IX. Discussione
Robert
Un mostro.
Così si sentiva a prendere in giro quei ragazzi, che non erano altro che come dei fratelli più piccoli. In ogni loro dettaglio, in ogni sguardo o piccolo gesto, individuava e riconosceva qualche tratto del suo migliore amico.
Orion gli mancava come l'aria, anche le sue stupide idee e soluzioni, che non portavano mai a nulla e alle quali Arthur doveva sempre riparare, perché all'epoca era idiota almeno quanto il suo migliore amico.
Un po' ironico come, anche da presunto morto, dovesse cercare di tappezzare tutti i suoi danni.
Guardò Zalia con attenzione e si ricompose subito dopo, sistemando la propria giacca e lisciandosi un po' smaniosamente la camicia, con gesti tesi delle mani. «Tu e tua sorella ci dovete delle spiegazioni, perché se non fosse stato per me ed Arthur, oggi, potremmo star piangendo i vostri corpi e rievocare vecchi ricordi.»
La ragazza annuì, pur mordendosi il labbro un po' tesa. Comprendeva che non si fidasse di nessuno di loro. Fin dall'inizio non aveva mai pensato che lei e sua sorella fossero così tranquille, come volevano lasciar sembrare. «Non possiamo parlarne domani? Insomma, credo abbiano bisogno di riposar-» Izar voleva sempre essere così protettivo. Eppure, Robert ebbe la sensazione che fosse tutta una macchinazione per cercare delle scuse coerenti e tenerli all'oscuro di qualcosa.
«Non se ne parla, Izar.» Scosse il capo deciso. «Non ho intenzione di ritrovarmi qualcuno a casa e dovervi difendere in altri modi. Questa questione si chiarisce adesso.»
Zalia ed Izar si alzarono dal letto, dove ormai Altair era seduto, con ancora un'espressione confusa in volto. Quando incrociava lo sguardo del ragazzo, sentiva il senso di colpa attanagliargli le viscere. Anche Altair fece per alzarsi, ma Robert gli posò una mano sulla spalla e lo spinse a stendersi. «Non mi sembra il caso di un ulteriore svenimento, che dici?»
«Sto a meraviglia.» Sbuffò.
Detestava quell'atteggiamento, testardo e cocciuto, gli ricordava così tanto Orion, sebbene Altair si ostinasse a covare quel tipo di rancore, che logora inevitabilmente l'animo. Si fece forza e, appoggiandosi a lui, si tirò in piedi. Non ebbe altro da ridire, d'altronde era abbastanza adulto per affrontare le conseguenze delle sue stupide azioni. Magari prima o poi si sarebbe reso conto che quel modo di agire l'avrebbe portato direttamente nella fossa come successo con suo fratello.
Iniziarono a scendere le scale. Robert restava calmo e tranquillo, nascosto in quella solita espressione serena e indossando quanto più possibile uno sguardo elegante come i suoi vestiti. Altair si reggeva a lui, mentre scendeva le scale, finché non si sentì abbastanza audace da procedere da solo.
Era contento che i ragazzi non fossero lì: Eris e Leon erano ancora a scuola, il progetto su Shakespeare li impegnava in ogni modo e li teneva abbastanza distratti. Andromeda aveva deciso che avrebbe studiato fino a tardi all'università, perché, a detta sua, quella casa era tanto grande quanto rumorosa e sovraffollata. Non poteva darle poi torto.
Arthur era appollaiato su una poltrona in pelle del salotto. Aveva riempito il bicchiere di whisky e osservava disincantato il camino, con un'espressione distante e persa nei suoi pensieri. Era sempre stato il ragazzo più buono del loro gruppo all'Accademia, ma la guerra e la violenza l'avevano cambiato. Da quando quell'esperienza si era conclusa, aveva provato a seppellire e uccidere tutti i propri istinti e, quando tornavano a galla, si cullava nell'autocommiserazione e nell'odio verso se stesso, ripugnando tutte le proprie azioni. Alzò lo sguardo su di loro, non appena varcarono l'ingresso del salotto.
Sul divano, invece, erano sedute Yennefer ed Eleonore. Entrambe avevano optato per una tisana calda e Robert sorrise pensando a quanto sembrassero tutti uno strano quadro della disperazione.
«Bene, ora che siamo tutti qui, vorrei capire perché la Serpents Agency potrebbe avercela con voi.» Robert si avvicinò alla vetrina degli alcolici. Prese un bicchiere e si versò del whisky, imitando il suo migliore amico. Si sistemò alle sue spalle e allentò la cravatta. Iniziò poi a sorseggiare, osservando tutti loro e le reazioni.
Yennefer sorrise antipatica. Non aveva idea perché lo detestasse, nonostante l'avesse chiaramente salvata, dopo uno stupidissimo piano che l'avrebbe portata al suicidio. «Io ne ho una migliore: tu che cosa ci facevi lì e perché conoscevi Paul Kingsley?»
