XXII. Carte scoperte
Andromeda
Di solito adorava la domenica, a differenza di suo fratello Altair.
Era il suo momento di svago. L'unica giornata in cui si sentiva in dovere di fare tutto fuorché studiare.
In quell'ultimo periodo tutto sembrava crollare come un debole castello di carte ed era stanca.
Voleva solo trascorrere una giornata a badare a se stessa, ma gli ultimi avvenimenti l'avevano messa in stato di allerta.
Aveva trascorso tutta la notte a dormire, assieme ad Anita, in camera di Eris.
All'inizio sua sorella non avrebbe voluto, diceva di voler restare da sola per metabolizzare ciò che era successo quella sera.
Andromeda non avrebbe mai rispettato quello spazio personale. Conosceva abbastanza bene sua sorella da sapere che avrebbe cercato di spegnere la propria luce, pur di non far preoccupare tutti loro.
E non l'avrebbe mai permesso.
Si mise seduta. Eris per fortuna aveva un letto a due piazze in camera, quindi era riuscita a ricavarsi un posto, sebbene sua sorella tendesse ad allargarsi e ad espandersi durante la notte. Ma non quella sera.
Si era accucciata su se stessa, ancora tremante. Andromeda aveva trascorso tutto il tempo ad aspettare che si addormentasse, prima di concedersi un po' di riposo. Anche Anita era stata irrequieta. Si muoveva nervosa, spostandosi dalla sua stanza a quella di Leon, in continua apprensione.
Accarezzò i ciuffi neri di capelli di Eris e sorrise appena. Si mosse lentamente per non rischiare di svegliarla. Negli anni, il loro rapporto si era saldato ancor di più. Certo, trascorrevano buona parte del tempo a discutere e a farsi dispetti come die bambine, ma senza di Eris parte della sua vita sarebbe risultata pericolosamente vuota.
«Buongiorno...» sentì sua sorella biascicare stanca quelle parole, accoccolandosi ancora un po' su se stesse. Sembrava un gattino che si raggomitolava.
Andromeda si inginocchiò al suo letto e la osservò con attenzione. «Perché non provi a riposare ancora un po'?»
«Non ce la faccio... quando chiudo gli occhi rivivo tutte le scene di ieri.»
Andromeda la tirò a sé, abbracciandola. «Allora, adesso andiamo a fare colazione e poi possiamo rilassarci un po', va bene?»
Eris annuì. Si lasciò aiutare. Come sempre, sistemò il letto prima di raggiungere la cucina per fare colazione. Andromeda non aveva idea di come comportarsi da brava sorella maggiore, né di come fare da madre. Era sempre stata una frana coi sentimenti, già con Ivy a volte era difficile. Ma sapeva benissimo che sua sorella aveva bisogno di lei e per la famiglia avrebbe fatto di tutto. Non si sarebbe data pace finché tutto non si fosse risolto.
Eris si fermò col cuscino a mezz'aria, mentre sistemava. Andromeda la osservò con attenzione. Non era da lei perdersi nei propri pensieri in quel modo. «Che succede?»
«Sto pensando a ieri-»
«So che quello che è successo dev'essere stato tremendo, ma devi tenerti distratta adesso.»
Eris scosse il capo. Si sedette sul letto e iniziò a torturarsi le dita delle mani. La sua luce stava iniziando a spegnersi, esattamente così com'era successo dopo la morte di Orion. Andromeda non poteva permetterglielo. Aveva sbagliato una volta, ma era troppo piccola. Non avrebbe ripetuto lo stesso errore. Si sedette accanto a lei.
«C'è stato un attacco alle spalle del nostro rapitore. Ci ha dato secondi per scappare.»
«In che senso?»
«Una figura incappucciata.» Eris chiarì. Fissava il vuoto davanti a sé. «È piombata dall'alto, forse era arrampicata su qualche albero... e ha aggredito Max. Siamo scappati subito. Ho visto solo che a un certo punto era a terra. I-io, non lo so perché l'ho fatto, ma gli ho lanciato la pistola. Poi sono corsa dentro con Leon-»
Andromeda si incupì appena. Se anche qualcun altro era alle loro calcagna per avere informazioni non era un bene, perché a questo punto non avevano idea di che tipo di nemico trovarsi davanti. «Andiamo a fare colazione, va bene? L'importante è che ora stiate bene, non mi importa di altro.»
