XXXI. Risveglio
Orion
Dicono che, quando si è in punto di morte, tutta la vita scorra davanti agli occhi come una pellicola di un vecchio film.
Orion, invece, avrebbe voluto poter dire che erano i propri peccati e sensi di colpa ad avergli fatto compagnia.
«Dove stiamo andando ora? Sai che l'appuntamento era almeno mezz'ora fa e hai perso tantissimo tempo solo per aggiustarti quei fastiodiosissimi capelli?» Arthur camminava alle sue spalle. Si lamentava sempre così tanto delle sue idee.
Quel giorno libero gli aveva chiesto di accompagnarlo all'appuntamento con suo fratello Pollux. Non lo vedeva da così tanto tempo ed era riuscito ad organizzare un incontro, dopo diverse difficoltà.
Ultimamente gli sembrava sempre più sfuggente e credeva che fosse stato un vero e proprio miracolo che fosse riuscito a rispondere alle sue chiamate. Aveva occupato per giorni il telefono pubblico dell'Accademia, riservandosi anche qualche occhiata da compagni e non.
Soprattutto da Max.
Orion si chiedeva chi diavolo dovesse chiamare quell'idiota, dava per verità universalmente riconosciuta che nessuno potesse sopportarlo.
«Pollux sa a memoria che faccio sempre mezz'ora di ritardo.» Abbassò lo sguardo sul suo vecchio orologio da polso. Non riusciva a separarsene, nemmeno fosse un bambino. Suo padre gliel'aveva regalato, quando l'aveva visto sgattaiolare di nascosto nel suo ufficio. Aveva un vecchio cinturino di cuoio e gli inserti in oro. Spesso si fermava ad accarezzarlo, come se quel gesto potesse restituirgli il tempo che avevano trascorso insieme. «E poi cos'hai da ridire sui miei capelli? Ci ho messo tantissimo tempo a sistemare il ciuffo, dai altrimenti come potrei ammiccare in direzione di tutte le persone che mi fissano?»
Lo sentì grugnire infastidito. Arthur serrò la mandibola, riuscendo a raggiungere il suo passo e ad affiancarglisi. Aveva la fronte aggrottata, di conseguenza il naso era arricciato e lo sguardo era fisso in avanti. Orion gli assestò una gomitata scherzosa al fianco. «E dai, sorridimi un po'. Giusto un pochetto.»
Arthur scosse il capo e ridacchiò. «Giuro che non ti sopporto. Posso strangolarti?»
Orion si portò le mani al petto, brutalmente offeso. «E poi come faremmo con Max? Come potrebbe continuare a vivere senza essere stato lui a uccidermi?»
Vide l'amico distendersi, rilassandosi di nuovo. Dall'ultima festa la loro situazione era stata un po' tesa. Non credeva che Robert potesse accorgersene, ma gli aveva detto testualmente di smetterla di fare il coglione. Non capiva a cosa si riferisse o in realtà preferiva nasconderlo e tenerselo per sé.
Sapeva quanto fosse stato complicato riuscire a convincere Arthur ad essere loro amico. In realtà credeva che la loro insistenza fosse stata l'arma vincente. Erano riusciti a prenderlo per lo sfinimento, tanto che aveva anche sentito Arthur appellarli come le sue zecche.
L'idea che quel momento mancato -mentre erano in camera insieme nello stesso letto- potesse rovinare la loro amicizia, lo aveva divorato. Eppure, sentiva che ci fosse ancora una certa distanza tra loro. Spingersi troppo in avanti, rischiare ogni cosa, però, lo spaventava altrettanto.
Arthur era una delle persone migliori che la vita potesse fargli incontrare e non aveva voglia di perderlo per delle stupide sensazioni da sedicenne.
Lo sentì sbuffare al suo fianco, mentre camminava nervoso. Si soffermò a fissarlo. «Che ti prende?»
Arthur scrollò le spalle. Si portò una mano in volto, dove un livido violaceo sull'occhio spiccava. Orion doveva ammettere di trovarlo piuttosto carino anche se pestato a sangue. «Non posso crederci che sto buttando il mio giorno libero per seguirti in un discorso "pacifico" con tuo fratello.» Arthur minò con le mani le virgolette alte.
«Scusa, ma avevo bisogno di te.»
Arthur si fermò sul posto e sbuffò scocciato. Sembrava sul punto di esplodere e Orion avrebbe voluto implorarlo di lasciar correre, di non impazzire dietro a teorie, almeno lui. Gli posò le mani sulle spalle. «Senti, me parleremo, te lo prometto. Ma adesso ho bisogno di sapere che ci sei per me. Pollux è strano negli ultimi tempi ed è mio fratello. I nostri genitori non sono al massimo della forma e non posso permettermi altre cazzate, capisci?»
