XVII. Di Notte
Zalia
Non riusciva a chiudere occhio quella notte.
Tutti i suoi pensieri erano focalizzati sul folle patto che aveva stretto con quel sicario, ancor più pazzo di lei e delle sue stupide idee.
Non aveva una soluzione.
Non aveva vie d'uscita.
Non sapeva dove trovare quella formula, né perché volessero avvinghiarcisi.
Si mosse nervosa nel letto. Lanciò le coperte all'aria. Aveva il cuore in gola e faceva improvvisamente caldo, sebbene mancassero pochi giorni ad Halloween.
Si mise seduta sul materasso, guardandosi intorno.
Yen non era ancora tornata, d'altronde erano appena le undici.
Doveva trovare una soluzione, qualcosa di quantomeno plausibile da consegnare a Maximillian senza farsi uccidere. Un falso che potesse avere delle sembianze reali. Non ricordava nemmeno più la propria scrittura. Avrebbe voluto urlare. Si passò le mani tra i ricci capelli, provando ad escogitare qualcosa che avesse un benché minimo di senso.
Si lasciò cadere nuovamente nel letto, affondando il capo nel cuscino.
Aveva un'opprimente sensazione al petto. Voleva gridare così forte da percepire le proprie corde vocali bruciare, ma la voce le moriva in gola.
Singhiozzò piano. Le lacrime le pizzicarono gli occhi, iniziando a scalfirle le guance, fino a bagnare le coperte. Si passò la manica del pigiama in volto, ripulendosi e sospirò. Doveva trovare una soluzione e anche alla svelta.
Sentì la maniglia scattare e si sistemò al meglio. Vide sua sorella entrare, richiudendosi la porta alle spalle con sveltezza. Si poggiò al legno e si lasciò cadere sulle ginocchia.
Zalia non era abituata a vedere sua sorella debole o spaventata. Era sempre stata la sua roccia. Era quella che le diceva sempre di non preoccuparsi, di spegnere i propri pensieri quando iniziavano a diventare invasivi.
Si alzò dal letto e le andò incontro. «Ehi, che succede?» Si inginocchiò accanto a Yennefer. Le posò un bacio sulla fronte, accarezzandole i capelli scuri. Erano molto simili. Fin da bambina le avevano detto che era una piccola fotocopia di sua sorella maggiore e aveva indossato quel titolo con tanto orgoglio per anni. Sua sorella era il suo modello, qualcuno che non si arrendeva mai davanti a nessun problema.
Yen scosse il capo. Sciolse la piccola coda, che l'aiutava a tenere alcuni ciuffi in alto, lontano dal volto. «Ci hanno seguiti...» Inspirò forte. Si tirò poi in piedi e Zalia la imitò, seguendola fino a letto. Si sedette di fronte a lei, passandole la maglietta del pigiama poi. «Ho spinto un po' Robert oltre il limite di sopportazione, ha capito che non mi fido di nessuno di loro.»
Zalia corrugò la fronte. Avrebbe voluto urlarle che non poteva sempre compromettere tutto a causa del suo carattere spigoloso, ma sarebbe stata un'ipocrita, considerando tutti i pasticci che stava accumulando, come fossero figurine. «E poi...?»
Sua sorella si cambiò, indossando il pigiama, e tornò a sedersi, lasciandosi cadere come un peso. «E poi sono uscita fuori a fumare o a prendere una boccata d'aria, volevo prenderlo a schiaffi perché dava sempre risposte così criptiche ed enigmatiche.» Si passò una mano tra i capelli. «Non me n'ero accorta. Robert lo ha visto entrare nel locale ed è uscito. Mi ha tirata in un vicolo osceno, ma era tutto buio. Abbiamo aspettato finché non l'abbiamo visto andarsene.»
Zalia sorrise appena maliziosa. Sua sorella la fulminò con un'occhiataccia e le mollò un pugno sulla spalla. «Idiota! Stavo per essere probabilmente uccisa e tu pensi ad altro?!»
«Ahi-» Zalia si accasciò teatralmente su se stessa, cercando di trattenere una risata. «Scusami se le occhiate che ti riserva sono cariche di tensione-»
«Smettila.»
