VIII. Fuga

𝐀𝐥𝐭𝐚𝐢𝐫

Tornare a casa dopo le lezioni di solito era stressante.
Già era un periodo particolare per lui, gli studi erano tanti e la concentrazione poca. Non gli era mai successo.
Si sentiva impazzire come un animale in gabbia.
Ancor più stressante era essere costretto abbandonare di fretta la lezione perché Arthur non faceva altro che tempestarlo di telefonate. All'inizio le aveva ignorate, ma quando a lui si era aggiunto anche Robert, aveva capito che ci fosse qualcosa che non andava.

C'era decisamente qualcosa che non andava.

Abbandonò la borsa a tracolla a terra, nel corridoio, dopo essere uscito di fretta dall'aula, sotto lo sguardo attonito di tutti i suoi compagni di corso. Già immaginava che si stessero chiedendo cosa stesse tramando.
L'università si divideva in due fazioni: chi lo considerava un genio scostante, guardandolo con odio represso e invidia e chi, invece, era spaventato da lui, come se potesse tirare all'improvviso fuori dallo zaino una pistola e sparare a tutti.
La maggior parte di loro era terrorizzata da lui e dalla sua famiglia. Come se avesse un marchio sulla fronte con scritto: Terrorista, Assassino.
Dicevano sempre di non giudicare le persone dalla famiglia si appartenenza, eppure i peccati di suo fratello erano ricaduti su di lui. Come se non bastassero già la nomea, che i suoi nonni avevano avuto prima di loro, e le sventure, che si erano catapultate nelle loro vite.

Sfilò il cellulare dalla tasca, con un moto di agitazione. Lesse sullo schermo il nome di Robert, decise di rispondere alla sua decima chiamata. «Che c'è? Sono a lezione, e che cazzo.»

«Izar e Zalia sono con te?»

«No, chiaramente. Seguiamo corsi diversi... mi dici che ti prende?» La voce dell'uomo dall'altro lato del telefono era preoccupata.

«Va bene, Al, senti e ascoltami bene. Portate Zalia a casa nostra come ospite e per prima cosa va' insieme ad Arthur a casa della zia. Aiutatele a raccogliere le cose più importanti. Fatele trasferire da noi. È importante che nessuno vi veda... mi stai sentendo?»

Erano tante informazioni da processare e, in poco tempo, la sua mente si affollò di così tante domande, alle quali avrebbe voluto avere delle risposte immediate. Ma sapeva che c'era tempo per tutto e che in quel momento c'era soltanto bisogno di prontezza. Se le sorelle Cortez erano in pericolo, dovevano aiutarle, anche solo per la piccola collaborazione che li legava. Si chiese se Robert fosse a conoscenza di qualcosa. «Va bene, ma poi dovrai spiegarmi.»

«Certamente, tanto mi daresti il tormento comunque. Adesso muoviti, io cercherò di raggiungervi il prima possibile.»

Altair chiuse la chiamata e si guardò intorno. Non aveva idea in quale aula fossero Izar e Zalia, ma doveva muoversi.
I corridoi a quell'ora erano semi deserti.
C'era poco tempo a disposizione. Iniziò a tempestare di telefonate il ragazzo, fino a quando non gli rispose, forse preso dallo stesso esaurimento, che poco prima aveva assalito anche lui stesso. «Al, mi dici che cazzo di problema hai? Stiamo seguendo anatomia-»

«Dovete uscire. Zalia, Yen e la zia sono in pericolo. Dobbiamo andare a casa delle ragazze, fare le valigie e tenerle da noi per un po'. Muovetevi. Vi aspetto fuori all'ingresso. Arthur è già qui...»

Izar non rispose, attese qualche istante. «C-cosa succede?»

«Non lo so, ma dobbiamo muoverci. Ci vediamo tra un minuto, veloci!» Sbuffò stanco. Si passò una mano in volto e si sistemò la borsa a tracolla sulla spalla. Iniziò a correre nel corridoio, ignorando gli studenti che si voltavano a guardarlo come fosse impazzito. Stringeva forte la tracolla in pelle della borsa, quasi a scorticarla sotto le unghie. La consapevolezza che si erano cacciati in qualche enorme pasticcio iniziava a farsi largo in lui. L'idea di non essere all'altezza di proteggere i suoi fratelli lo terrorizzava, insieme alla rabbia recondita e alla consapevolezza che se suo fratello non fosse morto e non avesse preso determinate decisioni, adesso non sarebbero in quella situazione.
Continuava a chiedersi come fosse possibile che, a distanza di almeno dieci anni, qualsiasi grana fosse comunque ricollegabile a lui. Orion aveva sempre avuto un talento naturale per i le situazioni negative, d'altronde ci era nato e cresciuto per pochi anni.
Forse era nato sotto il segno della sfortuna e per questo i loro genitori avevano deciso di adottarlo, avevano riconosciuto un loro simile.

