V. Cena

𝐙𝐚𝐥𝐢𝐚


Apprezzava davvero quanto Izar le fosse vicino. Non era semplice, non lo era nemmeno un po'. Le mancavano i suoi genitori. Certamente sua zia era fantastica, ma come avrebbe mai potuto arrendersi all'idea che la sua famiglia, le persone che l'avevano amata più al mondo, era scomparsa? Non se ne sarebbe mai fatta una ragione.
E da quando Izar era piombato nella sua vita, con dolcezza e presenza, sentiva di avere qualcuno che la sostenesse, oltre a sua sorella, ovviamente.
Avevano convinto loro zia ad accompagnarle alla vecchia casa in cui vivevano prima della scomparsa dei genitori. Avevano iniziato a cercare ovunque e, con loro sgomento, avevano scoperto di possedere una scala nascosta, dietro la libreria. Erano arrivate in un seminterrato, che non era altro che un vecchio laboratorio.
Tutto, però, era stato portato via, e avevano iniziato a credere che qualcun altro fosse stato lì a cercare, prima di loro. Poi avevano trovato quella vecchio cellulare, con messaggi minatori provenienti da Orion Grey.
E da lì non era stato difficile cercare di capire che quel terrorista, creduto morti da anni, potesse c'entrare sul serio qualcosa.

Sapevano da tempo che Izar fosse un Grey, non l'aveva mai nascosto. Era il figlio mai scoperto di Pollux Grey, il maggiore morto anni prima. A volte, quando ci ripensava, Zalia credeva davvero che sui figli più grandi di quella famiglia potesse essersi abbattuta quasi una maledizione, anche se la sua mente scientifica continuava a ricordarle che quelle frottole erano tutte stronzate.

Izar teneva una mano sulla sua spalla, sentirlo vicino la rassicurava, era come casa. I suoi occhi chiari le sorridevano sempre, al contrario di quelli di Altair, taglienti, che sembravano voler sferzare l'aria con un solo sguardo. E il capo banda dei Grey superstiti non era entusiasta di sentire quelle accuse su suo fratello, che reputava morto. «Non può essere lui...» Aveva più un tono di auto convincimento e Zalia, per una volta, provò compassione per lui. Non poteva immaginare quanto fosse doloroso sospettare che il proprio fratello era vivo e aveva mentito per tutto quel tempo, senza mai cercarli.

Zalia non aveva mai trovato Altair simpatico, anche quando in ogni corridoio di Harvard non si faceva altro che parlare del ragazzo geniale, che non aveva mai subito una bocciatura. Lo aveva sempre trovato molto schivo tra i corridoi dell'Università. Sapeva che fosse un genio, attento ad ogni dettagli. Quasi nessuno aveva mai avuto il coraggio di chiedergli sbobbine o consigli. Se ne stava sempre in solitudine a studiare in qualche biblioteca o all'aperto. Quelle notizie dovevano scombussolarlo. Aveva trovato sempre il suo fascino un po' tenebroso se non pungente, altezzoso. Non era mai stato incline al dialogo, anche se ormai frequentava la loro casa da tempo, trascorrendo giornate intere in quel vecchio maniero insieme ad Izar e ai suoi fratelli. Altair se n'era sempre stato in disparte. Lo vide scuotere il capo. I ciuffi dei capelli si mossero, nervosi quanto lui. «Potrebbe essere anche un messaggio qualsiasi. Chiunque potrebbe spacciarsi per un uomo morto, sarebbe più semplice. Nessuno indagherebbe.»

Izar lo guardò comprensivo. Lui non aveva mai conosciuto Orion, non ne aveva mai avuto l'occasione dalle storie che le aveva raccontato. «Capisco lo shock, ma non credi che dovremmo capire la verità? E se fosse vivo davvero? Potrebbe avere le risposte che Zalia e Yen cercano.»

Zalia avrebbe affrontato diversamente quel discorso. Yennefer era andata dritta al punto, colpendo come una freccia velenosa. Se ne stava in piedi ad osservarli tutti, forse anche infastidita.
Altair sbuffò piano, affondando nella poltrona, che un tempo era proprio quella di suo fratello. Zalia era sempre stata una gran chiacchierona, ma quella situazione aveva spento un po' il suo entusiasmo. In quel momento si limitò ad essere un'ottima osservatrice. Aveva notato diversi oggetti col simbolo della famiglia, due serpenti che si intrecciavano, e una O al centro. Il suo sguardo si era soffermato subito su un'agenda e la curiosità aveva iniziato a divorarla, cosa poteva annotare un terrorista?