Iniziò a gattonare sul letto nella sua direzione, poi saltò addosso a sua sorella, abbracciandola. Si stesero una accanto all'altra. Yennefer prese ad accarezzarle i capelli, con dolcezza. Amava sua sorella, non poteva fare a meno di lei. Avrebbe voluto restare stretta a lei per tutto il tempo, si sentiva al sicuro. Ormai, insieme alla zia Eleonore, era la sua famiglia. «'Lia...»
Zalia alzò lo sguardo su di lei. «Mh? Dimmi...»
«Non dirlo a zia. Si preoccuperebbe troppo. Ha già alcuni problemi cardiaci, non voglio darle ulteriori apprensioni. Questa storia già sta facendo abbastanza.»
Zalia annuì. Non poteva darle torto, era la decisione migliore e forse anche la più saggia. Si accoccolò tra le braccia di sua sorella e sospirò piano. «Ho qualcosa da dirti, dato che siamo in fase rivelazioni...»
Yennefer inarcò un sopracciglio e abbassò lo sguardo su di lei, in attesa che iniziasse a parlarle. «Cos'è successo? Ti hanno fatto qualcosa?»
Si mise seduta. Scosse il capo e prese un grosso respiro prima di cominciare a parlare come una mitragliatrice. Sapeva di essere spesso impulsiva, buona e forse troppo gentile. «Io, Al e Izar eravamo andati a prendere informazioni su Orion, Arthur e Robert. Volevamo capire quale fosse il legame con i nostri genitori, così Al ha assunto un'hacker per rubare i loro fascicoli dai server della Serpents Agency.»
Yennefer sgranò gli occhi. Si mise seduta. «È stata una dichiarazione di guerra... rischioso.» Si morse l'interno guancia. «Scusami, continua.»
«Allora i loro fascicoli, purtroppo, erano in gran parte censurati, ma a quanto pare si sottoposero a un esperimento, la cui formula sarebbe stata inventata dai nostri genitori... la chiamavano arma K.» Yennefer fece per interromperla, così Zalia alzò la mano per fermarla. Purtroppo il suo racconto non era finito lì, perché se così fosse stato, l'avrebbe considerato un successo. «Credo ci abbiano scoperti o comunque ci stessero pedinando. Maximillian, quello che ha aggredito anche casa nostra, ci è piombato davanti, alla stazione di Cleveland. Ci siamo fermati lì per evitare che arrivasse fin qui. Lui mi ha minacciata, Yen. Così gli ho promesso che gli avrei consegnato la formula, mi ha dato una settimana di tempo. Non ho idea di dove possano averla nascosta, non so cosa fare.»
Vide ogni tipo di espressione affogare il volto di sua sorella. Dalla paura, alla rabbia, alla comprensione, fino ad arrivare alla preoccupazione finale. La tirò a sé e la abbracciò forte, cullandola tra le sue braccia. «Lia... quante volte ti ho detto di pensare prima di agire?»
Zalia sbuffò. «Lo so. Io e Al abbiamo pensato di consegnargli un qualcosa di falso al nostro incontro e scappare. Se sospettasse di qualcosa, potremmo dirlo a Robert o ad Arthur. Lo hanno già steso una volta, potrebbero farlo ancora, no?»
Yen era sempre stata quella più forte tra loro, non solo per l'età, ma soprattutto per il suo temperamento freddo e distaccato verso il mondo. Era la sua roccia. «Non so se possiamo fidarci davvero di loro... Non ci hanno detto nulla di questo esperimento.»
«A noi basterà dare loro quelle informazioni che ci possano servire per andare avanti nelle nostre indagini. Sono sicura che se trovassimo quella formula, Yen, riusciremmo anche ad arrivare a loro. Con quella in mano, potremmo richiedere qualsiasi cosa in cambio.»
Sussultarono entrambe, quando sentirono bussare alla porta. Sua sorella si sistemò il caldo pigiama di pile e si avvicinò, aprendo la porta.
Robert era sull'uscio. Era strano vederlo indossare qualcosa di diverso da una camicia o un maglione a collo alto. Aveva una felpa calda e i pantaloni di una tuta. Teneva tra le mani una tazza fumante e le osservò appena. «Ho pensato che dopo la piccola disavventura una camomilla fosse l'ideale.»
Zalia provò una certa soddisfazione, quando vide la figura di sua sorella irrigidirsi. Salutò l'uomo, alzando la mano e agitando le dita. A incresparle le labbra, c'era un sorrisetto piuttosto compiaciuto.
