XXIX. A pezzi
Orion
Aveva freddo. Era una serata pesante. Si era rifugiato di nuovo in quell'appartamento abbandonato.
Probabilmente stava convivendo con dei topi, ma almeno erano dei coinquilini silenziosi, non così fastidiosi come avrebbe potuto immaginare.
Si era sempre sentito un re, un tempo, col mondo nel palmo della propria mano, le ricchezze di famiglia lo sostentavano e il desiderio di vendetta lo nutriva.
Si accoccolò su un materasso polveroso, probabilmente qualche molla era anche saltata, ma era l'unico riparo comodo che poteva concedersi negli ultimi tempi. Era tutto così strano.
In un attimo la sua vita era cambiata.
Eppure, aveva cercato solo di proteggere la sua famiglia per anni.
Trovava assurdo come un'iniezione gli avesse stravolto l'esistenza. Fece uno sbuffo sommesso, provando a sistemarsi meglio sul materasso. All'improvviso tutte le sue fissazioni gli parvero vuote.
«Allora... come ci si sente?» Pollux era di fronte a lui, ancora. Se ne stava poggiato contro la parete e lo guardava con un ghigno soddisfatto. Nella penombra, la sua crudeltà gli pareva davvero reale, come se non fosse solo una delle sue solite allucinazioni.
Sbuffò. Spostò un ciuffo di capelli all'indietro. «A cosa ti riferisci?» Tossì e sputò sangue. Si portò una mano alle labbra e sgranò gli occhi.
Gli effetti stavano finendo.
Non aveva più altro antidoto. Aveva provato a rubare dalle scorte di Arthur e Robert, ma non era bastato, ne era rimasto così poco, da poterlo aiutare solo per una settimana o poco più. Tossì ancora, più forte. Aveva la sensazione che i polmoni stessero collassando su se stessi.
Si portò una mano in petto, mentre si sentiva soffocare.
Prese un grosso respiro, ma il costato gli faceva male. Lo stomaco si rivoltò su se stesso e la pelle bruciava, come se infiniti aghi colpissero ogni suo muscolo. Stilettate invisibili e dolorose. Ogni organo era pronto a collassare su se stesso. Iniziò a grattarsi le braccia, lasciando solchi rossi sulla pelle.
«Come ci si sente a morire... sarà strano incontrarci nell'aldilà. Anche se credo che tu abbia un posto riservato all'Inferno, fratellino.»
Orion socchiuse gli occhi. Provò a rannicchiarsi su se stesso, comprimendo il dolore. Non riusciva a capire nulla, tutto attorno a lui era completamente sfocato. Si portò le mani alle tempie, dondolandosi su se stesso, in attesa che la morte venisse a prenderlo, accompagnandolo per mano.
Fin da bambino aveva amato credersi un sopravvissuto.
Aveva sempre immaginato che la Morte gli fosse già amica, che fosse una vecchia conoscenza.
Quando la polizia lo trovò in casa, i suoi genitori erano morti, tra un mix letale di eroina e alcol. Lo portarono di fretta in ospedale, anche se non dava segni di vita.
Lo rianimarono, trascorse quasi un giorno nella sala di terapia intensiva.
Successivamente seppe che era stato dato per morto.
Era stato in uno stato comatoso per una settimana intera.
Non ricordava nulla della sua famiglia, gliel'avevano semplicemente raccontato.
L'unica memoria che possedeva era quella di un lungo viaggio. Mentre era in coma, ricordava di star percorrendo una strada quasi infinita. Si guardava attorno e c'erano prati ovunque. Eppure, aveva continuato a percorrere quel sentiero sterrato, senza lasciarsi attrarre da quella pace che lo circondava.
Quando si era risvegliato, senza alcun ricordo, gli avevano raccontato ciò che era successo.
E c'era già una famiglia pronta ad accoglierlo tra le sue braccia.
Ricordava come Pollux l'aveva studiato. Aveva inclinato il capo e storto il naso. «È vivo?» Aveva alzato lo sguardo su quello che sarebbe stato anche suo padre.
L'uomo aveva sorriso. Sembrava felice. Percy Grey l'aveva guardato con amore fin dal primo istante in cui i loro sguardi si erano incrociati. «Sì. Si sta riprendendo. Adesso lui è uno di noi, Pollux.» Gli si era avvicinato e gli aveva accarezzato i capelli, mentre era ancora disteso su quel triste letto di ospedale. «Ti piacerebbe se ti chiamassimo Orion?» Aveva inclinato il capo, in un'espressione dolce.
Non aveva mai amato il suo vero nome, in realtà al momento non lo ricordava nemmeno bene. Aveva tremato. Ricordava quanto fosse terrorizzato. Non si fidava. Probabilmente l'avrebbero abbandonato. Alla fine era pur sempre parte della sua famiglia. «I-io- ...come volete...» balbettò. Si nascose quasi attorcigliandosi su se stesso. Tirò su il lenzuolo fin sopra al naso e sentì le lacrime pizzicargli gli occhi.
