XIX. Passato scomodo
Arthur
Da più di dieci anni detestava Halloween. Non aveva mai rivelato il motivo, era uno dei tanti segreti nascosti dentro il suo animo, già abbastanza logorato.
Odiava qualsiasi festa, ma nessuna era come Halloween.
Se ne stava col capo poggiato contro il finestrino dell'auto. Le luci di Boston si susseguivano una dietro l'altra, i colori si fondevano con la notte, e sembravano piccole lucciole destinate a spegnersi, un po' come si era sempre sentito anche lui. Si accoccolò nel proprio cappotto, mentre Robert teneva le mani ben salde sul volante.
C'era una tensione particolare tra lui e Yen, si poteva tagliare con una lama ben affilata, era uno strato piuttosto spesso.
Osservava il suo migliore amico mentre lanciava occhiate alla donna dietro, attraverso lo specchietto retrovisore.
Ogni tanto contraeva la mascella, in un gesto un po' stizzito.
Neanche Arthur era entusiasta all'idea che quella giornalista, ficcanaso e un tantino manipolatrice, fosse lì con loro, ma era l'unico modo per tenerla lontano da casa e da possibili e inutili indagini. Picchiettò con le mani sul cruscotto, un po' nervoso e sospirò piano. «Dobbiamo proprio? Se andassimo in un altro locale a bere e a sentirci male?»
Robert storse il naso. «Ci ha contattati per parlare. Credo possa darci qualche informazione o qualcosa di simile. Non ci sentivamo da anni, ormai.»
Arthur sbuffò scocciato. Non gli andava di rivedere certi volti. «Lo so che hai ragione e detesto tu abbia ragione... quand'è successo questo cambio tra noi? All'accademia ero io a dovervi fare da balia. Sei maturato troppo.»
Robert ridacchiò appena. «Perdere un piede forse ti fa crescere. Nel senso, mi sono abituato a non dare nulla per scontato ormai.»
«Chi dovete incontrare?» Yennefer si sporse in avanti. Ad Arthur non sfuggì il tremolio che invase il corpo del suo amico, non appena il profumo della donna gli fu abbastanza vicino.
«Una vecchia amica.» Robert sbuffò piano. «Sarà divertente.» Tamburellò sulla sua spalla, ridestandolo dai pensieri. «Divertente come oggi sia Halloween, che casualità. Ti ricordi la festa?»
Arthur fece un sorriso tirato. «E chi la può dimenticare.»
Un cuscino lo colpì in pieno volto. Aveva dimenticato quanto fosse bello dormire prima dell'accademia e prima di avere un compagno di stanza così tanto rompi coglioni. «Arthur! Lo so che sei sveglio! Dai alzati.»
«Orion, non hai niente da fare? Non lo so farti Syria di prima mattina mi sembra una bella opzione.»
In poco tempo il suo spazio vitale fu invaso. Orion si era seduto sul suo letto, costringendolo a spostarsi. Si mise seduto. «Va bene-» Si portò le mani in volto, tirando alcuni ricci all'indietro. Doveva solo stare calmo e cercare di non strozzare il suo migliore amico. «-che cazzo vuoi?»
«Io e Robert-»
«No.»
«Non mi hai ancora ascoltato!»
«No.»
«Arthur, guardami.»
«Orion.» Arthur roteò gli occhi al cielo. «No.»
Gli posò una mano sulla spalla, costringendolo a fissarlo. Deglutì. Odiava quando sfoderava le sue armi migliori. «Ti ho detto di guardarmi.»
«Smettila, non vi appoggerò nell'ennesima stronzata che ci metterà in punizione.» Arthur si lasciò cadere sul letto e intrecciò le braccia dietro al capo. Orion si voltò a fissarlo, con quel solito sguardo da cane bastonato. Sbuffò esasperato. «Va bene, esponimi questo brillante piano.»
Il sorriso dell'amico si ingigantì, illuminandogli il volto. Lo odiava, detestava l'influenza che aveva su di lui, mandando ogni pensiero razionale in un altro universo. «Questa sera sarà Halloween.»
«E quindi?»
Orion lo affogò quasi col cuscino e scoppiò a ridere. «Non interrompermi. Comunque, io e Robert abbiamo organizzato una piccola festa nel seminterrato degli allenamenti, perché è insonorizzato.»