Eris annuì. Si tirarono insieme in piedi. Le prese la mano e la abbracciò forte, affondando il volto sulla sua spalla. Sebbene fosse più grande, Andromeda non aveva ereditato il gene dell'altezza, motivo per il quale lei ed Eris avevano una statura piuttosto simile. Accarezzò i capelli neri di sua sorella e riuscì a convincerla a fare colazione.
A tavola c'erano solo Leon e Michael. Entrambi alzarono lo sguardo su di loro.
Andromeda si avvicinò a suo fratello e si accomodò al suo fianco. «Tu? Come ti senti?»
«Ancora stordito... ma sto bene, davvero.»
Sorrise appena. Leon voleva a ogni costo dimostrare di essere abbastanza forte, come la sua famiglia, ma era sempre stato il più sensibile e non doveva affatto vergognarsi di essere esattamente com'era. Si rivolse, poi, al suo amico, che girava oziosamente il cucchiaino nella propria tazza di the caldo. «E tu?»
Michael sussultò. Posò lo sguardo su di lei, poi su Eris. Sembrava un po' intimorito, ma effettivamente Andromeda era stata la prima a minacciarlo tempo addietro. «Tutto bene, grazie per la disponibilità.»
«Buongiorno cari!» Eleonore spuntò in cucina. Iniziò a preparare dei pancakes per tutti loro.
All'inizio Andromeda si fingeva distaccata da quella donna. Non la conoscevano abbastanza e non si fidava affatto di quella perfetta sconosciuta.
Poi era riuscita a insidiarsi nella loro quotidianità e ne era rimasta colpita.
Era una donna davvero forte, avrebbe potuto continuare per anni a lavorare nei tribunali. A volte aveva una lingua piuttosto spinosa, ma dopo una grave malattia si era stancata di combattere nelle cause.
Si faceva bastare quella piccola pensione, che poteva permetterle di tirare avanti adeguatamente. Aveva deciso di dedicarsi soprattutto alle sue nipoti, dato che la vita le aveva portato via troppo presto un marito, senza darle la possibilità di avere figli.
Eppure, non era mai triste. Sorrideva sempre e si mostrava forte a tutti loro.
Eris sgranocchiò un biscotto con le gocce di cioccolata. Accarezzò Anita, viziandola come al solito passandole una fetta di pane. «Buongiorno, Ele. Gli altri?»
La donna si pulì le mani leggermente infarinate e posò a tavola i pancake ancora caldi. «Oh. Ieri Altair e Zalia sono usciti tardi e si sono ritirati alle quattro circa... Robert li ha lasciati andare a dormire, ma adesso stanno tenendo una piccola riunione tra adulti.»
Eris sussultò sul posto. Andromeda era consapevole che tutti stessero fissando lei. Sua sorella si avvicinò di soppiatto, per evitare di attirare l'attenzione di Eleonore. «Dimmi che hai ancora la telecamera nell'ufficio di Orion», bisbigliò a bassa voce. Si allungò a prendere un pancake. Anche Leon e Michael la osservavano in attesa di risposte.
Andromeda annuì con un cenno sicuro del capo. «L'ho piazzata ieri sera prima di andare a letto perché avevo una strana sensazione...Da quanto sono lì?» Sapeva che Eleonore avrebbe potuto insospettirsi, così si corresse. «Perché vorrei parlare con Al dopo...»
La donna si rilassò. Scrollò appena le spalle. «Non lo so, cara. Sono lì da pochi minuti.»
Andromeda balzò in piedi. «Vi va una bella nuotata per distrarci?»
Tutti gli altri si alzarono subito, come giocattoli a molla, azionati dal suo segnale. Dopo aver ringraziato velocemente la donna, Michael prese il piatto coi pancake e seguì gli altri fino alla piscina. Andromeda controllò che Eleonore non li avesse seguiti. Richiuse la porta alle sue spalle, poi inarcò un sopracciglio, osservando Michael. «E perché hai preso i pancake?»
Il ragazzo scrollò le spalle. I capelli biondi, in perenne disordine, sembravano muoversi ad ogni suo movimento. «Sono buonissimi! Non volevo lasciarli lì.» Si sedette su un muretto, al centro tra Leon ed Eris. Porse il piatto coi pancake per entrambi. Sua sorella annuì appena, era ancora debole e un poco sconsolata, ma iniziò a mangiucchiare nervosa.