Arthur annuì. «Sei un grandissimo cazzone.» Tuonò. «Ma lo sai, per te avrò sempre tempo. Ci sarò comunque.»
Orion sorrise. Istintivamente sentì il proprio volto contorcersi in un'espressione felice.
Gli fece cenno di seguirlo, verso un vecchio pub all'angolo della strada, poco distante da una vecchia zona abbandonata del porto. Già il fatto che suo fratello avesse organizzato un incontro in una zona malfamata, piuttosto che in qualche ristorante troppo elegante e luminoso, gli destava sospetti pericolosi.
L'aria era umida, l'odore del mare -poco distante- era pungente. Il vento era ancor più freddo e penetrante, tanto che si strinse nella propria giacca di pelle. Vide Arthur tremare sul posto. Aveva sempre sofferto molto il freddo, ma diceva di preferirlo di gran lunga al caldo.
Alzò per un momento lo sguardo verso il cielo, prima di aprire la porta del locale, dalla maniglia unta e quasi appiccicata di nauseante sudore.
Era una notte senza stelle.
Nella sua famiglia era cattivo presagio.
Si sentì inghiottire così tanto nel vuoto. Cadeva senza più un motivo, solo verso il basso. Sentiva le urla degli uomini che aveva ucciso.
Ricordava tutti i loro volti.
Suo fratello lo guardava dall'alto, con un ghigno divertito, come chi aveva sempre saputo che prima o poi l'avrebbe raggiunto. Sembrava soddisfatto.
Erano pari, forse.
Sentì uno scoppio al suo fianco e tremò nervoso. Lanciò un urlo e si risvegliò nel lettino dell'infermeria. Riconobbe in lontananza le tende dell'esercito. Si portò una mano in volto, spaventato.
«Vuoi un bicchiere d'acqua?» Maximillian era di fronte a lui. Un rivolo di sangue si era rappreso sulla fronte. Sembrava stanco.
«Che ci fai tu qua?»
«Mi accerto che almeno tu non abbia perso parti del corpo.» Gli tese ancora il bicchiere, infastidito dal fatto che non l'avesse accettato prima di buon grado.
Orion sbuffò. Si mise seduto, muovendosi lentamente. Aveva dei dolori lancinanti alla testa, le tempie sembravano voler scoppiare. Prese il bicchiere e iniziò a bere. Improvvisamente si sentì un po' meno pesante, come se quel sapore ferroso in bocca stesse scivolando via. «Cos'è successo?»
«Brutta granata. Tu ne sei uscito indenne. Robert ha perso un piede.»
Sentì il cuore mancare un battito. Il suo migliore amico aveva bisogno di lui. Fece per tirarsi in piedi, ignorando tutti i dolori disseminati lungo il corpo, ma sentì la presa di Max tirarlo subito giù. Sembrava nervoso. I suoi occhi saettavano per la stanza. «Hanno detto che devi restare nel letto.»
«Sei davvero premuroso a preoccuparti per me, ma fottiti. Non mi interessa di te, dei medici, di tutto questo! Dove diavolo sono gli altri?! Arthur?» Orion alzò la voce.
Maximillian lo guardò male. Il suo volto si indurì. «Ne siamo usciti vivi tutti per miracolo, perché quel micro cervello non ci arriva?»
«Dove cazzo sono gli altri.»
«Arthur è dal paramedico. Sta facendo una visita oculistica, ha rischiato di perdere la vista. Syria è a dare una mano agli altri soldati assieme a James e Andrew-»
«Orion!» Il diretto interessato fece il proprio ingresso. Andrew gli corse incontro, travolgendolo in un caloroso abbraccio. Lo sentì singhiozzare come un bambino. Le lacrime gli bagnarono la maglia. Lo strinse a sé, come un fratello più piccolo. Era sempre stato il ragazzino allegro del gruppo. Da quando erano partiti in quella missione, dispersi in uno dei tanti deserti, era cambiato.
Tutti loro erano cambiati in un certo senso.
Qualcosa si era rotto nel loro animo e ritornare indietro era diventato impossibile.
Andrew era diventato paranoico. Non dormiva la notte. Vagava nell'accampamento come un disperato. A volte urlava all'improvviso. Si dondolava su se stesso e sembrava ormai un fantasma.