Arthur sgranò gli occhi. Gli diede un ceffone dietro al collo, con una rapidità pari a quella di un felino. «Sei stupido? Se ci beccano ci fanno lavorare come degli schiavi fino a data da destinarsi.»
Orion scrollò le spalle, indifferente. «Una punizione in più, una in meno. La aggiungeremo alla mia collezione. Allora, l'alcol c'è, ci ha pensato Andrew.»
Arthur si passò una mano in volto. «E il coprifuoco?»
«Da qui è semplice raggiungere il seminterrato e oggi teoricamente è sabato, quindi possiamo star fuori dalle stanze fino a mezzanotte.»
«Bene, ma secondo il regolamento, che fra parentesi abbiamo giurato di rispettare e onorare, non possiamo organizzare feste illegali.»
Orion sembrava sordo a tutti quei cavilli tecnici, così come gli piaceva definirli.
Testa calda, arrogante e buffone.
Così lo avrebbe descritto in quel momento.
Poggiò le mani sui fianchi, dondolandosi sui talloni. Gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi. Inclinò il capo, con quel solito tono da cucciolo indifeso. «Allora, sei con me o devo rinchiuderti in stanza fino a quando non cambierai idea?»
Arthur sbuffò e si alzò. Gli strinse la mano. «Va bene, facciamolo... Max è dei nostri miracolosamente o dobbiamo abbatterlo?»
Orion sorrise. «Neanche lui sa resistere alle cose illegali, lo sai meglio di me.»
Dopo tante implorazioni, erano riusciti a tenere la musica a basso volume, per evitare che anche le pareti insonorizzate potessero vibrare. Arthur si sentiva costantemente nervoso, mentre teneva stretto tra le mani il proprio bicchiere di plastica, riempito con chissà quale sotto marca scadente di alcol. Sbuffò piano e mandò giù l'ennesimo sorso. Socchiuse gli occhi, perché la gola bruciava, come se andasse a fuoco, e tornò poi a studiare la festa.
Nonostante fosse stata organizzata dai suoi amici, che di tranquillità capivano ben poco, era poco caotica. Ironico come quella sala di solito veniva utilizzata anche per torture e interrogatori, cosicché le urla non potessero essere sentite da nessuno, nemmeno a poca distanza. A volte si allenavano a sparare lì, ai bersagli, sotto gli sguardi attenti dei loro supervisori e superiori.
Avevano spostato un tavolino, su cui di solito poggiavano gli oggetti importanti durante gli allenamenti, e l'avevano riempito di bicchieri. Poi a turno lanciavano una pallina da ping pong, da semi ubriachi, sperando di centrare i bicchieri.
Chi perdeva, ovviamente beveva.
Orion beveva anche se vinceva, le regole gli stavano sempre strette.
«Che fai, non giochi?» Robert gli cinse le spalle, dondolandosi allegro.
«Mi sto accertando che nessuno ci uccida e ci becchi.»
Robert fece un sorriso tirato. Gli sistemò il maglione, smanioso. «Allora fai coppia con me. Noi due contro Orion e Syria. Li uccidiamo a questo giro, me lo sento.»
Andrew li raggiunse con un piatto con delle strane gelatine colorate. Arthur lo guardò, aggrottando la fronte. «Che diavolo sono?»
«Gelatine.» Andrew singhiozzò. Le guance ormai erano tinte di rosso. «Alcoliche.» rise poi. «Va bene, mi state estorcendo troppe informazioni, sono molto alcoliche.»
Robert rise e si allungò a prenderne una. Arthur sospirò piano. Si arrese, decise di mangiarne un paio e si fece trascinare da quello stupido gioco.
Aveva caldo.
Il sudore gli imperlava la fronte e mai come quella volta non riusciva a prendere più di tanto la mira.
La camicia era grondante d'acqua, anche perché poco prima Andrew e James gli avevano versato addosso i loro bicchieri, mentre erano impegnati a fare gli idioti.
Orion e Syria erano di fronte a loro, Max -stranamentw senza alcun istinto omicida nei loro confronti- faceva da arbitro alla partita. Se ne stava con le braccia intrecciate al petto e le gambe allargate, come in procinto di fare una spaccata. Era strano vederlo ubriaco e senza quel solito ghigno rabbioso.
Ebbe quasi la sensazione che, se non fossero stati tutti loro un po' dei presuntuosi antipatici, avrebbero potuto essere buoni amici.
Ma le circostanze e il fato avevano deciso un altro percorso per ognuno di loro.
