XXVIII. Svolta

Robert

Gli sembrava che tutto stesse procedendo fuori controllo. Il treno di quella famiglia era deragliato da un pezzo, ma -volendo mantenere un atteggiamento testardamente positivo- si aspettava che tutto andasse a rotoli molto prima.

Si sciacquò per l'ennesima volta il volto con dell'acqua gelida. Aveva processato così tante informazioni da esserne confuso. Dopo il piano suicida di Altair e gli altri, erano tornati a casa e avevano letto tutte le informazioni nascosti in quella vecchia chiavetta usb.

Il suo migliore amico era vivo. Sorrise quasi d'istinto, mentre si guardava allo specchio. Eppure si chiese perché avesse voluto fare tutto da solo, quando lo avrebbe aiutato in ogni modo possibile, con qualsiasi mezzo.

«Fino alla fine, giusto?»

«Fino alla fine, ma non farla così drammatica, Orion. Stiamo solo nascondendo delle sveglie in tutte le stanze dell'accademia. È solo uno scherzo.»

Orion ghignò al suo fianco, mentre si acquattava contro il muro. Erano sensazioni eccitanti, diverse. Ogni giorno era un'avventura e Robert sapeva di star muovendo sempre di più un passo in avanti verso la propria espulsione.
Ma volevano solo divertirsi e, in quel momento, nascondere sveglie ovunque gli pareva una bellissima idea. Non aveva di certo in mente la punizione che sarebbe seguita.
Lavare i bagni non era mai piacevole.

Stavano aspettando che tutti si allontanassero per andare a pranzare. Di solito per quell'ora quasi tutti dimenticavano le camerate aperte.

Arthur li acciuffò per le orecchie, costringendoli ad arretrare. Li trascinò in un vecchio ripostiglio, tra scope, secchi e polvere, tanta polvere. «Siete due idioti.»

Robert si liberò dalla sua presa e si imbronciò. «Mi fai male all'orecchio, mamma. Puoi lasciare ora?»

Orion, invece, non appena vide l'amico, si illuminò in volto e sorrise felice. Se avesse potuto, quel sorriso avrebbe accecato tutti nella stanza. «Però, ammettilo, siamo i tuoi idioti preferiti.» Gli punzecchiò il fianco con una gomitata.

«Cerco solo di evitare che facciate stronzate, ma a quanto pare ho sottovalutato il tuo cervello da gallina.»

«Sappi, mio caro, che sto facendo appello a tutta la mia forza di volontà per non offendermi.» Orion gli picchiettò un dito sul petto.

Arthur lo guardò storto. Robert li osservava con la coda dell'occhio, tornando poi a prestare attenzione, attraverso lo spioncino, al corridoio. «La prossima volta chiudetevi da soli in uno sgabuzzino.»

Sentì Arthur alle sue spalle irrigidirsi. Orion ridacchiò, avvolgendo il braccio attorno alle sue spalle. «Beh, effettivamente si sta stretti qui dentro in tre, Rob. Tu potevi anche prendertene uno da solo, il tuo ego non entra tutto qui.»

«Giusto, perché il tuo sta già traboccando.» Arthur ci tenne a intervenire.

«Ma tu da che parte stai, scusa?»

«Zitti.» Robert sbuffò esasperato. Si chiese ancora perché avesse accettato di diventare il migliore amico di Orion. Da quando si frequentavano le sue detenzioni erano quasi triplicate.

Gli mancava. Tornò a fissare la propria figura allo specchio. Era da poco uscito da una doccia calda e aveva avvolto un asciugamano attorno alla vita. Di tanto in tanto ripercorreva alcune delle cicatrici che gli squarciavano gli addominali e storse il naso osservando ancora il segno di un vecchio proiettile al fianco.
Posò la mano sulla spalla destra, dove un tatuaggio a forma di K spiccava. Era lo stesso che avevano anche Arthur e Orion. Avevano deciso di tatuarsi qualcosa che non avrebbe mai cancellato il dolore e il sangue che li avevano cresciuti.

Sbuffò piano, stringendo forte tra le mani il lavabo, al punto da far impallidire le nocche. Altair era stato in pericolo il giorno prima. Se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.