Tutto da quando aveva visto uno dei suoi amici saltare in aria, dopo che un bambino soldato aveva portato una bomba sul posto. Si era pietrificato. Non aveva avuto la lucidità di sparare a un bambino. Orion non riusciva a recriminarglielo: probabilmente avrebbe fatto lo stesso in quella situazione.
Potevano iniettate loro ogni genere di siero, ma nulla li avrebbe preparati a quell'evenienza. Nulla li avrebbe preparati a uccidere persone che non avevano mai odiato.
Gli prese il volto, allontanandolo, e gli sorrise. «Sto bene, tranquillo.»
Max li osservava in silenzio. Andrew era l'unico del loro gruppo che neanche lui riusciva ad odiare.
«Ti avevo detto di restare fuori.» Il suo tono, però, non era arrabbiato, quanto più preoccupato. Abbassò il fucile e sbatté un paio di volte le palpebre. Orion si chiese da quanto tempo Max non dormisse, sembrava esausto.
«E io volevo vedere uno dei miei migliori amici.» Andrew rispose bruscamente. Sbuffò piano, biascicando poi delle scuse sommesse. «Gli hanno messo una protesi ad alta tecnologia... Arthur, invece, sta bene.»
Orion annuì con un lieve gesto del capo. Doveva vedere in ogni modo Robert. Andrew lo abbracciò ancora e gli sussurrò all'orecchio. «Ti prego... ti prego. Te l'ho chiesto già tempo fa... uccidimi Orion. Non ce la faccio più. Voglio andare via.»
Gli si accapponò la pelle. Quando si allontanò da lui, vide il suo volto tumefatto. Un bossolo gli squarciava la fronte e il sangue grondava lungo tutto il suo volto.
«È colpa tua. È sempre colpa tua.» Pollux era di fronte a lui, vacuo come un fantasma e col solito sorriso inquietante. Lo stesso con cui lo aveva aggredito nel pub.
Poi c'erano i suoi fratelli. Lo guardavano in lontananza, mentre disperatamente si aggrappava a un ramo pur di non cadere nel burrone, nel buco nero della sua morte.
Non poteva. Era morto già due volte. Non era pronto ad accogliere la Morte per la terza volta. Doveva aiutare Altair, Andromeda, Eris e Leon.
Non poteva lasciarli andare.
Sgranò gli occhi, tirandosi improvvisamente a sedere. Riconobbe la stanza. Era la camera di Altair. Osservò alcune rappresentazioni del corpo umano e dei suoi organi. Istintivamente si passò una mano sul petto.
«Dio santo! Sei vivo.» Arthur si tirò in piedi, alzandosi dalla poltrona. Doveva avere un aspetto tremendo a giudicare dalle occhiate che gli lanciava.
«Sai? È bello poter vedere il tuo brutto volto come risveglio post morte. Sul serio, un grande spettacolo.»
Arthur rise e gli si lanciò addosso, travolgendolo in un abbraccio. Si staccò poco dopo, inclinò il capo. «Come ti senti? Fisicamente dico. Riesci ad alzarti?»
Si tastò le gambe. Quel dolore che sembrava strozzare ogni organo e arteria del corpo sembrava svanito. «Sì. Credo di-» Si accasciò su se stesso, quando Arthur gli assestò un gancio destro allo stomaco. Tossì forte. «Va bene. Suppongo che me lo meriti-»
«Dieci anni. Dieci fottutissimi anni.» Arthur gli urlò contro.
Orion storse il naso. Doveva aspettarselo.
Si lasciò cadere sul letto e sospirò piano. «C'è una spiegazione, davvero.» Tossì. «Hai ripreso ad allenarti? Perché anche nello scontro nel garage tu e Robert mi sembravate più prestanti-»
Vide la solita vena del collo dell'altro ingrossarsi. Ricordava che fosse particolarmente spaventosa. Arthur era abbastanza incline alla rabbia, soprattutto quando era lui a combinare qualche guaio. «Eri tu? Perché diavolo ci hai aggrediti?»
Sbuffò. «Insomma- una domanda alla volta, no? Dai dammi una tregua, sono appena tornato in vita dalla morte per la terza volta.»
«Ti giuro che ho così tanta voglia di spaccarti la faccia-»
Si liberò delle coperte. Provò ad alzarsi, ma le gambe cedettero, facendolo cadere di nuovo sul materasso. La testa aveva preso a vorticare e forse avrebbe dovuto fare qualche movimento con più accortezza. Si massaggiò il collo. «Come stanno gli altri?»