Una volta fuori dall'enorme edificio, si guardò attorno. Harvard era enorme. L'edificio si stagliava come un enorme labirinto, circondato da alte siepi e giardini verdi e rigogliosi. Il clima era sempre meraviglioso, sembrava di vivere in una cittadina a parte e tranquilla, lontano dai rumori della città. Si era sentito a casa la prima volta che aveva messo piede in quel posto, come se appartenesse a quel mondo. Altair aveva sempre avuto le idee ben chiare sul proprio futuro universitario, soprattutto dopo la morte di tutte le persone che aveva amato incondizionatamente. Voleva salvare vite, credeva di essere portato. Aveva visto troppe persone morire, era cresciuto circondato da quel dolore e lutto. In lui era nata la consapevolezza che non avrebbe permesso a nessun altro di soffrire quanto lui, nessuno meritava un dolore simile.
Era una ferita che non si sarebbe mai cicatrizzata, per quanto si sforzasse di dimenticare, il lutto di un fratello sarebbe rimasto per sempre in lui. L'aveva marchiato a fuoco. Credeva fossero tutta una serie di stronzate quelle secondo cui il tempo guariva ogni cosa. Non era vero. Il dolore restava lì, silente nel profondo dell'animo, pronto a risalire a galla nei momenti peggiori.

Assottigliò lo sguardo. Il cuore gli batteva in petto con violenza. Non provava quella sensazione di terrore da tempo, l'ultima volta era stata quando aveva seguito l'inseguimento da parte della polizia di suo fratello attraverso lo schermo del televisore. Un elicottero filmava dall'alto la scena e l'aveva visto schiantarsi e cadere giù da una rupe, verso l'oceano. Il suo cuore aveva smesso di battere per qualche secondo, prima che un attacco di panico prendesse il sopravvento. Aveva perso la lucidità, la stanza aveva iniziato a girargli intorno e poi era svenuto.
Era stato traumatico risvegliarsi in ospedale con tutti i suoi fratelli, ancor più preoccupati a causa sua.
Scosse il capo. Aveva iniziato a piovere e le gocce d'acqua ricadevano dai suoi ciuffi di capelli. Individuò Arthur e la sua vecchia berlina nera.

Alle sue spalle accorsero, poi, Izar e Zalia. Li osservò. Si tenevano per mano, ma sapeva non stessero insieme. La ragazza interruppe quel contatto e non gli sfuggì lo sguardo dispiaciuto di Izar. «Cos'è successo? Al, cosa diavolo succede?» Gli tirò il colletto della giacca.
A volte dimenticava quanto fosse insopportabile Zalia.

Arretrò, allontanandosi da lei. «Non lo so», scosse il capo nervoso, «Robert era allarmato a telefono e mi ha solo detto cosa fare. Quando sarete a casa al sicuro, allora ne parleremo. Posso dirti solo questo.»

Il labbro inferiore della ragazza prese a tremare. Avrebbe voluto abbracciarla, sapeva fosse l'unico modo normale per consolarla, ma non era più capace di certi gesti da anni. Si bloccava al solo pensiero. «D-devo chiamare Yen... devo sapere come sta-» il suo sguardo si inumidì.

«Vi muovete?!» Arthur urlò dalla propria auto, suonando il clacson con nervosismo. Aveva distrutto tutto il silenzio quasi sovrannaturale di Harvard.

Corsero tutti in auto e Altair si accomodò accanto all'uomo. Non l'aveva mai visto guidare così nervoso, con tanta intensità e velocità. Dovette trattenersi dalla voglia di vomitare. Zalia in sottofondo continuava a tempestare sua sorella di telefonate, senza ricevere mai risposta. «N-non c'è campo...»

«Tranquilla, vedrai che troveremo una soluzione a tutto. Sono certo che sta bene.» Izar le accarezzò una spalla, tirandola a sé.

Altair prestò di nuovo attenzione alla strada, ma Arthur sembrava essere già a conoscenza di dove andare. Preferì non chiedergli come lo sapesse, spaventato da qualsiasi risposta. «Cos'è successo?!»

«Yen è andata alla Serpents Agency per indagare sulla scomparsa dei genitori... a quanto pare lavoravano per loro durante un certo periodo...»

Zalia sgranò gli occhi. «E allora? Cos'ha fatto di male?»