Andromeda trascinò uno sgabello e si sedette di fronte a loro. Sfilò il cellulare dalla tasca e si collegò alla telecamera. Avevano perso i primi minuti di conversazione. Sembravano nervosi. Così alzò il volume per sentire meglio e tutti si tesero ad osservare.
Robert camminava avanti e indietro per l'ufficio. Le mani erano serrate in due pugni. «Adesso basta! Mi sono scocciato di tutti voi che giocate ai piccoli detective del cazzo.»
Eris sgranò appena gli occhi. Non l'avevano quasi mai visto così nervoso, alcuni gesti e tratti ricordavano Orion. Per un attimo, ricordò che Arthur le aveva raccontato che era sempre stato una grandissima testa calda, che aveva messo da parte l'entusiasmo e l'impulsività per prendersi cura di tutti loro. Robert allentò la cravatta. «Se non l'avete notato, stavano per sequestrare Eris e Leon! E questo perché state giocando con dei pazzi assassini! Dove diavolo siete andati? Non tollererò ancora bugie e non costringetemi a usare altri mezzi.»
Altair se ne stava seduto su una poltrona, chiuso in se stesso. Andromeda ancora non poteva credere che avesse promesso a quel soldato folle di consegnargli la formula. Non era un gesto da lui, era troppo avventato. Altair avrebbe studiato tutte le possibilità prima di prendere qualsiasi decisione. Soprattutto se una sua mossa avrebbe rischiato di mettere in pericolo la famiglia. Aveva la sensazione che si fosse assunto colpe che non erano sue. Conosceva bene Altair, suo fratello era un libro aperto per lei. «Parli proprio tu di onestà, Rob? Da quando chiudete a chiave l'ufficio di MIO fratello?!»
Arthur sbuffò scocciato. Yen, Zalia e Izar seguivano la discussione in silenzio. Andromeda si chiese quando sarebbero intervenuti.
Robert storse il naso, lasciandosi scappare una risata nervosa. Alzò le mani in segno di resa e inclinò il capo. Poi si voltò verso Arthur. «Prendila.»
L'altro lo capì al volo, senza nessun tentennamento. Si avvicinò a un armadietto e tirò fuori una vecchia macchina.
Yen sgranò gli occhi. «Che cazzo volete fare con quella? Non siamo in un esercito, non c'è il bisogno di usare una macchina della verità.»
Robert la ignorò. Sembrava in collera. Il petto si alzava su e giù nervoso e le vene del collo si erano ingrossate. Si avvicinò ad Altair e gli puntò un dito contro. «Non mi costringere, Al. Se sarai onesto con me, io lo sarò con te. Cosa cazzo facevate ieri sera tu e Zalia?!»
Izar abbassò lo sguardo, sembrava in tensione, come se non volesse conoscere la risposta. Deglutì, tenendo lo sguardo fisso su Zalia. La ragazza fece saettare gli occhi da Altair a Robert fino a soffermarsi sulla macchina. Si mise davanti ad Arthur e alzò la manica della maglia. «Puoi usarla su di me. Siamo andati a casa mia, ormai abbandonata. Cercavo la formula, perché avendola finalmente avrei potuto tenere tutti lontano da noi.» Li guardava negli occhi.
Arthur lanciò un'occhiata a Robert, come a capire se doverle montare la macchina. L'uomo distolse la sua attenzione da Altair e si voltò a guardare Zalia. Fece un cenno del capo all'amico, per desistere.
Andromeda si sentì sollevata. Non voleva credere che avrebbero utilizzato i metodi dell'esercito per estorcere informazioni.
L'uomo si sedette di fronte a Zalia. «Continua.»
Zalia prese un respiro forte. «Sento che manchi qualcosa. Non so a cosa serva questa formula, ma so benissimo che voi lo sapete.» Aggrottò la fronte. Si morse l'interno guancia. «O sbaglio soggetto due?» Inclinò il capo.
Robert serrò la mandibola, strinse i pugni. Arthur fece cadere le braccia lungo il corpo, sentendosi sotto i riflettori. Zalia sorrise soddisfatta.«Possiamo proseguire col gioco, ma facciamo una verità a testa.»