Erano destinati a crollare, come un castello di sabbia contro una mareggiata.
Orion barcollava quasi. Si era liberato della camicia, restando solo in canotta. Ed era anche abbastanza difficile concentrarsi. Aveva la palla chiave per chiudere quella partita. Gli lanciò un'occhiata divertita. I suoi occhi neri scintillarono quasi mentre si posavano su di lui e Arthur deglutì appena.
«Ti muovi o no? Ti ricordi che se perdi, devi presentarti in mutande domani all'allenamento.» Robert ridacchiò. Si avvicinò piano ad Arthur, al suo fianco, dandogli una gomitata. «Prego per questa scommessa comunque.» bisbigliò appena, approfittando di Orion che prendeva bene la mira.
Arthur aggrottò la fronte. «Come scusa?!»
Orion fischiò, attirando la loro attenzione. Aveva centrato il bicchiere. «Mi dispiace, Bobby, la prossima volta tutti i generali potranno ammirarmi.» Ridacchiò divertito. Si passò una mano tra i capelli e tirò Syria a sé, dopo averle posato un bacio sulle labbra.
Arthur roteò gli occhi al cielo.
«Dio mio, prendetevi una stanza. State facendo venire il voltastomaco a tutti.» Max mandò giù un altro sorso di vodka. Nei suoi occhi scuri c'era quel solito scintillio pieno di rabbia.
Syria si sistemò i capelli in un alto chignon. «Scusa Max, ma vai a farti fottere.»
Orion le batté il cinque. Maximillian si irrigidì, serrando la mandibola.
Arthur non voleva problemi, né guardare sceneggiate patetiche. Strattonò Robert per la camicia. «Io vado in camera, sono stanco e voglio dormire. Sistemate voi tutto?»
Robert annuì. Lanciò un'occhiata ad Orion, che sembrava sul punto di scannarsi con Max, anche solo per uno sguardo. Robert era una testa calda, non si sarebbe tirato indietro davanti a una rissa, soprattutto per appoggiare suo fratello, così come si definiva con Orion. Eppure, per lui aveva sempre avuto un comportamento speciale, diverso. Arthur lo adorava, sapeva di potersi fidare completamente. «Vuoi che ti accompagni?»
Scosse il capo. «No. Buonanotte.»
«'Notte.»
Si allontanò, ma sentiva lo sguardo dell'amico addosso, come se si stesse accertando che stesse bene. Sospirò piano e abbandonò il seminterrato. Non era ancora mezzanotte. Si incamminò silenziosamente tra quei corridoi, dove i passi sembravano tonfi che anticipavano l'ingresso all'inferno.
Era tutto così scuro e tetro, grigio e militare. Non fiatava nemmeno una mosca. Se solo i generali avessero saputo della festa che si stava tenendo al piano di sotto.
Raggiunse la propria camera e spinse la porta in avanti. Fece una doccia fredda e veloce, dopodiché indossò il pantalone della tuta e un maglione. Si buttò sul letto, a pancia sotto, e affondò il volto nel cuscino. Non sapeva nemmeno perché avesse accettato di entrare all'accademia, ma era l'unica soluzione per fuggire da una casa, dove nessuno l'avrebbe mai accettato, e allo stesso tempo rendere suo padre fiero. Sarebbe stato un soldato, un eroe di guerra.
Gli mancava solo sua sorella Lily, ma tutte quelle pressioni che avevano esercitati su di lui erano valse la pena, almeno era libera di vivere la propria vita.
Suo padre era convinto che pugni e cinture erano servite a crescere un figlio coraggioso e senza paura, non uno dei tanti malati che vedeva in giro.
Serrò i pugni.
Se soltanto avesse avuto davvero un po' di comprensione, forse sarebbe stato diverso.
Arthur non era coraggioso come i suoi amici, viveva nel terrore che a diciassette anni lo avrebbero chiamato in guerra e che qualche bomba l'avrebbe ucciso.
Al di là delle sue doti, esaltate da tutti i suoi generali, a tenerlo in vita era la paura, nient'altro.
Si tirò la coperta addosso, provando a nascondersi. Probabilmente passò un'ora o poco meno, quando sentì la porta aprirsi. Si voltò a guardare Orion, appena entrato, e poggiato contro la parete. Il naso grondava di sangue e sorrideva, nonostante tutto.
Si mise seduto. «Chi è stato?»