Arthur la osservò attraverso lo specchietto retrovisore. I suoi occhi verde bottiglia la scrutarono con attenzione. Sembrava nervoso. «Non sono inclini al dialogo ed evidentemente i vostri genitori nascondevano qualcosa. Paul Kingsley ha inviato un uomo per seguirla. Robert è con lei, andrà tutto bene, ma noi dobbiamo muoverci.»

Zalia e Izar erano confusi. Ascoltavano le sue parole attoniti, mentre Altair cercava di assimilare quelle informazioni. C'erano troppi buchi di trama. «Anche tu hai lavorato per loro, no?»

Arthur annuì. «Infatti me ne sono andato. E stiamo correndo a casa perché conosco il soggetto che hanno inviato a seguire Yen fino a casa delle ragazze. E, ti assicuro, Max non è proprio un tipo incline al dialogo pacifico.» ci ripensò su. «Non è incline nemmeno al dialogo in generale.»
Accelerò, per evitare che il semaforo passasse dal giallo al rosso e Altair chiuse gli occhi d'istinto, sperando che non si schiantassero contro un automezzo.

Quando li riaprì, fu felice di scoprirsi ancora vivo. «Cristo stavo avendo un infarto, cazzo.» Si portò una mano al petto.

Arthur ghignò. «Per così poco?»

Quando arrivarono, si voltò a guardare i due ragazzi dietro. Fissò Izar e poi Altair. «Voi parlerete con la graziosa e gentile zia. Io e Zalia prendiamo tutte le loro cose e ce ne andiamo, okay?»
Annuirono. Pizzicò Altair sul braccio. «Prendimi la pistola dal cassetto.»

Altair, come gesto automatico, si mosse verso il cruscotto. Stava ancora metabolizzando le parole. Si bloccò.
«UNA CHE COSA?»

«Faccio io», sbuffò nervoso. Prese la pistola e si accertò fosse carica, «non guardatemi così, cercate di essere collaborativi oggi.»

Scesero tutto insieme dall'auto. Altair si muoveva a scatti, in tensione, come un automa. Tutta quella situazione stava diventando paradossale. Zalia cominciò a bussare, maledicendosi per aver dimenticsto le chiavi di casa. Nessuno rispondeva.
La ragazza era quasi in panico e Altair si voltò a guardare Izar. «Dobbiamo buttare giù la por-»

Un tonfo li fece sussultare. Arthur diede una semplice spallata e la porta era a terra. Sgranò gli occhi. Non era possibile come cosa. «Come hai fatto?»

«Punto di debolezza, baricentro, queste cose qua. Era il mio lavoro, te lo ricordi?»

Sentirono un urlo provenire dal salotto. Si precipitarono tutti dalla zia di Zalia, Eleonore, che, spaventata, si era nascosta dietro il divano, tenendo in mano la lampada come arma. «Zia, sono io. Tutto bene?!»

«Avete buttato voi giù la porta?» La donna si portò le mani al petto.

Arthur annuì. «Non posso dirle perché, ma siete in pericolo, signora. Raccogliete le vostre cose e venite a casa nostra.» Si guardò attorno, sospettoso. Si aspettava un attacco da un momento all'altro.

«La mia porta-»

«Perché non hai risposto al citofono? Pensavo ti avessero fatto del male-» Zalia teneva le mani sulle sua spalle, controllando che stesse bene. Izar le punzecchiava la spalla, ricordandole che dovessero muoversi e che ormai il tempo a disposizione fosse davvero poco.

La donna era stralunata. Teneva lo sguardo fisso sulla figura di Arthur. «Avevo le cuffie nelle orecchie per sentire meglio la televisione...», balbettò appena, «...era di legno massiccio-»

«Una gran bella porta, signora, complimenti. Mi aspetto che ammirerà anche le porte di casa nostra, sono altrettanto affascinanti.»
Arthur stava spiando dalle finestre possibili ingressi.
Altair avrebbe voluto fargli notare che la porta ormai era sfondata, sarebbe stato piuttosto semplice accedere all'abitazione. «Muovetevi. Dobbiamo muoverci, cosa non vi è chiaro?»

Zalia annuì. Fece cenno a sua zia di muoversi e iniziarono a riempire i borsoni di ogni genere di oggetto. Zalia lanciò due valigie in direzione di Altair e Izar. «Veloci!»

