III. Stanco

Leon pov

Ritornare a scuola era sempre pesante.
Era difficile sentirsi così solo, ma anche circondato da tante persone. Non sapeva spiegare l'ansia che lo affliggeva ogni qual volta non era a casa, con le persone che amava e che non lo facevano sentire sbagliato.
Leon sapeva di avere tanto da dare al mondo, ma che quello non fosse pronto per lui. La scuola, l'esterno gli trasmettevano ansia. Sentiva le vie respiratorie bloccarsi, l'aria mancava e gli veniva da piangere.
Tutti lo guardavano, lo squadravano da capo a piedi e lo giudicavano. Il cuore batteva violentemente nel petto e avrebbe voluto nascondersi in qualche sgabuzzino, ma era come se i loro sguardi fossero penetranti: lo seguivano, lo braccavano.
Cercava sempre disperato lo sguardo di sua sorella per calmarsi.
Senza di lei sarebbe morto. Lo aiutava a resettare la mente, sempre affollata dalla paura e dell'ansia.

Odiava dover condividere sei ore con quegli idioti dei suoi compagni di classe e non voleva alzarsi dalle calde coperte. Si crogiolò ancora per un po' in quel tepore, fino a quando Altair non decise che era ora di smettere di poltrire.

«Leon, dai alzati. È ora.» Sentì un cuscino colpirlo con violenza al capo e aggrottò la fronte, imbronciandosi proprio come un bambino.

Avevano discusso qualche giorno prima, come ogni anno quando ricorreva l'anniversario della morte di Orion. Leon non era mai riuscito ad andare avanti del tutto come gli altri. Sapeva quanto suo fratello ci avesse provato a crescere tutti loro, provando a pagare di tutti i debiti di gioco del loro padre, ormai defunto dopo un grave incidente stradale. Orion li aveva ripagati tutti, lavorando nell'esercito per un po', in missioni dall'altra parte del mondo, e poi accettando qualsiasi tipo di mansione, dopo che l'avevano allontanato per stress post traumatico, quando aveva provato ad uccidere un suo compagno dopo un incubo. Orion, nonostante il carattere difficile, l'alcol, e i suoi vizi, c'era sempre stato per tutti loro. Ci aveva provato in ogni modo e detestava che lo dipingessero come un pazzo assassino terrorista.
Era molto di più.
Odiava i suoi fratelli per aver quasi dimenticato qualsiasi cosa buona avesse fatto.
Non riusciva a sopportarlo, nemmeno un po'.

Si mosse stanco nelle coperte, trovando la forza di mettersi almeno seduto. «Sì, adesso mi alzo.» bofonchiò appena, con la voce ancora impastata dal sonno.

«Dormito bene?»

Detestava Altair quando fingeva che nulla fosse successo, come se la loro vita potesse andare avanti senza mai chiarirsi. Era consapevole che non sarebbero mai riusciti a comprendersi sull'argomento "Orion", ma per lo meno avrebbe gradito che si sforzasse di mettersi nei suoi panni. Leon lo faceva e davvero comprendeva l'astio nei confronti del fratello maggiore scomparso. Comprendeva che Altair avesse visto la sua adolescenza essergli strappata via dalle mani con violenza e in fondo non riusciva a dargli torto. Avrebbe solo gradito che capisse anche il suo punto di vista. Si tirò in piedi, dopo averlo ignorato, evitava accuratamente tutti i suoi sguardi speranzosi. «E a te che importa? Tanto nemmeno capiresti come mi sento.»

Si mosse velocemente verso il bagno.

«Leon-»

Lasciò le voce di Altair alle sue spalle e chiuse la porta, accasciandosi contro la parete e lasciandosi cadere a terra. Portò le ginocchia al petto e tirò su col naso. A volte credeva che tutto sarebbe stato più semplice se Pollux o Orion fossero lì. A scuola non avevano fatto altro che dire che fossero dei mostri e scommettevano su chi di loro sarebbe stato il prossimo a morire. Così avevano deciso di trasferirsi da New York a Boston, nella speranza che fosse possibile ricominciare. Un nuovo posto, una nuova vita e un nuovo mondo. Lì nessuno li conosceva, eppure gli stsssi incubi erano tornati.
Non c'era voluto molto che scoprissero che i Grey erano tornati nella città d'origine.
Gli stessi Grey dipinti come brutali assassini e criminali, grazie alle eroiche gesta dei loro nonni.

Leon aveva imparato ad estraniarsi dal mondo, a non fidarsi di nessuno, mantenendo un profilo basso, ma questo non aveva scoraggiato i bulli a prendersi gioco di lui. Viveva nel terrore che scoprissero la verità, non aveva idea di come avrebbero potuto peggiorare le cose e non ci teneva a scoprirlo.