Altair le si affiancò, così allo stesso modo fece Izar. «Dovevamo collaborare, Rob. Se vuoi sapere cosa sappiamo, allora devi scoprire anche tu le tue carte.»
«Era un progetto dell'esercito. Non posso dire altro. Parlarvene vi renderebbe già dei cadaveri e questo non lo permetterò mai.»
Zalia deglutì. «E i miei genitori che cosa c'entrano?»
«Erano gli scienziati a capo dell'esperimento.» Arthur pronunciò quelle parole con freddezza e distacco. Assottigliò lo sguardo. «Cosa facevate ieri?»
Yennefer lanciò un'occhiata a Robert, che distolse lo sguardo, ignorandola.
«Siamo andati a fare delle ricerche nella nostra vecchia abitazione. Perché vogliono una formula, suppongo quella del vostro esperim-»
Robert scosse il capo. «Cancellarono tutto. Ogni dato. L'operazione non è andata a buon fine.»
Zalia aggrottò la fronte. Tentennò appena e sfilò una chiavetta usb dalla tasca della propria felpa. «Ho trovato questa-»
Arthur si avvicinò. «Cosa c'è sopra?»
«Non lo sappiamo ancora... ma dovrei andare a seguire oggi. Possiamo vedere insieme questa sera. Non la apriremo senza voi.» Altair cercava una tregua, un modo per riappacificarsi. «Dovremmo usarla come esca per Max... non si fermerà se non avrà qualcosa. Possiamo organizzarci: noi consegniamo e voi ci coprirete le spalle-»
Robert scosse il capo. Sembrava a disagio. «Ne parleremo con calma.» Si passò una mano tra i capelli e si poggiò alla scrivania.
Altair fece uno strano ghigno. Sembrava volesse dire altro, ma ci pensò su. «Sai se è possibile accedere dall'esterno a questo ufficio?»
«No, perché?»
Altair scrollò le spalle. «Perché la sera di Halloween cercavamo informazioni, non siamo andati alla festa. Volevi che fossimo onesti, no?»
«Voi che cosa?!» Arthur alzò la voce all'improvviso.
«Tu lo sapevi, vero?» indicò Yennefer.
La donna si limitò a scrollare le spalle. «Possiamo dire che tutti noi abbiamo tenuto nascoste molte informazioni. Voi continuare a non darcene tante, mentre noi stiamo giocando a carte scoperte ora.» Si avvicinò a sua sorella Zalia, come a volerla proteggere.
Robert si innervosì, Andromeda vide il suo sopracciglio alzarsi come preso da un tic. «Stiamo cercando di tenervi vive da segreti di stato, affari e progetti firmati dal governo e dall'esercito. Non possiamo. Cosa non vi è chiaro?!» Strinse i pugni. Tremava nervoso e stava iniziando quasi a sudare freddo. Si poggiò alla scrivania, riprendendo fiato. Tornò a riferirsi ad Altair. «Allora? Come fai a dire che forse c'è un'altra entrata?»
Altair fece segnò ad Izar di muoversi. L'altro si alzò dalla propria postazione, mentre era seduto accanto a Zalia, e si avvicinò alla libreria. Spostò in avanti lo scaffale, rivelando un tunnel. Robert ed Arthur si scambiarono un'occhiata confusa. Nessuno dei due ci aveva mai fatto caso.
Izar si grattò la nuca in imbarazzo. «Abbiamo trovato una valigetta vuota, crediamo che potesse esserci qualche informazione importante. Poi abbiamo notato che lo scaffale fosse spostato. Il tunnel porta direttamente fuori ai cancelli della villa. Si esce da un tombino.»
Robert si passò una mano in volto, stanco. «Oh bene. Grandioso! Sentite, andate a seguire. Io e Arthur faremo un po' di ricerche e questa sera vedremo cosa c'è sulla chiavetta usb. Adesso dobbiamo pensare anche a Leon ed Eris, saranno ancora sotto shock.» sembrava sull'orlo di una crisi di nervi.
Andromeda chiuse il cellulare, non appena comprese che quella seduta si stesse sciogliendo. Attorcigliò una ciocca di capelli attorno all'indice e iniziò a mordicchiarsi nervosamente il labbro. «Dobbiamo vedere il contenuto della chiavetta per primi.»
Eris aggrottò la fronte. Annuì poi decisa. C'era di nuovo quello scintillio nel suo sguardo. La speranza era tornata a riaccendersi.