«Abbiamo bisogno di una tua mano, Al.» Izar rincarò la dose.

Il ragazzo si passò una mano in volto e annuì, sebbene sembrasse ancora frastornato. Si tirò in piedi e si guardò attorno, teso. «Non dobbiamo dirlo agli altri. Prenderemo le nostre risposte, sempre se lo troviamo, e poi lo lasceremo alla polizia, com'è giusto che sia.»

Zalia sgranò gli occhi. Per quanto fosse un ragionamento terribilmente giusto, le apparve freddo e rancoroso. La sua voce aveva tremato di rabbia repressa e recondita. Era pur sempre suo fratello, si sarebbe aspettata che cercasse di proteggerlo.
Izar annuì, come a rassicurarlo, ma a Zalia non sfuggì uno spasmo del corpo.
Eppure, l'idea di collaborare con tutti loro la tranquillizzava. Voleva avere risposte, doveva averne. Non poteva accettare che i suoi genitori fossero scomparsi e la polizia non sembrava intenzionata a risolvere un caso di due fantasmi, così come li avevano definiti. Non poteva darsi pace. «Grazie, davvero. Il vostro aiuto per noi è indispensabile... sul serio, Altair, ti ringrazio ancora.»

Lui storse il naso. Si alzò dalla poltrona, come se si fosse improvvisamente scottato. Si affacciò alla finestra, guardando il panorama fuori. Il verde prato inglese era rigoglioso, sembrava splendere in netto contrasto col cielo grigio di un'uggiosa e capricciosa giornata. «A questo punto voglio anche io delle risposte. Perché l'Orion che abbiamo conosciuto noi non era un mostro, ma a quanto pare sì.» sbuffò. «Perché non è mai tornato da noi? La famiglia viene prima di tutto.»

Izar si alzò dal bracciolo della poltrona, su cui Zalia stessa era seduta, e gli si avvicinò. Gli posò una mano sulla spalla, ma Altair si scostò subito. Non era un ragazzo semplice, probabilmente tormentato dalle responsabilità di portare avanti i propri fratelli. Non l'aveva mai visto nemmeno partecipare a qualche serata o festa organizzata dall'università. Doveva essere tremendo ritrovarsi a crescere così in fretta.

Yennefer, d'altro canto, non era per nulla paziente e da giorni non faceva altro che partire in quarta con interrogatori di vario genere. «Sbaglio o le persone con cui siete cresciuti sono amici di tuo fratello?»

Altair aggrottò la fronte. «Arthur e Robert?» Annuì poi. «Loro erano militari insieme. Orion è entrato nell'esercito a diciassette anni fino ai ventidue, insieme ad Arthur. Erano anche compagni di camera nell'accademia. Robert è stato con loro solo tre anni, congedandosi prima, dopo una missione, e non sa cos'abbiano vissuto Arthur e Orion negli anni successivi. Quando hanno mandato via Orion per stress post traumatico, per aver aggredito un compagno, ha lavorato facendo un po' di tutto, ma non ho mai saputo davvero cosa. Lavorava di notte.»

Yennefer aggrottò la fronte, poi un sorriso compiaciuto si fece largo sul suo volto. «Questa sera saremo a cena da voi, no? Potremmo provare a chiedere loro qualcosa... così per chiacchierare.»

«Potrebbero sospettare qualcosa...» Izar la ammonì.

Zalia si intromise, annuendo poi. «Appunto. Non vorrei che loro lo scoprissero e si mettessero alla ricerca al nostro posto.»

Yennefer si morse l'interno guancia e ridacchiò. «E secondo voi nessuno di loro lo sospetta? Io credo che loro sappiano tante cose che non vi hanno detto per paura o per proteggersi tra loro.»

Altair strinse i pugni. «Arthur e Robert sono due brave persone. Ci sono stati per noi quando nessuno c'era. Chiederemo loro qualcosa, sfogliando foto di famiglia, al massimo. Ma non andranno stuzzicati troppo, sono intelligenti e l'argomento Orion li innervosisce, soprattutto Arthur.»

Yennefer annuì tranquilla, uscirono così dalla camera. Iniziarono a sistemare il salotto. Altair era nervoso. Vide Izar avvicinarglisi, mentre apparecchiavano in cucina e sistemavano il tavolo anche per gli ospiti di quella sera.
Yennefer posò la borsa sul divano del salotto e si accomodò di fronte al camino, provando a riscaldarsi un po'. «Altair è strano... Non so se dovremmo fidarci di lui.»