«Il mio migliore amico dall'inizio di quest'avventura.»
«Max?»
Orion annuì e si sedette sul suo letto. Amava invadere i suoi spazi e Arthur non era tanto bugiardo da negare che gli facesse piacere. «Prendo del ghiaccio-»
«Sto bene... posso, posso stendermi?»
«Vuoi il mio letto?»
«No, idiota. Posso stendermi vicino a te?»
Arthur annuì, facendogli spazio. Orion sbuffò piano, distendendosi al suo fianco e prese a fissare il soffitto. «A volte mi chiedo semplicemente perché tutto non va come l'avevo immaginato.»
«Orion, sii più specifico, non so che crisi devo gestire adesso.»
«Io e Syria, beh stavamo un po', insomma hai capito. Nello sgabuzzino.»
Arthur sbuffò. «Il tuo romanticismo mi prende sempre così tanto, davvero, dovresti darmi lezioni.»
Orion rise. Arthur adorava il suono della sua risata. «Comunque Max arriva e mi prende a pugni. Iniziamo a litigare... lo sapevi che Syria sta con entrambi? Perché io non ne avevo idea.» assottigliò lo sguardo. «E no, non una sola volta. Tante volte. Poi avrebbe deciso di chiudere con lui, tipo un'ora prima della festa.»
«Mi dispiace.» Sospirò piano. Era strano avere il profumo penetrante di Orion addosso. Erano sempre vicini, a qualsiasi allenamento o lezione, ma mai come in quel momento. Poteva sentire il peso dei suoi sospiri, contarli, assaporarli quasi. Era anche ubriaco, aveva bevuto più di tutti loro.
«Non so se sono arrabbiato o altro. Cioè non so cosa sto provando.» Si mise sul fianco, prendendo a fissarlo. Arthur si irrigidì appena. Gli mancava il fiato. «Non sono triste, però.»
«Meglio così. È l'alcol a tenerti allegro.»
Orion restò in silenzio per qualche secondo. Sentiva i suoi occhi bruciargli la pelle, stargli così addosso da poterlo braccare in ogni angolo. Il cuore gli batteva fino in gola e non aveva idea di cosa stesse provando. Voleva scappare, ma anche restare lì a fissarlo all'infinito, lasciare che i suoi occhi verdi si specchiassero in quella notte scura di Orion. Lo afferrò per il maglione e lo costrinse ad avvicinarsi.
Arthur si irrigidì appena. I loro nasi si sfiorarono e le labbra presero a tremargli nervose. Posò la mano su quella di Orion chiusa a pugno.
Lo sguardo dell'altro saettava dai suoi occhi fino a fermarsi sulle sue labbra.
Le guance gli bruciavano e lo stomaco fece qualche capriola. Faceva quasi male, era una sensazione bruciante, logorante.
Sentirono bussare alla porta e Orion si voltò bruscamente, di scatto. Lo guardò per un ultimo istante, prima di tirarsi in piedi. Si sistemò i capelli, come sempre con gesti smaniosi e nervosi, tirando i ciuffi all'indietro, e aprì la porta.
Syria era sull'uscio, con il mascara sbavato e uno sguardo triste. «Possiamo parlare?»
Orion annuì. Si voltò a guardare Arthur ancora una volta e gli sorrise appena. Si richiuse la porta alle spalle.
Arthur, invece, si lasciò cadere di nuovo sul materasso, portandosi le mani in volto.
Non ne avrebbero mai più parlato.
Sarebbe rimasto il segreto di una stupida notte da ubriachi. Forse, in fondo, entrambi erano troppo codardi per rischiare di perdere l'amicizia e il legame che li teneva uniti indissolubilmente, fino alla fine.
Fino alla morte.
Robert gli schioccò le dita davanti agli occhi, riportandolo alla realtà. «Siamo arrivati, te lo ricordi, no?» Indicò con un cenno del capo un vecchio pub, dove andavano sempre, nei giorni liberi dell'accademia, a giocare a biliardo.
Arthur bofonchiò una risposta affermativa e scese dall'auto. Si strinse nella propria giacca di pelle. «Bene, andiamo.»
Robert attese che andasse avanti e si affiancò a Yennefer. Li sentiva chiacchierare sommessamente e si chiese come potessero cercare di andare d'accordo, sebbene si fossero quasi scannati precedentemente. Spinse la porta del locale in avanti e si guardò attorno. Adocchiò il solito tavolo, dove una volta sedeva assieme ad Orion e gli altri.