Arthur si irrigidì appena. Robert gli posò una mano sulla spalla. «Perché Arthur, Orion e io abbiamo lavorato per loro per un paio di anni dopo l'esercito.» Era tranquillo. Diceva il vero e la sua espressione era serena. Non c'era niente di più rassicurante dell'onestà. Una volta abbassata la guardia, mentire sarebbe stato ancor più semplice. «E, dopo la nostra collaborazione, conservano un buon ricordo... così mi hanno chiamato per chiedermi se mi andasse di addestrare alcune nuove reclute, dato che, come ben sai, sono un istruttore di judo, oltre a un ex marine, sia chiaro.» Scrollò le spalle e tornò a bere. Sul volto di Arthur si dipinse un sorriso rilassato.
Un'ottima verità con una piccola dose di menzogna ben assestata. Non era importante specificare il vero motivo per cui avesse accettato di incontrarli.
La ragazza si ammutolì. Certo, probabilmente, era quella più pericolosa del gruppo, essendo una giornalista. Era portata a cercare di scovare indizi ovunque. Sembrava abbastanza soddisfatta da quella risposta. Le spalle si abbassarono, così come la sua guardia. Non era più in modalità offensiva e forse era pronta a collaborare. In parte.
Robert non era tanto stupido da credere che gli avrebbero rivelato ogni cosa. «Adesso tocca a te, perché eri lì? Perché il tuo incontro ha scatenato le attenzioni di Paul, dell'agenzia e di Maximillian.»
Arthur posò il bicchiere di whisky. «È stato un miracolo riuscire a neutralizzarlo. È un bulldozer, all'altezza di tutti i sicari che purtroppo abbiamo incontrato e conosciuto.»
Altair aggrottò la fronte. «A proposito di quel pazzo... lo avere ucciso? Ricordo solo qualche urla. Gli avete spaccato le gambe e poi Arthur avrebbe detto che sarebbe subito guarito?» si massaggiò il capo. «Anche se ricordavo di averlo colpito io e-»
Robert sorrise. Poteva giocarsela con i suoi ricordi confusi. «Sei stato molto bravo perché altrimenti Arthur adesso sarebbe in ospedale. Quando sono arrivato gli ho sparato a una gambe e poi Arthur lo ha colpito per fargli perdere i sensi. Siamo scappati e sei svenuto mentre ti trascinavo via.» Si massaggiò il capo. Si appoggiò sul bracciolo della poltrona, dove Arthur era seduto. «Ora, vorrei ascoltare le sorelline Cortez, se non vi dispiace.»
Eleonore, che era stata in silenzio fino ad allora, sbuffò piano. Si rivolse alle due ragazze. «Cosa stavate tramando alle mie spalle? Non posso perdere anche voi! Dobbiamo andare alla poli-»
«No.» Arthur scosse il capo. «L'agenzia ha contatti all'interno della polizia e a volte addestra anche i loro uomini. Non possiamo, noi persone comuni, accusarli... soprattutto voi. Purtroppo sapete meglio di me quanto sia razzista quell'ambiente.»
La donna si rabbuiò. Yennefer le posò una mano sulla spalla, mentre Zalia incrociò lo sguardo di Izar, al suo fianco, che le fece cenno di parlare, come a infonderle coraggio. «Sappiamo solo che i nostri genitori sono scomparsi. Kate e Drew Cortez. Continuano a dirci di lasciar perdere, non sono mai stati trovati, ma come potremmo accettare una cosa simile?» Zalia sfilò una foto della sua famiglia dal proprio portafoglio e gliela porse. Anche Arthur si allungò ad osservarla.
Robert sentì l'amico tremare nervoso al suo fianco. Per quanto esternamente apparisse tranquillo, come se stesse ascoltando quella conversazione, c'erano alcuni dettagli, che lui conosceva molto bene, che lo tradivano. Si irrigidiva appena, i suoi occhi fissavano un punto fisso e teneva le mani chiuse nella morsa di un pugno.
«Così ho trascorso tutta la notte a indagare.» Yennefer si intromise nella conversazione. «E ho scoperto che i nostri genitori lavoravano per un college privato, che tra l'altro è di proprietà di Paul Kinglsey, stesso proprietario della Serpents. Aveva finanziato un progetto sulla ricerca e sviluppo e, non so come, anche i nostri genitori erano coinvolti. Non so su cosa erano costretti a lavorare, ma so che un paio di mesi prima della loro scomparsa, si erano licenziati.» Sospirò frustrata. «Potrò sembrare una complottista, ma non mi importa. Sono sicura che quell'uomo e la sua agenzia di esaltati siano coinvolti. Credo che i nostri genitori si siano lasciati coinvolgere da qualcosa più grande di loro e che ormai fosse troppo tardi per uscirne.»