Zalia sospirò piano e roteò gli occhi al cielo. «Non è che se suo fratello era un pazzo allora lo è anche lui.»

«Mi conosci, Lia. Non ho mai avuto pregiudizi sulle persone, mai.» La guardò severa. «Semplicemente il loro motto è "la famiglia prima di tutto, qualunque cosa accada". Mi sembra strano voglia denunciare suo fratello, tutto qua.»

«È arrabbiato.» Zalia aggrottò la fronte. «Vede in suo fratello un abbandono, soprattutto se è ancora vivo, non riesco a recriminarlo.» Yennefer annuì un po'. Zalia aveva una strana idea in mente. «Oh, che sbadata. Ho dimenticato il telefono nell'ufficio, vado e torno.» Iniziò a correre, prima che potessero interromperla.
Aprì la porta e, con un gesto veloce e mano lesta, infilò quell'agenda e taccuino, che aveva visto sepolti sotto alcuni libri, nella borsa. Si sistemò e guardò il cellulare.

«Trovato?» La voce rauca di Altair la fece sussultare e voltare. Annuì, non poteva averla vista, continuava a ripeterselo. La studiò attentamente. Aveva gli stessi occhi chiari di Izar, ma i suoi erano crudelmente di ghiaccio. «Bene, allora andiamo.» Sembrava che non volesse accettare la presenza di qualcuno in quell'ufficio senza la sua supervisione.
Uscirono insieme e lo vide chiudere la porta. Aveva uno strano profumo, pungente, ma piacevole. «Che hai da guardare?»

Aggrottò la fronte e si morse il labbro. «Voglio sperare che la tua adorabile simpatia sia dovuta alla recente scoperta.» Si incamminò in avanti lasciandolo silenzioso alle spalle. Si voltò a guardarlo: teneva le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni e la guardava serio. Lo vide scuotere il capo e seguirla.

Sentirono il campanello di casa suonare all'impazzata. In pochi attimi la confusione travolse casa. Anche Andromeda, Leon, Eris e il loro amico li raggiunsero. Andarono ad aprire il portone a Robert e Arthur, che dopo una breve passeggiata, avevano deciso di portare delle pizze per tutti.
Il loro cane, Anita, saltellava tra i piedi degli uomini, forse nella speranza di rubare alcune pizze.

«Avevate fame, eh?» Robert sorrideva tranquillo, mentre si lasciava aiutare da Leon a sistemare il tutto in cucina. Zalia si strinse appena nelle spalle. Sarebbe stato falso e stupido da parte sua dire che quelle situazioni non le mancavano, che non vedeva l'ora di poter riassaporare quella vita assieme ai suoi genitori. Erano la cosa più importante per lei. Anche sua zia, sebbene si occupasse di loro ogni giorno, si preoccupava di tenerle al sicuro ed era comunque in apprensione per la scomparsa dei loro genitori e di suo fratello, soprattutto.
Yennefer, al suo fianco, teneva lo sguardo fisso sui due uomini, come una leonessa che aspetta prima di sbranare un'antilope. Adorava sua sorella, ma la sua voglia di avere, a tutti i cosi, verità e risposte la stava divorando.
«Spero vi piacciano le classiche pizze Margherite, c'è una nuova pizzeria italiana qui vicino e non è male, tutto sommato.» Robert alzò di nuovo su di loro. Rimase per un piccolo istante a osservare Yennefer e poi cominciò a chiamare il resto dei ragazzi, disseminati per casa.

Arthur, invece, se ne stava sulle proprie. Zalia l'aveva conosciuto tempo prima e lo reputava davvero gentile, ma molto schivo. Sebbene, apparentemente, sembrasse come quello più buono e predisposto al dialogo, era davvero convinta che non si sarebbe lasciato coinvolgere più di tanto. «Bene, mangiamo?» lo vide sorridere a Leon, accarezzandogli i capelli.
Ormai erano tutti a tavola, ma c'era il posto vuoto di Andromeda, che si era rinchiusa in bagno per qualche istante, acconsentendo però che iniziassero tutti a cenare.
Zalia si era accomodata accanto a sua sorella e ad Izar. Di fronte a lei, Altair mangiava svogliatamente, fissando un punto indefinito nel vuoto. Le sembrava quasi di poter sentire i pensieri su cui si stava arrovellando nervosamente. Leon discuteva animatamente con Michael, il suo migliore amico, ridacchiando e tenendo un po' di chiacchiericcio in sottofondo. Eris, se ne stava anche lei in silenzio. Poteva sentire il suo sguardo bruciarle addosso.