«Credo che Leon, Eris e Andromeda sospettassero fossi vivo, anche se ne eravamo all'oscuro. Sono preoccupati ed eccitati insieme.»
Socchiuse gli occhi. Prese un grosso respiro. «E Altair?» Aveva paura di chiederlo. Aveva sempre avuto un rapporto viscerale con lui. Gli aveva insegnato ad andare in bicicletta, a non aver paura di esprimersi, sia nelle emozioni sia con la sua arte. Ogni suo pensiero era sempre stato dedicato a lui, al peso che gli aveva lasciato come eredità e fardello.
Arthur sospirò piano. «Non ti voglio mentire. Non sarà facile... insomma è Altair. Ha bisogno di tempo.»
Sentì la porta aprirsi e vide Robert affacciarsi. Il suo volto si illuminò in un sorriso enorme. Si richiuse la porta alle spalle e gli andò incontro. Orion si tirò in piedi e si lasciò trascinare in un forte abbraccio. «Credo tu mi abbia detto "non morire brutto stronzo."» ridacchiò. «Volevi dire bellissimo stronzo, giusto?»
«Idiota.» Robert si sistemò la camicia. Sembrava più adulto, adesso che lo osservava meglio. Gli era mancato. Gli erano mancati tutti loro.
«Grazie... mi avete salvato il culo.»
Arthur e Robert scrollarono le spalle. Erano felici di vederlo. Probabilmente ancora un po' arrabbiati, ma sapeva che fosse difficile odiarlo per troppo tempo. Il primo gli fece cenno di sedersi e obbedì. Dai loro sguardi riusciva a capire che avessero intenzione di parlargli prima di raggiungere gli altri.
«Ci sono due ragazze con noi. E penso tu sappia chi sono.» Robert si passò una mano sul volto, massaggiandosi poi il mento.
Annuì. Aveva giurato anche a Drew Cortez che avrebbe fatto in modo da tenerle al sicuro. Non aveva mantenuto personalmente la promessa, ma i suoi amici se n'erano occupati per lui. «Sì. Purtroppo conosciamo abbastanza bene anche i loro genitori.» Lanciò una breve occhiata ad Arthur, incupitosi di colpo. Ricordava benissimo le loro avventure. Avevano iniziato a comportarsi come dei veri animali, oscurati dalla sete di vendetta. A volte pensava che parte della loro anima fosse morta in guerra. Credeva che quell'esperimento avesse ucciso un po' della loro umanità. Aveva iniziato a vedere il mondo con lo sguardo di un cane rognoso, alla ricerca di sangue. «Dopo che Arthur decise di tirarsi fuori dalla nostra piccola organizzazione-»
«Stavate facendo troppe stragi e attirando attenzione. Vi credevano terroristi-»
Orion agitò la mano. Erano dettagli insignificanti. Avevano perso tutto e il governo e la Serpents Agency li avevano minacciati anche troppo. Avevano perso abbastanza. «Quando ho finto la mia morte, ho continuato a cercare anche loro, ma sono stati più veloci a trovarmi. La Serpents Agency stava e sta lavorando su un'evoluzione del nostro siero. Non volevano essere coinvolti, non più e avevano bisogno di una copertura. Così io li avrei aiutati a restare in vita e loro mi avrebbero aiutato a distruggere l'Agenzia. Solo allora potevo ritornare a casa, ma la storia ha assunto pieghe inaspettate-»
Robert lo guardò serio. «Stai mentendo?»
Orion lanciò un'occhiata ad Arthur. Non potevano non credergli. Cercava un aiuto almeno in lui. Lo vide scuotere il capo. «Sono passati dieci anni. Hai mentito per tutto questo tempo e, diciamocelo, sei sempre stato un grandissimo imbroglione.»
Rise nervoso. Serrò i pugni. Vide i suoi amici irrigidirsi. Non doveva indossare uno sguardo pacificatore e tranquillizzante. «Non ho mai mentito a voi. Ho fatto tantissimi errori, non lo nego. Ma stavo solo cercando di difendere la MIA famiglia. E non mi interessa se non capirete, so che fingendomi morto avrei tenuto tutti lontano dai miei fratelli. Morto io, morti i problemi dell'Agenzia con me.» Scosse il capo e batté un pugno sul materasso. «Quindi no. Non sto mentendo. È tutto ciò che so.»
Robert lo guardò storto. «E allora dove diavolo sono i coniugi Cortez? Perché sono scomparsi? Perché ci sono messaggi in cui li minacci in decine di modi?!»