Altair scosse il capo, riprendendosi. Si mosse verso la camera della donna, non gli pareva il caso di frugare tra le cose delle due sorelle, preferiva dare un aiuto ad Eleonore. Sistemava qualsiasi oggetto gli passasse. Era un trasloco un po' folle. Aveva iniziato a riempire anche la borsa dell'Università. Poco importava se i suoi libri si fossero distrutti. C'erano priorità diverse in quel momento. «La foto in corridoio... dove siamo tutti a cena.»

Altair aggrottò la fronte. «Come?»

«Prendi quella foto.»

Credeva che non fosse il momento migliore per i sentimentalismi, ma obbedì. Corse in corridoio e acciuffò la cornice con la foto, lasciandola scivolare all'interno della propria borsa. Arthur li guardava teso, mentre teneva la presa salda sulla pistola.
Poi sentirono tutti dei passi violenti. Dei tonfi. Rabbrividì.
Arthur fece cenno loro di starsene in silenzio, portandosi un indice davanti alle labbra. «L'uscita sul retro...» bisbigliò.

Non l'avrebbe lasciato lì da solo. Scosse il capo, ma Arthur gli posò una mano sulla bocca, impedendogli di fiatare.

«Signora Cortez? Sono qui per una visitina di piacere, è permesso?» Aveva uno strano accento, simile a uno russo. Altair sentiva il cuore in gola. «Non mi piace giocare a nascondino, già mi sono rotto il cazzo.» Adesso il tono era infastidito e scocciato.

Arthur si affacciò da dietro uno dei mobiletti del corridoio e prese la mira sparando verso di lui. L'uomo si abbassò in tempo. Sorrise, sadico. Altair vide i suoi occhi neri incupirsi. «Arthur! Quanto tempo, che meraviglia saperti ancora vivo.»

Arthur uscì allo scoperto, tenendo le mani bene in evidenza. Stava cercando di guadagnare tempo per tutti loro. «Max, che piacere! Ti posso offrire una cioccolata calda?» scrollò le spalle. «Certo non è casa mia, ma possiamo darci un'occhiata... o forse preferisci una camomilla?»

Izar strattonò Zalia e insieme sgattaiolarono fuori, assieme ad Eleonore. Altair rimase lì. Non avrebbe mai lasciato Arthur a morire da solo. Poteva aiutarlo mentre era impegnato a distrarre quel soldato, abbastanza grosso da sembrare un armadio muscoloso.

Max abbassò la pistola e ghignò. «Senza armi sarà più divertente.» Era veloce, per la sua stazza. Si scagliò contro Arthur, prendendo un piatto ornamentale, raffigurante l'antico Egitto, e lo distrusse sul capo di Arthur.
Altair socchiuse gli occhi, mentre i due uomini si pestavano a sangue. Doveva cercare un oggetto abbastanza grosso per colpirlo alle spalle e al capo, per intontirlo bene almeno.

Sgattaiolò nella camera di Zalia. Era un'appassionata di baseball, qualcosa doveva pur tornargli utile. Individuò una mazza e sorrise. La afferrò. Quando uscì, sempre silenziosamente, i due uomini stavano letteralmente distruggendo casa a furia di colpi. Arthur era a terra, dopo aver sfondato un tavolino, di probabile origine orientale, e il sangue gli sporcava tutto il volto. Max era su di lui, le mani insanguinate. Gli occhi erano iniettati da uno strano desiderio sadico. Gettò il capo all'indietro ridacchiando, mentre lo teneva fermo. «Cristo santo, non immagini cosa darei per vedere i tuoi amichetti del cazzo assistere a questa scena. L'ho sognato per anni all'Accademia.»

Altair si mosse velocemente. Robert gli aveva insegnato qualche mossa di judo, si era allenato per anni, nonostante il fisico asciutto. Lo colpì al capo con la mazza da baseball. Lo vide accasciarsi a terra, eppure era ancora stabile. Arthur sgranò gli occhi. Tossì, sputando del sangue a terra. «Scappa!»

Altair fece per indietreggiare. Non poteva lasciarlo lì, ma si sentì sollevare. Max si era tirato subito in piedi, sebbene la ferita sul capo sanguinasse ancora. L'aveva afferrato per il maglione, alzandolo in alto, come fosse un semplice peso piuma. Lo spinse contro la parete. In un istante una fitta alla schiena lo colpì come una stilettata. Max lo osservò con uno sguardo crudele, quasi in cagnesco. «Oh tu devi essere il mini Grey... non somigli a tuo fratello, ma lascia che vi permetta di incontrarvi e far pace nell'aldilà.»