Robert si inclinò, affacciandosi verso di lei. «Oh, non ti avevo vista. Pensavo dormissi... vuoi anche tu una tisana?»
«No, grazie. Gentilissimo.»
Yennefer prese la tisana dalle sue mani e lo guardò scettica. «Ti ringrazio per la preoccupazione. Buona notte.»
«'Notte.»
Pochi secondi dopo, sua sorella gli richiuse la porta in faccia. «Non ti azzardare a fare un solo commento. Dormi o ti soffoco col cuscino.» Si incamminò verso il proprio letto e iniziò a bere la camomilla.
«Ho pensato che una camomilla fosse l'ideale.» Sghignazzò. «Ha capito anche lui che sei pazza.»
«Ti uccido.»
«Vedi? Sei troppo violenta... magari a lui piace.»
Yennefer si voltò a guardarla. Le scoccò un'occhiataccia infastidita, senza riuscire a reprimere un sorriso. «Smettila, ti prego. Pensa a dormire, piuttosto. Cercheremo una soluzione, te lo prometto.»
Sua sorella iniziò a bere la camomilla e Zalia sbuffò piano.
Iniziò a rigirarsi tra le coperte.
La sua mente viaggiava a quando erano solo delle bambine felici ed erano l'intero universo per i loro genitori. Accarezzò il piccolo ciondolo che indossava sempre al collo. Sua madre le aveva regalato quel piccolo cuore d'argento e non se ne sarebbe mai separata. Aveva solo sette anni quando le portò quel piccolo pacco regalo. Zalia l'aveva sempre visto indossare a sua madre e ne aveva sempre desiderato uno uguale. Sua madre le aveva promesso che prima o poi ne preso uno identico, così era come se fossero sempre vicine.
Da quando era scomparsa, iniziava ad accarezzarlo quando sentiva maggiormente la sua mancanza. Socchiuse gli occhi, cercando di reprimere le lacrime.
Le mancavano ogni giorno.
Sempre di più.
Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso, ma si mosse sul fianco e vide sua sorella dormire. Zalia non era riuscita a chiudere occhio, al contrario. Si mise seduta. Forse aveva bisogno di bere qualcosa e voleva staccare un po' la spina dai propri pensieri, che la assalivano non appena cercava di prender sonno.
Fuori pioveva. Prese a fissare la finestra e le gocce d'acqua che scorrevano sul vetro. Si era sempre sentita a proprio agio sotto la pioggia, non la infastidiva. Sembrava che mettesse fine a tutti i suoi problemi, la ripulisse dai timori.
Però, era terrorizzata dai tuoni.
Sbuffò piano e raccolse i capelli in un alto chignon. Un ciuffo riccio le ricadde davanti agli occhi e sorrise appena. Poggiò i piedi sul pavimento freddo e rabbrividì. Aveva bisogno di quelle sensazioni, l'aiutavano a sentirsi viva e non in balìa delle proprie paure. Indossò una felpa calda sopra il proprio pigiama e uscì dalla stanza, facendo attenzione a non svegliare sua sorella.
Il corridoio era buio. Quel maniero di notte sembrava ancora più spettrale. Prese il proprio cellulare e fece luce con la torcia. Si soffermò per un istante a fissare i quadri di Pollux ed Orion. Avevano un portamento così diverso. Il primo sembrava molto più impostato, c'era qualcosa di regale nel suo atteggiamento. Lo sguardo era fiero e penetrante. Era un bellissimo ragazzo, eppure le metteva un po' i brividi, sembrava la giudicasse. Per fortuna Izar aveva ereditato solo la bellezza dal padre, non appariva così freddo e scostante.
Orion, invece, sembrava proprio così simile ai racconti su di lui. Un guizzo vispo gli illuminava lo sguardo, insieme a un sorrisetto sfrontato, come di chi avrebbe affrontato il mondo anche a mani nude.
Ebbe la sensazione che fossero due facce della stessa medaglia.
Scosse il capo, ridestandosi, e iniziò a scendere le scale, raggiungendo così il salotto. La legna nel camino crepitava ancora, sebbene la fiamma ormai fosse debole. Probabilmente Arthur era stato lì fino a un'ora prima.
Anita riposava accanto al camino, su un enorme cuscino tutto per sé. Sorrise, anche quel cane aveva un aspetto minaccioso e un cuore tenero.
Iniziava a credere che fosse un po' una caratteristica dei Grey.