Voleva trovare il suo migliore amico, aveva bisogno di aiutarlo. Se era stato lui ad introdursi in casa in piena notte -e ormai ne era certo- era perché disperato. Senza quell'antidoto sarebbe morto. Non aveva idea di come fosse riuscito a procurarselo negli anni precedenti, ma adesso doveva esserne a secco. Tra l'altro ne era rimasto pochissimo, nemmeno abbastanza per essere mezza dose.

Orion stava morendo.
E adesso non l'avrebbe permesso. Ora aveva la possibilità di aiutare il suo migliore amico, il fratello e la famiglia che la vita gli avevano negato.

Doveva trovarlo e capire cosa sapesse. Era chiaro che fosse riuscito a scoprire qualcosa di importante, al punto da allearsi con gli scienziati, che erano stati al capo del progetto che gli aveva rovinato la vita.
Orion aveva promesso che avrebbe salvato le sorelle Cortez.
Doveva essere a conoscenza del fatto che stessero riproducendo il siero e voleva fermare il progetto della Serpents Agency con il loro aiuto.

Non c'era altra spiegazione logica.
E se Orion aveva tentato di tenere al sicuro Zalia e Yen, allora doveva fidarsi di lui e continuare a fare qualcosa in cui non era riuscito. Non del tutto per lo meno.

Si rivestì velocemente e uscì dal bagno. Ormai era sera inoltrata e poteva sentire i ragazzi chiacchierare post cena.
Era una strana tranquillità e avrebbe fatto di tutto pur di non interromperla.
Altair era andato a recuperare sua sorella. Apprezzava come ci tenesse a prendersi cura di ognuno di loro, soprattutto dopo il rapimento mancato. Avevano bisogno di lui.

Dimenticava quanto riuscissero ad essere rumorosi e fastidiosi anche per la più piccola sciocchezza. Non a caso, quello stato di paradisiaca serenità venne spazzato via dall'ennesima discussione inutile.

Altair era seduto sul divano a guardare la televisione. La legna nel caminetto crepitava e Leon correva per casa insieme ad Anita, giocando con qualche pallina o oggetto da tirare.
Zalia se ne stava accucciata su una poltrona accanto a sua zia e a sua sorella, che, invece, facevano delle parole crociate.

Incrociò lo sguardo di Yen, non appena mise piede in salotto. Abbozzò un mezzo sorriso. A volte era difficile captare cosa frullasse nella testa della donna. Aveva sempre la sensazione che volesse ucciderlo o estrargli il cervello per venire a conoscenza di ogni suo pensiero o preoccupazione. Sentì il cuore perdere un paio di battiti e si massaggiò il petto, da sopra al caldo maglione.

Andromeda fece il suo rumoroso ingresso in salotto. Teneva le cuffie poggiate contro il collo e camminava impettita verso il divano. Con un salto si accomodò accanto a suo fratello maggiore e gli sfilò il telecomando dalle grinfie. Cambiò poi canale.

Arthur gli lanciò un'occhiata disperata. Di lì a poco il caos li avrebbe circondati.

«Scusa? Stavo guardando un documentario.»

Izar, accanto ad Arthur, ridacchiò. Era l'unico che riusciva a vivere con leggerezza quelle discussioni. Rideva sempre, era felice. Eppure, Robert aveva notato i suoi occhi un po' più malinconici, circondati da un alone di preoccupazione negli ultimi tempi.

Andromeda scrollò le spalle. «E noi ci siamo rotti il cazzo di vedere come i lupi seguono uno schema preciso nel branco durante gli spostamenti.» Iniziò a cambiare nervosamente ogni canale, facendo zapping e riuscendo a far girare la testa a tutti.

Altair, sempre più teso e nervoso negli ultimi tempi, si imbronciò. Quando qualcosa sfuggiva al suo controllo, tornava ad essere il bambino che non era riuscito mai a far urlare. «Oh certo. Anche io adoro vedere così la televisione. Non solo mi girano le palle degli occhi, ma anche le palle in generale.»

Andromeda rise e si portò una mano alla bocca sconvolta. «Oh mio dio! Sai dire le parolacce! Che succede, Al? Sei andato da un logopedista di recente?»

Altair scattò per strapparle il telecomando dalle mani. Robert si poggiò contro lo stipite della porta, incrociando le braccia al petto. Zalia e Yen li guardavano confuse. Forse non erano ancora abituate ad Altair che perdeva il controllo.

