanti di alette di pollo e patatine. Aveva preso anche due birre, con alcuni dollari avanzati, e una porzione extra di alette. Era quasi una vita che non faceva una scorpacciata fino a sentirsi male.
Sentì il proprio petto risollevarsi da uno spesso stato d'ansia, quando incrociò gli occhi di Orion, che lo stava aspettando con pazienza in auto.

Aprì la portiera e iniziarono a mangiare in silenzio, sgranocchiando tutto. Erano solo loro, di nuovo, e gli sembrava di essere tornato bambino, con suo fratello accanto. Si sentiva sempre invincibile quando c'era Orion, perché sapeva di poter contare su di lui, qualsiasi cosa succedesse.
Aprì le birre e suo fratello ghignò appena. «Dare la birra a un quindicenne non è proprio un grande esempio-»

Altair rise e scosse il capo. «Sta' zitto.» Cominciò a bere e prese alcune patatine. Iniziò a fissare la natura di fronte a sé, osservando le come degli alberi e i rami, alcuni rinsecchiti, altri più vigorosi.
Orion era sempre stato le sue radici, aveva potuto poggiarsi a lui sempre, erano legati indissolubilmente.
Eppure, negli ultimi anni aveva sentito quel legame spezzarsi.

Sospirò piano. Guardò suo fratello di sbieco e si pulì gli angoli della bocca con un fazzoletto. Aveva ancora le mani sporche di quella salsa piccante. «Mi dispiace.» Sbuffò piano. «Non ho mai desiderato che fossi morto. Ero arrabbiato... scusa.»

Orion si mosse a disagio sul proprio posto e scrollò le spalle. «Non ho mai pensato mi odiassi Al. So che sei arrabbiato, lo sarei anch'io. Per quanto odi ammetterlo, mi somigli e avrei reagito come te e probabilmente non ti avrei nemmeno chiesto scusa come hai fatto tu.» Mandò giù un altro sorso di birra. «Ma adesso ci sono io e non permetterò a nessuno di farvi del male. Adesso ci sono io e non sei più solo. Non dovrei essere per forza tu ad occuparti di tutto. Non ti chiedo di perdonarmi ora, so che sarebbe stupido e non sei un ragazzino, che passa su un dolore simile come se nulla fosse.» Fece scontrare le loro lattine di birra. «Ma ti chiedo di darmi solo altro tempo per riavvicinarci. Perché non c'è stato giorno in questi dieci anni in cui non abbia pensato a te.»

Altair sorrise appena, provando a camuffare il proprio dolore e sospirò piano. Annuì. «Va bene...» Tamburellò con le dita sulle gambe. «Va bene... adesso dovremmo tornare dagli altri.» Sfilò il cellulare dalla tasca, leggendo la sfilza di messaggi che Zalia gli aveva lasciato. Continuava a chiedergli come stesse e se fosse vivo. Sorrise istintivamente, mentre lo schermo gli illuminava lo sguardo.

«Poi quando te la sentirai potremo anche parlare della tua prima cotta.» Orion ghignò divertito.

«Fanculo»




Angolino
Ci sono pochi capitoli che mi piacciono, in generale. Di solito trovo il marcio ovunque e in questo mesetto la sensazione è sempre là, silente.
Però, nonostante ciò, questo capitolo mi piace, forse non com'è scritto, ma per quello che succede.
Comunque sia, alla prossima ❤️‍🩹

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