Gli mancavano quei momenti di spensieratezza.
Non gli mancava Halloween e tutta la finzione montata pur di nascondere i propri sentimenti.
Si accomodarono, guardandosi attorno. I camerieri erano travestiti tutti come fantasmi o pirati. Tutti e tre ordinarono delle birre e Robert se ne stava seduto di fronte a Yennefer, osservandola con attenzione, studiando ogni movimento. La ragazza aggrottò la fronte, dopo aver mandato giù un sorso. «Chi stiamo aspettando?»
«Syria. L'ex ragazza di Orion. Ci ha contattato qualche giorno fa per una rimpatriata e non ci siamo tirati indietro.» Robert beveva tranquillo.
«Non ti sei tirato indietro.» Arthur lo corresse.
Yennefer gli sorrise, sembrava divertita da quella situazione assurda.
«Oh eccovi qui! Non siete cambiati poi così tanto!» Syria li aveva raggiunti al tavolo. Teneva le mani posate sui fianchi e un vestito nero a fasciarle il corpo sinuoso ed elegante. I suoi occhi azzurri come la marea li scrutavano con attenzione e sbatté le lunghe ciglia, osservando anche di sbieco Yen. Si rivolse poi a lei. «Piacere mio, Syria.»
«Yennefer.»
«È una nostra amica.» Robert chiarì, spostandosi lungo il tavolo accanto alla ragazza e concedendo il proprio spazio a Syria, che si accomodò accanto ad Arthur.
«Mi siete mancati... come state?» Ordinò da bere.
Arthur detestava quei convenevoli, li trovava stupidi e inutili, senza alcun fine pratico. Sorrise sardonico, cercando di non lasciarsi abbindolare da tanta disponibilità. Syria era sempre stata loro amica, ma anche molto spinosa e puntigliosa. Non ci si poteva fidare di lei, a volte i suoi sguardi gli ricordavano quelli di una vipera. E Orion era stato un idiota a decidere di superare quella crisi, così come l'avevano definita. D'altronde, a detta loro, non c'era ancora nulla di concreto e serio, per cui avevano superato quell'evento con Max come se nulla fosse.
E forse Maximillian Kingsley aveva tutti i motivi per detestare entrambi.
«È la tua ragazza?» Syria ridacchiò appena, bevendo della birra e indicando Robert. «Strano, perché dopo Abby credevo che avessi deciso di lasciar stare qualsiasi relazione.»
Arthur serrò i pugni. Anche Robert si irrigidì. Sentire il nome della sua fidanzata storica era ancora doloroso. Robert l'aveva allontanata e lasciata, pochi mesi prima di proporle di sposarlo, per evitare che fosse il suo punto debole, che lo tenessero sotto scacco, minacciandolo di ucciderla. Aveva voluto evitare sofferenze e tragedie.
Si ricompose poco dopo.
«Siamo amici e basta. È così difficile? E se anche fosse? Non vedo il problema.» Yennefer la guardò male. Bevve anche lei un sorso. Ad Arthur non sfuggì il piccolo sorriso che i due si scambiarono.
Robert tornò in sé. «Parlando di cose serie, perché ci hai chiamato? Dopo tanti anni, pensavo non volessi più avere a che fare con noi.»
«Già, so bene che avete protetto Orion da qualsiasi danno abbia fatto. Che mi crediate o meno, io l'amavo e credo sia importante che voi sappiate una cosa.»
Arthur aggrottò la fronte. «Cioè?»
Syria lo guardò con compassione. Come tutte quelle volte in cui Orion lo abbracciava, facendolo illudere di un qualcosa. «Sono abbastanza sicura che Orion sia vivo. Maximillian gli sta dando la caccia e ha assunto me e James per cercarlo. Se dovesse trovarlo prima di noi, sarebbe morto. E nessuno di noi lo vuole davvero morto, adesso che pensa possa essere vivo.» Attorcigliò un ciuffo di capelli rossi attorno al dito. «E uccideranno tutti finché non arriveranno anche a lui. Orion potrebbe sapere qualcosa del siero che ci ha resi quelli che siamo. Ho intenzione di trovarlo e tenerlo al sicuro. Posso solo affidarmi a voi, so quanto lo amavate.» Lanciò un ultimo sguardo ad Arthur che si irrigidì infastidito.
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