Andromeda si alzò più velocemente del fratello e lanciò il telecomando tra le mani di Eris, che si limitò a scrollare le spalle divertita. «Adesso sai cosa ci vedremo?»

Altair alzò un dito, puntandoglielo contro. «Smettetela! C'ero io per primo. Dammi quel dannato telecomando.»

Leon rise, mentre tirava uno dei giochi ad Anita. Il cane abbaiò felice, iniziando a correre per recuperare il gioco. I suoi passi rimbombavano per casa, rendendo l'atmosfera ancora più caotica. «Cosa fa impazzire Al più del disordine?»

«Smettetela. Giuro che ve la faccio pagare.»

«Un bellissimo reality trash che non ha alcun senso!» Andromeda rise felice, mentre Eris cambiava canale.

Altair lanciò un urlo esasperato. «Perché non posso mai guardare un po' di televisione in pace?»

Robert si passò le mani in volto. In sottofondo tutti i fratelli iniziarono a litigare. Quasi perse il contatto con la realtà, riusciva solo a sentire frasi come:

"Hai rotto il cazzo"

"Forse dovresti lavarti, puzzi di noia"

"Ti stacco la testa"

"Ti spezzo l'ultimo braccio buono che ti resta"

Robert batté le mani, attirando le attenzioni di tutti su di sé. Arthur suonò un tasto del pianoforte, dal suono grave per rendere più profonda la sua prossima dichiarazione. A volte era un ulteriore bimbo da tenere sotto controllo. «Bambini! Perché non andate a vedere qualcosa ognuno nella propria camera?»

«NO!» Urlarono tutti e quattro.

Zalia alzò la mano, come a chiedere il permesso per parlare, come a scuola. «Se guardassimo tutti un film insieme?»

Robert sentiva che quella fosse l'alba dell'ennesima nuova discussione. Altair corrugò la fronte, come a pensare bene alle prossime parole. Si scambiò un'occhiata silenziosa coi propri fratelli e scrollò le spalle, arreso. «Va bene, ma comunque era davvero un bel documentario.»

Zalia e Andromeda lo colpirono con due cuscini in contemporanea.
Robert sorrise appena e andò ad accomodarsi su uno dei divani, accanto ad Arthur. Aveva visto gli effetti della speranza sul volto del suo amico, sembrava quasi più rilassato, aveva ripreso un po' di colorito. Eppure, c'era sempre qualcosa che lo preoccupava molto, divorava la sua essenza vitale.

Mentre in sottofondo c'erano tutti i ragazzi, accucciati davanti al camino su un enorme tappeto caldo, a discutere sul film da vedere, mantenendo comunque toni tranquilli, Arthur fissava il vuoto, perso nei propri pensieri.

Gli schioccò le dita davanti agli occhi. Sussultò. «Che c'è?»

«Cosa ti turba?» Robert intrecciò le braccia al petto e poggiò il capo contro lo schienale. Teneva lo sguardo fisso in avanti e osservò Yennefer di fronte. Era intenta a chiacchierare con sua zia, ridacchiava di tanto in tanto. Aveva notato una smania particolare, tendeva ad arricciare i capelli attorno alle dita quando nervosa e corrugava spesso la fronte. C'erano alcune rughe d'espressione che prendevano forma e risaltavano quando arricciava il naso.

Arthur sbuffò sommessamente. Si passò una mano dietro al collo. «Penso che stia morendo e che dobbiamo trovarlo prima che succeda. Ormai tutti loro sanno che Orion è vivo e uccideremmo le loro aspettative in partenza... e anche le nostre.»

Robert annuì. «Ho una mezza idea, in realtà.»

Vide Yennefer alzarsi dalla propria seduta per andare incontro ad entrambi. C'era una sorta di eleganza altezzosa nei suoi gesti, eppure non la trovava antipatica. Aveva ripromesso a se stesso che non avrebbe mai amato più nessuno; il suo mondo aveva messo già abbastanza in pericolo le persone che amava. Aveva avuto una sola relazione piuttosto seria, al punto tale da sentirsi pronto a convolare a nozze, ma da quando quel siero aveva cominciato a scorrere nel suo sangue -inquinandolo-, tutto era cambiato.
Anche la percezione della realtà. Aveva iniziato a vedere davvero come fosse il mondo, non più con gli occhi di un ragazzino con la testa sempre volta agli scherzi e al divertimento.