«Ci serve un piano sensato...» Michael si grattò il mento. Forse non c'era modo migliore che tenerli distratti in quel modo. «Se adesso andassero in università potremmo seguirli. L'accesso è libero a tutti. Poi una volta individuato dove sosteranno, uno di noi telefonerà Zalia e noi ruberemo la chiavetta usb.»
Leon gli sorrise. «Potrebbe funzionare, no? Hai visto Zalia. L'ha nascosta nella tasca del proprio zaino, la vorrà tenere con sé.»
Andromeda rimuginò. Non era detto che l'avrebbe tenuta con sé tutto il tempo. Dovevano dividersi. «Io e Leon andremo in facoltà. Voi due restate qui, nel caso non la trovassimo nel suo zaino, dovrete intervenire voi tempestivamente da casa.»
Eris si alzò in piedi. «Io ci sto. Si può fare... perché non ti porti tu Michael?» sembrava speranzosa.
«E dai, raggio di sole. Non puoi avercela ancora con me. Ti ho anche quasi salvato la vita... cioè ci stavo rimettendo la mia, non ti faccio un pizzico di tenerezza?»
«Passato già il trauma cranico?» Eris era sempre pronta con le sue parole al veleno. «Tua madre non vorrebbe che tornassi a casa?»
Michael si imbronciò. «Le ho detto che trascorrerò l'intera giornata col mio migliore amico.» Avvolse un braccio attorno al collo di Leon, che si liberò presto dalla sua presa, lasciandosi sfuggire uno sbuffo scocciato.
«Non mettetemi in mezzo alle vostre stupide liti.»
Andromeda sorrise divertita. Tutti uscirono dalla piscina, tornandosene in salotto.
Altair andò loro incontro, avvicinandosi ad Eris e a Leon. Si premurò che stessero tutti bene prima di salutarli per andare a lezione.
Si affiancò poi ad Andromeda, mentre con lo sguardo osservava Zalia e Izar parlare in lontananza. «Oggi hai lezioni? Hai bisogno di un passaggio?»
Sua sorella scosse il capo. «No, devo seguire nel pomeriggio, ma oggi voglio restare a casa, poi recupererò la lezione.»
Odiava mentire. Di solito era sempre stata la sorella più indipendente, sempre pronta a qualche commento velenoso, ma l'idea che tutti i suoi fratelli fossero in pericolo la terrorizzava.
Altair annuì, la salutò e uscì di casa insieme agli altri due.
Robert si avvicinò ad Eris e a Leon, come se fosse pronto a soddisfare qualsiasi loro desiderio, soprattutto dopo quello che era successo. «Posso fare qualcosa per voi oggi? Vi va un gelato?»
Andromeda sapeva bene quanto suo fratello fosse forte, ma il gelato era sempre stato la sua più grande debolezza. Dovette ricorrere a così tanta forza d'animo per convincere Robert di stare bene e di dover recuperare un po' di studio arretrato.
«Noi andiamo sopra a studiare...» Eris trascinò con sé Leon e Michael.
Andromeda sorrise a Robert, ancora attonito. Avrebbe sfruttato il primo momento di confusione per uscire insieme a suo fratello. Oppure l'avrebbe aspettato in giardino, mentre scappava dalla finestra della camera.
Robert si passò una mano in volto, sconsolato. «Dici che stanno bene? Insomma, Leon ha rifiutato il gelato. Sono preoccupato...»
Andromeda scrollò le spalle. «Hanno bisogno di tempo, piuttosto perché non andate tu ed Arthur a comprare qualche vaschetta di gelato per questa sera? Sai da quel tipo che prepara gelato artigianale, a loro piace moltissimo.»
Robert storse il naso. «Ci vorrà un po', posso andare anche da solo, almeno qui resterebbe Arthur.»
«Come preferisci, tanto ci sono anch'io qui.»
Robert la osservò confuso da tanta disponibilità, prima di andarsene, borbottando qualcosa che le sfuggì.
Angolino
Allora iniziano ad esserci i primi chiarimenti.
Abbiamo svelato cosa nasconde quell'ufficio. Un bel passaggio segreto.
Chissà se le vostre idee si riveleranno esatte.
Io vi saluto e ci sentiamo al prossimo aggiornamento ❤️🩹
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