Si strinse nella propria felpa e si mosse verso la cucina.
Accese la luce e si guardò attorno e sussultò quando intravide una figura voltarsi verso di lei.
D'istinto prese uno straccio puntandoglielo contro.
Altair scoppiò a ridere, sommessamente. «Sul serio?» Inclinò il capo. Zalia non credeva fosse possibile sentire il suono della sua risata, sembrava quasi surreale. Di solito era difficile anche parlarci. A stento rivolgeva la parola a qualsiasi essere non fosse abbastanza alla sua altezza.
Si portò le mani al petto, provando a riprendersi. «Cristo, mi sono spaventata. È tutto così silenzioso da essere dannatamente inquietante.»
Altair annuì com un cenno del capo. Si sedette al tavolo circolare della cucina e iniziò a girare il cucchiaino nella tazza. Poi incastrò i suoi occhi di ghiaccio su di lei. «Come mai sei sveglia?»
Zalia intrecciò le braccia al petto. Improvvisamente pensò che dovesse essere impresentabile con quella felpa enorme e i capelli in disordine. «Potrei farti la stessa domanda, ghiacciolo.»
Il ragazzo corrugò la fronte. «Come?»
Si sedette di fronte a lui. Lo vide muoversi a disagio, mentre il profumo proveniente dalla tazza fumante riempiva la stanza. «Spesso ti chiamano così tra i corsi. Altair Grey, il ragazzo di ghiaccio.» ridacchiò. «Sai non parli con nessuno, te ne stai sempre sulle tue. Con la tua media stratosferica ci giudichi tutti.»
Altair schiuse le labbra in un'espressione confusa. Poi si morse l'interno guancia. «Non è così... è solo la mia faccia, suppongo.» Sbuffò poi. Indicò il pentolino sul fornello, ormai spento. «Comunque sia, ho fatto della cioccolata calda, se vuoi prendine pure.»
Il suo volto si illuminò. Non poteva di certo tirarsi indietro davanti a una tale proposta. Si tirò in piedi e se ne versò in una tazza, canticchiando a bassa voce in sottofondo. Non era mai riuscita a sopportare molto i silenzi, non le piaceva. Poteva sentire i propri pensieri darle il tormento e doveva in ogni modo sedarli, esorcizzarli con un po' di sana musica.
Tornò poi a sedersi di fronte al ragazzo, che aveva seguito ogni suo movimento con la coda dell'occhio. «Che c'è?»
Altair scosse il capo. «Se è poca, puoi prenderne un altro po' da me.»
«No, va bene. Grazie.» Iniziarono a bere in silenzio. Soltanto il rumore della pioggia spezzava quel momento. Non ne poteva più, sebbene il sapore della cioccolata calda fosse inebriante. «Allora, perché sei sveglio?»
«Te l'avevo chiesto io per primo.»
«Sul serio?» inarcò un sopracciglio. «Stiamo facendo il gioco di quando avevo sei anni? L'ho detto io per primo.» Iniziò a scimmiottare la voce di un bambino capriccioso.
Lo vide sorridere appena. Era solo l'ombra di un sorriso, ma le bastò. «Sei proprio strana, sai?»
Zalia scrollò le spalle e riprese a bere. «Ero sveglio perché stavo studiando, o meglio sto provando a studiare, e volevo un po' di carica di dolce. Gli zuccheri fanno restare svegli-»
«Lo so, studio anch'io medicina, genio, sai?» Zalia si sedette in maniera scomposta sulla sedia, incrociando le gambe. Altair, invece, sembrava un pezzo di marmo. «Non riesco a dormire, da quando ho promesso a Maximillian di portargli la formula...» Iniziò ad arricciare nervosamente il ciuffo di capelli attorno al dito.
Altair la osservò. Serrò la mascella. «È stata una mossa troppo audace, effettivamente. Troveremo un modo.»
Zalia aggrottò la fronte, doveva allontanarsi da quei pensieri. «Come mai dici che stai provando a studiare? Qualcosa non va?»
«È un periodo strano, non riesco a concentrarmi, ma passerà, spero.» notò come la voce gli si fosse incrinata per un attimo, ma preferì non indagare oltre. Doveva essere doloroso per uno così attento e legato allo studio non riuscire a rendere come avrebbe voluto.