Quando avevano chiuso l'operazione, poi, avevano minacciato ognuno di loro, sui punti più deboli. Per Arthur avevano puntato sulla sorella Lily, per Orion sulla sua intera famiglia.
Robert, invece, era sempre stato solo, non abbastanza da meritare una famiglia adottiva, era cresciuto in un orfanotrofio per molti anni. Lo avevano punzecchiato su Abby, l'unica donna a cui avesse mai tenuto prima di allora.
Così l'aveva lasciata. Doveva difenderla, non poteva permettere che il governo o la Serpents Agency le facessero qualcosa. Inoltre, avevano così tante informazioni su di loro, sulle missioni illegali -a cui li avevano costretti- che avrebbero sempre avuto il coltello dalla parte del manico.

Aveva ripromesso che nessuno avrebbe fatto talmente breccia nella sua anima, ma cuore e mente non andavano mai d'accordo. Si prendevano a pugni con forza, stordendolo e lasciandolo in balìa dei propri sentimenti contrastanti.

Yen si fermò al centro tra loro. Inclinò il capo. «Avete intenzione di farmi spazio o no?»

Arthur ghignò appena, scivolando lateralmente. Così la donna si accomodò tra entrambi e accavallò le gambe.

Un urlo attirò la loro attenzione. Zalia era riuscita a strappare il telecomando dalle mani di Altair e saltellava felice. «Mi dispiace, Frozen, hai perso.»

Fece partire un film horror o per lo meno fu quello che Robert riuscì a comprendere. Abbassò lo sguardo su Altair. Era un evento raro, ma sembrava che sulle sue labbra fosse affiorato un sorriso stentato. Non vedeva da tempo i suoi occhi alleggerirsi di tanta pesantezza. Inclinò il capo, distratto a guardare il ragazzo.

Arthur gli picchiettò la spalla, non curandosi di Yennefer al centro tra loro. «Vedi quello che vedo io?»

Annuì. «Un miraggio.»

Yennefer li osservava confusa, scosse poi il capo. Sfilò dalla propria borsa un tablet e iniziò ad aprire alcuni file. Robert aggrottò la fronte, riconoscendo i fascicoli su di loro e le conversazioni tra Drew Cortez e Orion. Aggrottò la fronte, in un'espressione confusa.

Le luci si spensero, in un perfetto effetto cinema.
Leon corse ad accendere l'impianto surround, che creava quel rimbombo particolare. Robert era sempre più convinto che, in fondo, in quella famiglia fossero tutti dei megalomani. Eleonore si alzò dalla propria postazione e, insieme ad Arthur -che sembrava intenzionato a lasciarlo solo in balìa del potere che Yen aveva su di sé- per preparare dei popcorn.

Robert si morse l'interno guancia. «Che stai facendo?»

«SSSH!» Eris lanciò un cuscino nella sua direzione, colpendolo in pieno volto. Alzò lo sguardo sulla ragazzina, che aveva preso a sghignazzare insieme agli altri.

Yennefer sorrise e si avvicinò a lui, per poter parlare a bassa voce. Per quanto trovasse piacevole quel profumo, era abbastanza certo fosse una pessima idea. «Ho pagato un hacker oggi, per risalire all'ultima postazione nota di Orion. L'ultimo messaggio risale a un mesetto fa, poco prima che scomparissero i miei genitori.» Chiarì poi, sussurrando quelle parole per non alterare il piccolo pubblico adolescente.

«Tu cosa?» Sbatté le palpebre confuso. «È folle, non credi sia un tantino, ma un tantino pericoloso?»

Yennefer scrollò le spalle. «Al momento non m'importa di nulla. Voi volete Orion e lo voglio anche io. Credo possa aiutarci a trovare i miei genitori, soprattutto adesso che è chiaro che stessero collaborando in modo un po' strano.»

Scosse il capo. Era pericoloso. Però, poter risalire all'ultima posizione di Orion dava loro un vantaggio importante. Picchiettò con le dita sulle gambe, in tensione.
Il profumo al bergamotto di Yennefer stava iniziando a inondargli la mente e le sue sensazioni erano annebbiate.