«Qualcosa non va?» Le chiese. Aveva sempre trovato
quella ragazzina così allegra, spigliata e intelligente. In quel momento sembrava rabbuiata da qualcosa.

Eris scosse il capo, come riportata alla realtà. A Zalia, però, non sfuggì l'occhiata che il suo gemello le rivolse. «No, scusami. Sono solo un po' sovrappensiero per questo progetto di letteratura...»

«Sono certa che andrà benissimo.»

Michael sorrise sornione, affacciandosi verso di lei. Bevve un sorso di redbull e Zalia era fermamente convinta che non fosse una buona idea che assumesse ulteriori sostante nervine, era già abbastanza rumoroso di suo. «E dai, raggio di sole, andrà tutto benissimo! Siamo una grandissima squadra.»

Zalia sorrise divertita, incrociando lo sguardo curioso di Arthur. Si sentì per un momento osservata.

«Come mi hai chiamata scusa?! Ti spacco la faccia!»

«Dio mio, calmati. Perché non ti piace il mio soprannome?»

«Hai almeno idea di chi fosse Eris? Tutto fuorché un raggio di sole!»

Michael continuava a sorriderle sfacciato, finché Arthur non prese parola, decidendo di mettere fine a quel litigio insopportabile. «Smettetela e mangiate, dai. Eris, tesoro, sta scherzando e tu Michael», gli puntò un dito contro, «non darmi motivi per cui dovrei ucciderti.»
Il ragazzo sbiancò, dopodiché Arthur fece un sorrisetto tranquillo e divertito. «Sto scherzando, ovviamente. Ora mangiate.»

Andromeda, poi, li raggiunse in cucina, mentre il silenzio governava incontrastato. Osservò tutti loro con fastidio. Izar le aveva raccontato come tutti la definissero la copia al femminile di Orion. Prese la propria sedia, scostandola dal tavolo e lasciando che lo stridio, con cui si scontrava col pavimento, riempisse la stanza. Aveva raccolto i capelli biondi in una coda alta. Sembrava sempre sul punto di guerra, non l'aveva mai vista indossare niente di diverso da degli anfibi.
Si accomodò poi e prese una fetta di pizza. «Avete finito di guardarmi o volete farmi una fotografia per ammirarmi anche dopo?!»
Zalia la trovava simpatica, nonostante fosse rude. Izar ridacchiò al suo fianco e le passò un altro cartone di pizza. Ripresero a mangiare. «Di cosa stavate parlando?»

«Di quanto Michael sia insopportabile. Arthur ha promesso di ucciderlo.» Eris sembrava davvero soddisfatta e felice da quello scenario e Zalia si chiese se stessero davvero scherzando o ne fossero capaci. Michael, in tutta risposta, le fece una linguaccia.

«Sembra di avere un asilo nido...» Arthur bofonchiò quell'osservazione, senza nemmeno rendersene conto. Robert, accanto a lui, ridacchiò, mentre apriva una bottiglia di birra.

«Lo diceva sempre Orion.» Entrambi fecero scontrare le bottiglie, come fosse un gesto automatico quando si parlava dell'amico.
Zalia comprese che quello sarebbe stato il momento giusto per parlare. Incrociò lo sguardo di Altair, che annuì con un flebile gesto del capo.

Indossò quel solito sguardo curioso, come quando a lezione faceva domande ai professori. Era il momento migliore per inserirsi nel discorso, senza che il tutto sembrasse un interrogatorio. Yennefer accanto si irrigidì. Le posò una mano sulla gamba per tranquillizzarla, sarebbe andato tutto bene. «Allora... spesso Izar ci ha parlato di lui, anche se non lo conosceva. Si sentono tante cose, ma siete così uniti... com'era?»

Robert allontanò la bottiglia dalle labbra, mentre Arthur si bloccò sul posto.

Leon, che probabilmente voleva smorzare la tensione o semplicemente era l'unico che fosse ancora innamorato perso di suo fratello, iniziò a parlare per primo. «Era fantastico. Cioè aveva un modo tutto suo di dimostrare il bene o l'affetto, ma c'era sempre per tutti noi. Mi ha insegnato a fare le addizioni, mi portava al parco a giocare quando ero piccolo e ogni volta che tornava tardi, dimenticava le chiavi. Così si arrampicava sugli alberi e balzava nella mia camera attraverso la finestra. Mi portava sempre le liquirizie poi per non farmi spaventare.»

Zalia sorrise. Forse non c'era ricordo più puro e sincero di qualcuno che aveva amato davvero. Eris annuì anche lei.