«A volte è importante darsi una pausa, sai? Ci aiuta a non perdere di vista chi siamo. A volte perdiamo la rotta, diamo per scontato che certe cose siano importanti, quando in realtà sono solo un contorno di ciò che siamo davvero.» gli posò una mano sul polso. Lo vide sussultare a quel breve contatto. «Non c'è niente di male a stare male, siamo solo umani.» Sorrise poi, allontanandosi. «E questo dà una bellissima conferma del fatto che non sei di ghiaccio, non trovi?»
Altair si corrucciò. «Non mi piace questa nomea, sono solo introverso e mi piace farmi i cazzi miei.»
«Menomale che non hai detto tranquillo. Anche perché hai spezzato le gambe di quei bulletti-»
«Come lo sai?»
«Leon me ne ha parlato entusiasta. Sai non penso che i problemi si risolvano così.»
Altair scrollò le spalle. Bevve un altro sorso di cioccolata. «Punto di vista. Mi sto procurando clienti per il futuro.»
Si grattò la nuca in imbarazzo e osservò la propria tazza. «Senti, ehm, dato che siamo qui...» Si alzò sparendo per qualche istante. Andò in salotto a recuperare la propria borsa e sfilò la vecchia agenda di Orion. Quando fece il suo ingresso in cucina, di nuovo, Altair la guardava scettico. «Il primo giorno ho rubato l'agenda di tuo fratello, credendo di trovarci informazioni utili. Non arrabbiarti. Cioè avresti tutto il diritto di farlo, ma all'inizio non mi fidavo di voi e avevo paura mi nascondessi qualcosa. Ora sto provando a scusarmi, fallendo miseramente-»
Altair alzò le mani. «Non ho tempo di arrabbiarmi, parli troppo.» Le prese l'agenda dalle mani e iniziò a sfogliarla.
Inclinò appena il capo. «Ci sono solo miei disegni di quando ero piccolo... e una filastrocca.»
Zalia tornò a sedersi. Sorrise istintivamente pensando a un piccolo Altair intento a scarabocchiare sull'agenda del fratello. «Sì, ma è strana.»
Iniziarono a leggerla ad alta voce.
Sepolto
Lì
alle undici e nove
in un campo a morir
dal dolor mi sento impazzir
Di colpi
subiti, ch'
Ho preso. è peggio questo, con la nostra storia
voglio dormir,
avanti come un vecchio cd
«Cosa significa secondo te?»
Altair scosse il capo, confuso. Si mordicchiò il labbro. «Non lo so. Orion ogni tanto amava scrivere poesie, ma questa è vagamente inquietante... ci penserò su.» Le riconsegnò l'agenda. «Tienila tu. Non so Arthur e Robert cosa stanno tramando ed è meglio che non si accorgano dell'assenza dell'agenda, ora che l'ufficio di Orion è sottochiave.»
Zalia gli posò una mano sulla sua. «Dovresti riposarti un po'... hai delle occhiaie tremende.»
Altair si passò una mano sul volto. Arricciò il naso. «Davvero?»
Zalia ridacchiò. «Posso prestarti qualche maschera di mia zia... sono rilassanti. Sarebbe divertente vederti coi cetriolini in faccia-»
In un attimo il suo sguardo si trasformò. Dalla tranquillità al puro terrore. Un tuono spaccò la serenità della serata e la monotonia della pioggia. Il lampo illuminò la stanza.
Sussultò come una bambina e si portò le mani in volto, d'istinto.
Altair le si avvicinò. Le posò una mano dietro la schiena c accarezzandola, e corse in salotto a prendere una coperta, che poi posò sulle sue spalle. «Non è nulla, tranquilla. È passato.»
Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi. Le mancava suo padre. Si rifugiava sempre da lui quando tuonava, si sentiva a casa tra le sue braccia. «S-scusami.» Tirò su col naso. Si fece forza e Altair tornò a sedersi di fronte a lei. Era preoccupato, poteva vedere come la sua fronte fosse aggrottata e gli occhi dardeggianti su di lei. «Sono terrorizzata...»
«Tranquilla... io ho paura dei pesce palla.»
Scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca. «Come?!» In un attimo il terrore era stato spazzato via, sebbene il cuore continuasse a batterle con violenza in petto.
Altair annuì. «Insomma si gonfiano in modo inverosimile. Mi fanno senso.»
Angolino
Ho aggiornato per una mia lettrice❤️🩹
Spero il capitolo ti sia piaciuto🫶🏼
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