Eleonore si portò una mano alla bocca, provando a trattenere un singhiozzo. Yennefer la abbracciò e sospirò piano. «Non mi interessa quanto sia pericoloso. Io voglio la verità sulla mia famiglia. Nessuno mi impedirà di scoprirla, chiaro?»
Robert annuì e alzò le mani. «Non sto dicendo che non abbiate il diritto di farlo... semplicemente spacciarsi per una giornalista famosa per ottenere informazioni è quello che definirei stupido, senza tener conto della conseguenze. È importante che si mantenga un basso profilo.»
Altair se ne stava nascosto nel proprio solito silenzio, a rimuginare su tutta quella storia. Sapeva bene che non stessero dicendo loro qualcosa, ma per ora gli bastava sapere che tutti avevano come nemico comune quell'agenzia. Nessuno avrebbe dovuto farsi male.
«Dovete aiutarci. Se ci avete salvato la vita, significherà pur qualcosa. Dovete aiutarci a trovare i nostri genitori.» Zalia alzò la voce, separando le sue mani da quella di Izar.
«Faremo il possibile, adesso dovreste riposare.» Arthur si alzò in piedi. «Al, mostra tu alle ragazze e ad Eleonore le camere libere degli ospiti.» si allontanò dal salotto, muovendosi verso l'ufficio di Orion, forse per rinchiudersi all'interno e provare a calmarsi.
Altair annuì, tirandosi in piedi. Assieme ad Izar disse alle donne di seguirlo. Robert si alzò dalla poltrona e si sistemò la giacca, poi i polsini. Con lo sguardo seguiva la figura di Arthur. «Con permesso...» Si congedò da Yen, che già da qualche istante lo fissava con insistenza e forse curiosità. Seguì Arthur fino a sparire nei dedalici corridoi di quella villa. Conosceva bene le sue mosse. Era così prevedibile e umano. Aprì la porta dell'ufficio di Orion e se la richiuse alle spalle. «Cosa stai facendo?»
«Cerco aria, Rob. Si può?» Arthur camminava nervoso avanti e indietro. Batté un piede su una mattonella, dopo aver leggermente spostato la scrivania. La aprì e tirò fuori un flacone dal liquido nerastro. «Ti serve?» Sfilò dalla tasca dei pantaloni un laccio emostatico e lo strinse attorno al braccio, dopo aver alzato le maniche della camicia.
«No.» Robert infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e si poggiò contro la porta. «L'ho fatto ieri, meglio sentirsi tranquilli. Non mi va di morire all'improvviso.»
Arthur annuì con un cenno del capo. «Mh. Previdente.» Riempì la siringa e iniettò il contenuto nella vena. Socchiuse gli occhi. Tremò appena e gettò il capo all'indietro.
«Adesso che ti sei dato una regolata, hai intenzione di spiegarmi perché hai reagito così prima? Quando hai visto per bene i loro volti.»
Arthur sbuffò piano. Si lasciò cadere sulla poltrona e sospirò piano. «Davvero non ti ricordi?»
Scosse il capo. «Di quel periodo ho pochi ricordi e quasi tutti annebbiati. Non so come tu e Orion siate riusciti a conservarli e, in tutta onestà, preferirei non averli. Riesco a odiarmi di meno.» Allargò le braccia. «Quindi illuminami, perché non trovo risposte sensate a questa storia.»
Arthur si appoggiò alla scrivania. I suoi occhi erano sempre più languidi, tristi e malinconici. Per lo meno, dopo l'iniezione, aveva riacquistato un po' di colorito in volto. «Erano tra quelli a capo del nostro progetto...»
Robert si bloccò appena, mentre si massaggiava la barba. Non ricordava nomi, eventi e sequenze. La sua mente era costantemente affollata e se non avesse mai iniziato a fare meditazione e a trovare pace nelle arti marziali probabilmente sarebbe impazzito. «Quel...?»
Arthur annuì.
Sospirò stanco. «Erano tra i vostri nomi sulla lista?» Il cuore gli batteva così forte nel petto che avrebbe potuto schizzare via.
«Sì, erano tra quelli mancanti.» Arthur si passò una mano in volto. «Da quel momento hanno cambiato nome e identità, ma a quanto pare la Serpents Agency li ha trovati e li ha costretti a collaborare con loro.» Era frustrato, la sua voce tremava nervosa. «Erano loro, cazzo. Li ho riconosciuti.»
«Pensi quindi che sul serio Orion-»
Arthur scrollò le spalle. «Non lo so. Forse qualcun altro si spaccia per lui per non attirare le attenzioni indesiderate. Qualcuno che era con noi-»
«Andrew è morto. Questo me lo ricordo.»
«Syria e James no, però.»