L'uomo gli accarezzò la mano. Era un tocco buono, dolce. Incrociò lo sguardo della donna che sarebbe diventata sua madre. «Se vuoi, caro, possiamo conservare il tuo nome anche. Orion Reid Grey.»
Annuì. Non aveva la forza per parlare. Biascicò dei ringraziamenti e fissò il ragazzino. Pollux gli sorrideva incoraggiante.
Continuava a chiedersi quando il loro rapporto si fosse rotto. Orion non era mai stato un ragazzino tranquillo, tutt'altro. Aveva fatto pasticci di ogni tipo, complice anche un temperamento piuttosto acceso. Saltava spesso le lezioni, litigava con gli insegnanti. Si faceva coinvolgere in risse che non lo riguardavano. Il pericolo aveva sempre fatto parte della sua vita, forse fin dalla nascita. Il terrore cresceva con lui, lo alimentava. Continuavano a dire che fosse un miracolo della Vita, ma col tempo aveva iniziato a credere che fosse il piccolo miracolo della Morte, un ricordo indelebile. Prima o poi sarebbe tornato da lei e si sarebbero salutati, come il ragazzino che aveva deciso di scappare dal suo gioco.
«Sarai felice-» biascicò in direzione del fratello. Era così vero. Avrebbe voluto provare a toccarlo, ma aveva troppa paura di confermare il fatto che non fosse reale.
Pollux era solo la proiezione della sua mente malata e provata, distrutta da tanti errori e odio.
Prese l'ennesimo grosso respiro. Le costole gli facevano male, sembrava che si stessero scartocciando su se stesse. Sputò ancora sangue ai suoi piedi.
Un suono rotto si liberò dalle sue labbra schiuse. «Quando è successo?»
Pollux sapeva a cosa si stesse riferendo, ovviamente. Scrollò le spalle indifferente. Non era nemmeno preoccupato per il suo dolore, sembrava ne godesse. Orion a volte si chiedeva anche quando avesse iniziato a vederlo. Credeva che fosse anche l'immagine della propria solitudine. Non era facile vivere da solo per dieci anni, senza potersi avvicinare alla propria famiglia, lasciandosi odiare da tutti.
«Non lo so. Forse perché a te era sempre giustificato tutto e a me nulla. Io dovevo essere perfetto e non potevo sbagliare, tu potevi essere la pecora nera.» Gli si avvicinò. «Non sei mai stato uno di noi, Reid. Non lo sarai mai.»
Orion si sentì soffocare. L'ennesimo singhiozzo prese il sopravvento e, in pochi attimi, la tosse ritornò a spezzargli il fiato. Il petto gli si stava squarciando in due. Non riusciva a sentire nemmeno più le proprie gambe. Tremò. Sudava freddo.
Delle gocce di sudore scivolarono a terra, cadendo dalla sua fronte. Si miscelarono quasi col sangue ai suoi piedi.
«Smettila! Per una volta, smettila!» Si portò le mani alla testa. Si piegò su se stesso.
Stava morendo.
E mai come quella volta avrebbe voluto aggrapparsi alla vita. Non aveva mantenuto le sue promesse, ancora una volta.
Non aveva protetto la sua famiglia.
Non era mai stato abbastanza.
«E come posso smetterla? Sono il tuo dolore, Orion.» Alzò la voce. Sentiva il suo tono rimbombare nella testa, come se gli stessero vivisezionando il cranio. «Sono la proiezione del tuo dolore. Sono sempre lì, non me ne vado. Resto e ti porto a fondo con me.»
Alzò lo sguardo su suo fratello. Stava sanguinando anche lui, esattamente nel petto, proprio dov'era stato colpito. Il punto dove era stato accoltellato aveva ripreso a sanguinare. Orion deglutì. Si pulì la bocca con la manica della felpa, sporcandola del proprio sangue. Aveva anche un colore strano. Sembrava quasi petrolio, viscoso e pesante, nero come la sua anima e il siero che gli avevano iniettato.
Tossì ancora.
«Puoi semplicemente essermi vicino? Almeno tu... avremo modo di chiarirci, ovunque ci incontreremo. Solo- solo, non lasciarmi solo.»
Pollux si sedette al suo fianco e sospirò piano. «Non sono reale, Orion. Tu sei solo. Sei solo davvero.»
Si massaggiò il petto. Lanciò un ultimo sguardo alla porta di fronte a sé. Nessuno sarebbe venuto a salvarlo.
Era tardi.
E i suoi fratelli sarebbero rimasti in balìa della Serpents Agency.
Aveva fallito, ancora.
Di nuovo.
«Facciamo un gioco?» Pollux era in giardino. Teneva tra le mani un pallone.