Si sentiva come un topo all'angolo. Deglutì a fatica. I suoi amici non si fidavano di lui.
Era solo.
Di nuovo.
Pollux lo guardava da un angolo della stanza, con un sorrisetto compiaciuto a increspargli le labbra. Aveva ancora la camicia insanguinata, dove era stato accoltellato. Il sangue a volte sembrava grondare ovunque. «Nemmeno loro ti sostengono più... hai proprio delusi tutti, eh?»
Strinse i pugni. Non poteva rispondergli. Non poteva permettersi di apparire pazzo, la sua credibilità era già ai minimi storici. «È vero, volevo ucciderli. Insomma, ci hanno rovinato la vita. So che è anche colpa nostra, ma eravamo dei ragazzini con deliri di onnipotenza.» Iniziò ad agitare la gamba su e giù. «Li ho minacciati, ma non li ho uccisi, non l'avrei mai fatto.» Sbuffò. «Dovevamo incontrarci in un posto. Io li avrei aiutati a nascondersi e poi avrei portato da loro le figlie, ma non si sono mai presentati nel luogo d'incontro e sono andato via, per evitare che la Serpents Agency mi scoprisse. Purtroppo avevano capito quali fossero i loro piani. Poi ho scoperto, dai giornali, che fossero scomparsi.»
Arthur serrò la mandibola. Leggeva nel suo sguardo la disperata voglia di credergli. Orion ancora ricordava il litigio con cui si erano detti addio, prima del suo incidente. Avevano fatto così tanta strada assieme, poi tutto era precipitato.
L'aveva accusato della morte di sua sorella Lily e un po' non riusciva a scrollarsi da dosso tutte le parole al veleno che gli aveva urlato con rabbia.
«Perché è sempre colpa tua, no? Non mi hai mai visto, hai sempre e solo pensato a te stesso e ora io ne sto pagando le conseguenze. Non ti seguirò più. Mai più. Ho perso mia sorella. Ho perso la mia famiglia. Fottiti.»
A volte gli rimbombavano ancora nella testa. Arthur non aveva voluto seguirlo, quando aveva deciso di mirare ai politici dietro l'operazione e al loro generale, che si nascondeva come un ratto al comando alla Serpents Agency.
«Sto dicendo la verità.»
Robert lo guardò negli occhi e sospirò piano. «Lo so, ma dovrai aiutarci a trovare i genitori delle ragazze. Se sei ancora vivo, è grazie a loro. E adesso dobbiamo risolvere questa storia. Una volta per tutte.»
Orion annuì e si tirò in piedi. Avrebbe smantellato insieme ai suoi amici quell'organizzazione e avrebbe ricostruito poco a poco i legami con la sua famiglia.
Non voleva scappare.
Non più.
Seguì i suoi amici fuori dalla camera. Ogni passo diveniva sempre più pesante. Le mani presero a tremargli nervose, mentre, scendendo le scale, sentiva le voci dei suoi fratelli in salotto.
Non aveva nemmeno idea di cosa dover dire.
All'improvviso si rese conto che dieci anni erano tanti.
Leon ed Eris non erano più dei bambini di sei anni, ma quasi adulti.
Tutti si ammutolirono quando varcò l'ingresso del salotto.
Altair se ne stava seduto su una poltrona. Il suo sguardo di ghiaccio gli si piantò addosso.
«Ti odia e ti odierà sempre.» Pollux gli dava il tormento.
Deglutì. Fece per aprire bocca, ma Leon ed Eris gli si lanciarono addosso, travolgendolo in un forte abbraccio e si strinse a loro. Alzò lo sguardo verso Andromeda, che a testa bassa, gli si avvicinò, poggiando la testa contro il suo petto.
Forse era questo quello che più gli era mancato: il loro amore. Non c'era bisogno di tante parole. Esistevano solo loro. Per Orion sarebbero stati per sempre la sua unica priorità.
Le due Cortez erano accomodate sul divano, leggermente a disagio. Un altro ragazzo, dallo sguardo familiare lo osservava confuso, standosene accanto ad Altair.
Suo fratello lo guardava con rabbia. «Suppongo tu ci debba delle spiegazioni... non trovi?» Abbassò lo sguardo sull'orologio da polso. Quello che una volta era il suo.
Sentì una sensazione scaldargli il cuore. Altair poteva anche detestarlo, ma l'avrebbe sempre portato con sé.
Angolino
La famiglia è allegramente riunita.
Non vedete la felicità di Altair?💀
Alla prossima ❤️🩹
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