Robert fece schioccare la lingua contro il palato. «Quindi starebbero cercando di farsi giustizia da soli, come avete fatto tu e Orion per un po'? Sfruttano il nome di Orion perché è impossibile credere che un morto stia agendo ancora.»
Arthur annuì. «È l'unica spiegazione che posso darmi. Perché se Orion fosse anche sopravvissuto, senza questo-» indicò il flacone utilizzato poco prima «-sarebbe morto da un pezzo comunque.»
«Perché lasciarci il biglietto?»
«Perché vogliono coinvolgerci e sapere cosa c'entriamo in questa storia.»
Robert annuì. Aveva senso. Era l'unica spiegazione logica.
Sospirò stanco e storse il naso. Un po' non gli sarebbe affatto dispiaciuto scoprire che Orion fosse vivo. Lo conosceva bene ed era convinto che avesse la pelle abbastanza dura per poter riuscire a sopravvivere anche senza quell'antidoto. Iniziava a credere che un modo per curarsi ogni mese l'avrebbe trovato. Inclinò il capo. «E tu, che conosci Orion quasi meglio di me, credi davvero che non sia riuscito a procurarselo? Mai?»
Arthur si morse un labbro. «Magari per un po'... ma a lungo come avrebbe fatto senza farsi notare? Soprattutto perché è l'unico sussidio del governo, l'unico aiuto che ci ha lasciato. Nessuno lo produce... come avrebbe fatto se ormai anche per il governo è morto?»
Robert scrollò le spalle. «Non lo so», ammise a denti stretti, «però so anche che tutto ciò che credevo abbastanza stupido e improbabile, Orion l'ha fatto.»
«Non farlo...» Arthur scosse il capo. «Non alimentare questa speranza, mi ci aggrapperei e poi non so se, questa volta, riuscirei a superare la delusione.»
Robert sbuffò piano, quando sentirono bussare alla porta dell'ufficio. Arthur sistemò velocemente il tutto, alzando la mattonella. Robert attese qualche istante e poi aprì la porta. Sorrise in direzione di Izar, che aveva uno sguardo perso e preoccupato. Si incupì. «Che succede? Sembra tu abbia visto un fantasma-»
«L-Leon-» Izar si portò una mano ai capelli, esasperato. «È tornato col naso sanguinante e gli fa male un braccio. Ha un livido sull'occhio destro. Credo sia bene portarlo in ospedale.»
Arthur si alzò immediatamente dalla poltrona e uscì dall'ufficio. Robert si lasciò scappare un ringhio sommesso e lo seguì, fino al salotto.
Leon tremava, gli occhi arrossati di pianto. Teneva un fazzoletto premuto al naso e balbettò non appena mi vide. «M-mi dispiace non avervelo mai detto... i-io non credevo arrivassero a tanto.»
Altair era inginocchiato ai suoi piedi. I suoi occhi saettavano ovunque. «Non è colpa tua... perché? Perché lo fanno? Perché non me lo hai detto?»
«Non volevo farti preoccupare... non era nulla, insomma.» Leon sbuffò dolorante. Eris al suo fianco gli accarezzava i capelli. Sembrava a pezzi.
«Stavamo nel teatro insieme a Michael. È andato in bagno e, quando abbiamo visto che non tornava, siamo andati a cercarlo. Lo abbiamo trovato così...»
Leon tirò su col naso, socchiudendo gli occhi dolorante. «L-loro dicono che merito anche di peggio perché sono un Grey...»
Altair strinse i pugni, fino a far impallidire le nocche. Serrò la mandibola. Guardò Eris. Robert riconosceva quegli sguardi. Ricordava quello scintillio rabbioso, la vendetta era una tradizione di famiglia e, in completa onestà, non li avrebbe fermati. Condivideva il loro motto e amava il loro legame. Avrebbe finto di non capire, non gli interessava.
Robert si scambiò, poi, un'occhiata con Arthur e prese il cappotto, mentre l'altro era alla ricerca delle chiavi dell'auto. «Ti accompagniamo in ospedale.»
Leon annuì, tirandosi in piedi. A stento riusciva a muovere il braccio. Tutti erano attorno a lui, preoccupati. Non c'era un elemento di quella famiglia che non fosse affezionato e legato a lui. Era dolce, buono.
Altair si avvicinò ad Andromeda. «Andate voi. Noi andiamo a prendere delle pizze per quando tornerete...» La ragazza sorrise complice e scrollò le spalle.
«Ci vediamo dopo...» Robert prese Leon per mano e, insieme, uscirono da casa. Eris era alle loro spalle assieme ad Arthur. I due gemelli erano inseparabili, un'unica anima e un'unica mente.
«Non vuoi fermare Al e 'Dromeda?»
«Dal fare cosa?» Robert sorrise tranquillo, aprendo la portiera dell'auto. Un ghigno divertito si dipinse sullo sguardo della ragazza.
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