Si morse il labbro. Era a casa da poco e ancora non riusciva ad adattarsi. Prima viveva in un appartamento sporco, sudicio. A stento aveva una stanza per sé. Doveva stare attento a non calpestate le siringhe o a spegnere il forno.
Adesso viveva in una villa quasi da fiaba, un po' tetra come aspetto, ma aveva una camera tutta sua. Addirittura uno studio dove poter osservare il suo nuovo papà lavorare.
«Okay, a cosa giochiamo?» Si dondolò sui piedi.
«A basket! Sai giocare a basket?» Indicò un canestro alle loro spalle, appeso contro la parete della tettoia, dove tenevano le macchine al riparo dalle intemperie.
Orion scosse il capo. Non aveva mai conosciuto il mondo esterno prima di allora. Non sapeva nemmeno leggere e scrivere. Sua madre gli stava insegnando tutto il possibile, affiancandogli anche alcuni insegnanti ben preparati. Era un mondo nuovo. «No... mi insegni tu?»
Pollux si addolcì e gli si avvicinò. Lo abbracciò forte. «Ci penso io a te. Da adesso siamo fratelli, va bene?»
Provò ad asciugarsi le lacrime, ma le mani erano sporche di sudiciume e sangue. Si distese sul letto, cominciando a fissare il soffitto cadente.
Si sentiva debole, senza forze. Si accasciò di lato e vomitò ai piedi del letto.
Il suo corpo stava cedendo, non gli dava vie d'uscita in nessun modo.
Sentì dei rumori provenire dalla porta. Avrebbe potuto recuperare la sua pistola, ma ormai le forze andavano scemando e, forse, sarebbe stato meglio se l'avessero ucciso. Avrebbero alleviato tante sofferenze. La vista era sempre più annebbiata.
«La sfondo io o la sfondi tu?»
Gli sembravano voci familiari, ma poteva essere l'ennesima allucinazione. Tremò dal freddo e tossì forte.
«Faccio io.» Era Robert.
Non riuscì a muoversi da quella posizione, ma sentì un tonfo, che rimbombò per tutta la stanza. Aprì appena gli occhi e intravide i volti dei suoi due amici e quello di Altair.
Suo fratello sgranò gli occhi, immobilizzandosi sul posto. Sembrava sotto shock. Orion era anche confuso da quella situazione, forse la Morte gli stava giocando brutti scherzi, accendendo una stupida speranza.
Robert e Arthur corsero nella sua direzione. Li vide avvicinarsi al letto. Sentì le loro mani tirarlo su. Lo stavano toccando. Non erano proiezioni dei suoi ultimi istanti di vita, erano reali, non sfuggivano al tatto come Pollux. Si aggrappò al proprio migliore amico, ma crollò sulle gambe, le ginocchia cedettero, facendolo cadere di nuovo sul materasso.
Robert gli prese il volto. «Tu adesso non te ne vai, brutto stronzo.»
Orion socchiuse gli occhi, la testa gli pesava.
Arthur tremava nervoso. Sfilò dalla borsa un flacone. Orion ne riconobbe il contenuto. Stava cercando una siringa, mentre Robert provava a mantenerlo seduto.
Le palpebre erano pesanti.
«Lo avete trovato?» Sentì la voce di Andromeda.
Altair si girò a fissare sua sorella. Un'espressione sconvolta gli contorceva il volto. Si parò davanti a lei e la abbracciò, costringendola a uscire da quella sottospecie di appartamento. «Che cazzo fai qui?»
La sentì urlare ogni genere di maledizione pur di entrare di nuovo.
Orion tossì ancora, sputando sangue nero. Arthur, al suo fianco, si irrigidì. Doveva ammettere che c'era una puzza nauseabonda, quasi di morto. Lo stesso Orion era pronto a vomitare ancora, anche la propria anima. Sentiva gli organi contorcersi nel corpo.
Arthur riempì la siringa e lo guardò. Orion aveva voglia di chiudere gli occhi, ma Robert lo colpì con un ceffone in pieno volto. «Non ti azzardare.»
Sentì l'ago squarciargli la pelle. Un'ondata di calore travolse il suo corpo, ormai quasi freddo. Tremò sotto il tatto dei suoi amici. Il corpo iniziò ad essere preda di convulsioni e si aggrappò a loro, lasciandosi aiutare a tirarsi in piedi. Non riusciva a muovere nemmeno un passo.
La stanza cominciò a vorticargli violentemente intorno.
Perse la presa di Robert e crollò quasi sulle ginocchia.
I suoi amici lo afferrarono al volo.
Vide un'ultima volta Pollux di fronte a lui che sorrideva.
«Tic tac. Quanto sarai forte questa volta? Sfuggire due volte alla Morte è un miracolo, fratellino.»
La vista gli si appannò completamente e perse i sensi tra le braccia di Robert e Arthur.
Angolino
Ci siamo.
Dopo quasi trenta capitoli la gang si riunisce😂
Orion sopravviverà?
Alla prossima.
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