Uno sparo risuonò nel silenzio e Max si accasciò a terra. Altair iniziò a riprendere conoscenza, anche se gli girava la testa. La vista ripresa a schiarirsi. Robert teneva la pistola ancora fumante tra le mani. «Dobbiamo andarcene.» Si avvicinò ad Arthur, aiutandolo a tirarsi in piedi. Prese la mazza da baseball da terra e la lanciò all'amico. «Hai più voglia di me per ovvie ragioni... tramortiscilo.»
Arthur alzò la mazza. Mentre Max perdeva sangue alla gamba e arrancava, sputando sangue a terra. «Evitiamo morti, daremo loro una lezione.»

La voce di Arthur divenne più profonda, i suoi occhi erano iniettati d'odio. «Tanto guarirà presto, almeno mi diverto.» Strinse la mazza da baseball e iniziò a colpirlo con violenza sulle gambe. Altair chiuse gli occhi istintivamente. Sentì Robert tirarlo a sé, mentre i tonfi dei colpi riempivano il silenzio della stanza.

Lo trascinarono fuori. Aveva pochi ricordi. Si sentiva morire dentro. Si aggrappò a Robert, tirandogli la camicia. «Dove sono gli altri?!»

«Yen era con me in treno. Siamo venuti qui insieme. Izar si è messo alla guida dell'auto di Arthur e ha portato tutti a casa.»

Arthur li raggiunse. Teneva ancora la mazza tra le mani e il volto sporco di sangue. Socchiuse gli occhi stanco. «Torniamocene, subito, prima che si riprenda.»

«Come fa a riprendersi? Avrà le ossa frattura-»

Robert gli strinse la mano sulla spalla. «Stai facendo troppe domande, Al. Sei sotto shock.» Gli portò un fazzoletto alla bocca. Gli ultimi eventi iniziarono ad annebbiarsi nella sua testa.
C'era Arthur, un folle e lui con la mazza in mano.
C'era suo fratello Orion che gli sorrideva divertito. Gli stava porgendo la solita caramella all'arancia. A volte aveva delle enormi scorte.
Aveva smesso di piovere. «Mi dispiace...» sentì quelle parole appena sussurrate.
Chiuse gli occhi, cadendo in un sonno profondo.

Al suo risveglio era in camera. Aprì gli occhi istintivamente e si portò una mano al capo. Gli ultimi ricordi erano annebbiati. Ricordava soltanto di aver colpito quel pazzo con una mazza e poi nient'altro. Era tutto vuoto nella sua testa.

«Ehi! Sei sveglio... stai bene?» Zalia era seduta sul suo letto, assieme ad Izar, e lo stava osservando.

Si tirò a sedere, ma la camera prese a girare senza il suo consenso e serrò istintivamente gli occhi. Si portò una mano al capo. «Cos'è successo?»

«Arthur e Robert ci hanno salvato la vita... e anche tu.» Zalia gli passò un bicchiere d'acqua, dopo aver sciolto un'aspirina. Tracannò il contenuto, ne aveva bisogno.

«Quindi state tutti bene, giusto? Eris? Ci avevano chiamato da scuola per Eris-»

Izar lo spinse nuovamente a stendersi nel letto. Lo guardò male. Stava benissimo, anche se alcuni ricordi erano sbiaditi. «Lei e Leon sono ancora a scuola, avevano alcune cose da fare fino al pomeriggio per il progetto su Shakespeare.
A quanto pare Eris ha aggredito verbalmente un professore. Quando torneranno avremo risposte... nessuno di noi poteva andare a scuola in quel momento. Stanno bene, credo.»

Non gli bastava, ma la schiena e la testa gli dolevano molto. Sbuffò piano. Aveva ricordi sbiaditi e chissà quanti erano frutto di un brutto colpo.
«Non ricordo molto...» ammise a bassa voce, «ho le idee così confuse... tutto è strano nella mia mente, ci sono momenti allucinanti e-»

Robert era sull'uscio della porta e gli si avvicinò, gli accarezzò i capelli. Lo controllò con attenzione, come se volesse assicurarsi che non fosse ammaccato. «Questo perché, prima che intervenissi, Max ti aveva spinto contro un muro con molta forza. Hai battuto il capo. Quando sono arrivato, stavi già perdendo conoscenza...»

«O-okay...» Tirò su col naso confuso. «Quindi? Stiamo tutti bene?»

Robert annuì. «Già... ma credo che tu e tua sorella ci dobbiate parlare un po' dei vostri genitori.» Si voltò a guardare Zalia, che annuì con un flebile cenno del capo.






Angolino
Ancora una volta ci sono un po' di indizi.
Ora probabilmente non vi fiderete nemmeno più di Robert ed Arthur, ma va bene così, è programmato.
Avete idee?
Alla prossima 👀❤️‍🩹

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