«Odiava aver torto e perdere a carte... diventava un bambino quando succedeva.»

Vide Altair fare un leggero sorriso, quasi più un ghigno, come se volesse nascondere in ogni modo che un angolo della bocca gli si era sollevato.

«Questo lo faceva anche quando eravamo insieme in accademia.» Robert scrollò le spalle. «Non seguiva mai le regole, ma riusciva sempre ad uscirsene in qualche modo. Organizzava partite illegali di notte, oltre il coprifuoco e noi lo aiutavamo.»

Arthur ridacchiò. «Spesso litigava con tutti, non sapeva evitare una rissa quando gli si presentava davanti. E si sarebbe preso un'infinità di pallottole per noi e per i suoi fratelli.» Osservò poi Altair, come a volerlo stimolare. Il ragazzo si alzò dal tavolo e uscì dalla cucina. Leon provò a chiamarlo, ma non tornò.

Yennefer inclinò il capo. «Dev'essere stato stressante il periodo dell'esercito per una persona così allegra, no?»

Arthur si ammutolì, si morse il labbro. Robert, invece, scrollò semplicemente le spalle, in tranquillità. «Beh la guerra non è piacevole per nessuno, no? Non sono ricordi che amiamo conservare, sono più piacevoli quelli relativi all'accademia, quando eravamo dei ragazzini.»

Arthur corrugò la fronte, quando Altair fece ritorno con alcuni album dei ricordi. Sebbene per tutti fosse un motivo di gioia, per lui non lo sembrava affatto. «Questi li teneva conservati in ufficio. A volte ce li mostrava.» Era irritato. Iniziarono tutti ad affacciarsi sulle fotografie di quando erano giovani.

«Dio mio, avevo davvero quel taglio di capelli orrendo?» Robert si portò una mano al capo e tutti ridacchiarono.

In una foto erano raffigurati cinque persone, tre erano ovviamente Robert, Arthur e Orion. Sorridevano felici. Poi c'era un ragazzo dal volto quasi anonimo, risaltavano solo i capelli rossi e una ragazza, presumibilmente la sorella. Yennefer li indicò. «E loro? Chi sono?»

«Amici.» Arthur era nervoso. Girò pagina, portando in avanti le foto, fino a saltare quelle dell'accademia e dell'esercito, per arrivare a quelle di famiglia. Erano tutti troppo felici per rendersi conto di quell'atteggiamento.

Zalia si allontanò per andare in bagno, portando con sé la propria borsa. Si richiuse dentro e si guardò allo specchio. Nessuno degli amici di Orion aveva davvero voglia di esporsi. Erano soldati ben allenati, non sarebbero caduti alle provocazioni di alcuni ragazzini. Piuttosto una strana idea iniziava a balenarle in mente. Potevano incuriosirli con un messaggio anonimo e seguire i loro movimenti. Non sarebbe stato così difficile, doveva parlarne prima con sua sorella.
Quando fece per uscire, vide Altair e Arthur discutere in corridoio, essendosi allontanati forse dagli altri.
Non si erano accorti di lei, così decise di origliare, appoggiandosi alla porta del bagno, lasciandola semi aperta.

«Non so cos'abbiate in mente, ma smettetela.» Arthur aveva un tono nervoso, non il solito dolce a cui erano abituati.

Altair teneva le mani nelle tasche dei pantaloni. Ciondolò il capo. «Non capisco a cosa tu ti riferisca, Arthur. Izar e Leon parlano di continuo di Orion e Zalia frequenta questa casa come fosse di famiglia. È normale avere un po' di curiosità.»

«E tu sei stato così disponibile a prendere le foto di famiglia, vero?» Arthur ridacchiò. «A qualsiasi gioco stiate giocando o che vogliate fare i piccoli detective, tenete la memoria di vostro fratello fuori. Non merita ulteriore odio.» Sentì i suoi passi, rumorosi contro il parquet, allontanarsi.






Angolino
È un periodo di merda, davvero.
Non ho voglia manco di parlare o di fare qualcosa.
Ho tanti impegni con l'università e più ci penso, più sono in apprensione.
Quindi scusate un po' un'assenza tra commenti e risposte, sto cercando di riprendermi a piccoli passi.
Spero intanto che il capitolo vi sia piaciuto, come al solito a me non va bene mai nulla. Ho molte indecisioni su questa storia, alcuni di voi lo sanno. Mi terrorizzano i multi pov e anche Zalia, perché in realtà non è così com'è presentata caratterialmente, adesso è una piccola ombra di se stessa.

Comunque sia, alla prossima ❤️‍🩹

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