Yennefer gli posò una mano sul polso e rabbrividì appena. Le dita, affusolate, erano anche fredde. Istintivamente, le coprì le mani per riscaldargliele, senza neanche rendersi conto del gesto. «So che sono state giornate stancanti, credimi. Siamo vicini alla verità, però.»

Robert inarcò un sopracciglio. «Quindi ora ti fidi di noi o è qualche strana macchinazione mentale?»

«Caro, soggetto due-» Rabbrividì sentendo quelle parole. Sapeva fosse scherzosa, sapeva leggere un tono di voce, eppure gli si accapponò la pelle.

Un breve flash gli illuminò quasi lo sguardo.

«Non farà male. È solo una puntura.» Drew Cortez lo guardava con serenità.
Nella sala di fronte a loro, i suoi amici riposavano su alcuni lettini, che gli ricordavano così tanto gli ospedali. Detestava gli ospedali, gli davano un particolare senso d'angoscia e oppressione.
Sentiva l'aria mancargli.

«Cosa stai iniettando?»

Paul Kinglsey lo costrinse a sedersi, poggiandogli entrambe le mani sulle spalle. Si fidava di lui. Era il loro generale. Li aveva cresciuti, allevati. Gli aveva insegnato quasi ogni cosa della battaglia, quella vera, del mondo reale.

«Stai tranquillo, Rob. È un esperimento che vi renderà degli eroi per la Nazione.»

Robert storse il naso. Era andato in Accademia solo perché sperava di trovarsi in una famiglia. E in effetti grazie ad Orion l'aveva trovata. Non aveva mai immaginato se stesso come un eroe, più come il mostro mai voluto dai propri genitori.

«Ma che roba è?»

Avevano solo venti anni. Erano dei ragazzini stupidi e immaturi.

«Hai presente gli effetti del doping, no?» Annuì, alzando lo sguardo verso Cortez, che gli stava alzando la manica della maglia. «Immagina quegli effetti permanenti. Ottime prestazioni sempre. Velocità, resistenza, forza. Non è più solo un sogno fumettistico.»

Sentì l'ago affondargli nella pelle. Le ossa e i muscoli bruciargli e i polmoni collassare. Vomitò ai propri piedi, prima di perdere i sensi.

«Rob? Mi senti? Tutto okay?»

Scosse il capo, ritrovandosi a fissare Yennefer. Doveva avere un'espressione stralunata.
La gola era secca e tossì appena, per darsi forza. La voce sembrava essere morta. «Scusa, un giramento di testa.»

Yennefer non sembrò soddisfatta della sua bugia, ma lasciò correre. O così credeva. «Non mi fido ancora di te, comunque. Né del tuo amico Arthur e men che meno di Orion, ma non ho alternative migliori. Mi aggrappo alla vostra pseudo lealtà.»

«Non so nemmeno io di chi fidarmi, ora come ora. Pensa però che ti sto aiutando a trovare due persone che mi hanno rovinato la vita. Vale abbastanza?»

Yennefer lo fulminò con lo sguardo. Si liberò dalle sue mani. Aveva dimenticato di tenerle ancora strette a sé. «Le colpe dei padri non cadono sui figli.»

Scrollò le spalle.«Non posso saperlo, non ho mai avuto un padre.»
La vide bloccarsi per un attimo. Non voleva quello sguardo in arrivo. Lo detestava più di qualsiasi altra cosa al mondo. «Allora abbiamo questo indirizzo o no?»

Yennefer accese lo schermo e gli indicò un punto ben preciso su Google Maps. Era un vecchio edificio abbandonato, dimenticato anche da Dio. Lì sapeva che ci fossero barboni e drogati, tutte persone poco raccomandabili.
Improvvisamente gli parve il luogo perfetto per un latitante come Orion.

Sgranò gli occhi e annuì. Alzò lo sguardo sui ragazzi, intenti a guardare la televisione, distratti dal film. Il profumo dei popcorn riempiva la stanza.

Tornò a specchiarsi negli occhi scuri di Yen. «Domani andremo lì.»




Angolino
La reunion è vicina🌝
Spero vi sia piaciuto, ultimamente mi fa tutto cagare, ma vabbè.
Alla prossima ✌🏼

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