Dolore.
Era una parola strana.
Sembrava così lontana, disincantata, ma era così reale, soffocante.
Ognuno di loro viveva quella sofferenza a modo proprio. Erano accomunati dallo stesso tormento, eppure non riuscivano a comprendersi.
Quello, per Leon, era un altro tipo di dolore.

Non erano lontani dalla zona universitaria, dove la maggior parte dei suoi fratelli maggiori studiava. Non vedeva l'ora che il tempo del liceo si concludesse, per poter raggiungere spazi nuovi, così pieni di studenti, che avrebbe potuto sembrare uno tra un miliardo, un semplice ago nella paglia, uno tra tanti. Poteva fingersi invisibile e sarebbe stato sicuramente meglio. Era sempre stato bravo ad essere indifferente agli altri.
Si asciugò una lacrima con la manica del pigiama e iniziò a prepararsi velocemente.

Una volta pronto, scese rapidamente le scale. Si affacciò in cucina, dove i fratelli facevano colazione e acciuffò una mela. «Eris siamo in ritardo, dai andiamo.»

Sua sorella alzò appena lo sguardo e gli sorrise. Eris era il suo mondo, la sua metà mancante, lo completava. Non avrebbe mai saputo spiegare a parole quanto amava sua sorella gemella. Aveva bisogno di lei in ogni momento ed era il suo faro nelle notti in cui gli incubi lo tormentavano. «Va bene, noi andiamo.» Eris salutò gli altri e lo seguì fin fuori casa, diretti verso l'auto.

Robert era all'interno e li stava aspettando. Li accompagnava quasi ogni mattina, soprattutto quando i suoi fratelli si organizzavano autonomamente e non avevano tempo per accompagnarli al liceo. Eris saltò subito in avanti, sedendosi accanto a Robert.
Era sempre così dolce e allegra, gentile con tutti. Altair diceva che era come la mamma, sempre pronta con qualche parola di conforto. «Buongiorno Robert! Come va? Hai dormito male? Hai due occhiaie tremende oggi...» ridacchiò, avvicinando il cavo al proprio telefono, per poter mettere un po' di musica di sottofondo.

Robert si passò una mano in volto, osservandosi allo specchietto retrovisore, e storse il naso. «Grazie per avermelo fatto notare.»

Leon ridacchiò. Adorava Robert, a volte lo preferiva ad Arthur se avesse dovuto ammetterlo. Arthur tendeva a sgridarli spesso, aveva assunto un po' il ruolo di una madre e un padre contemporaneamente. Quando dovevano nascondere qualche guaio o scherzo, si rivolgevano a Robert, che tendeva a coprirli. «Secondo me non sei tanto male, sai? La nostra operazione per trovarti una fidanzata continua eh. Ti va di farti la mia prof di matematica? Magari si calma e mi alza un po' il voto.»

Robert gli scoccò una severa occhiataccia attraverso lo specchietto retrovisore. La musica di Katy Perry sfondava le casse dell'auto e lo vide mentre ridacchiava. «Dici tu, da ex marine a gigolò, mica male.»

Eris rise e scosse il capo. «Secondo me col fisico che hai potresti mettere su un bel gruzzoletto. Ci dovresti pensare.»

«Noi ti faremmo un'ottima pubblicità.»

«E poi, divideremmo ovviamente.»

«Sembrate i miei due papponi, pensate a studiare.»

Una volta davanti al vialone della scuola, Leon sentì un groppo formarsi in gola. Le viscere gli si attorcigliarono e avrebbe voluto inventarsi qualsiasi malanno pur di non mettere piede in quei corridoi, detestava quella parte della giornata e non vedeva l'ora che si concludesse.

«Ci vediamo più tardi, pesti.» Robert sorrise. Diede un bacio sulla guancia ad Eris e poi gli scompigliò i capelli. «Questa sera abbiamo ospiti a casa, quindi fate i bravi, senza troppi danni possibilmente.»

Leon scese dall'auto e si sistemò lo zaino in spalla. Faceva freddo e la sera precedente aveva piovuto, tanto per cambiare. Non odiava la pioggia, ma ormai la fissava con disincantata malinconia. Gli ricordava le notti trascorse sul terrazzo insieme ad Orion. Spesso lo vedeva da solo, sotto la pioggia a bere un bicchiere di whisky e guardare nel vuoto. Si sedeva semplicemente accanto a lui, lasciando che la pioggia bagnasse i suoi vestiti e capelli. Restavano lì in silenzio per minuti interi e avrebbe tanto voluto fossero infiniti, giusto per sentire ancora addosso quel profumo particolare di pompelmo, menta e cannella, di suo fratello. Orion lo tirava a sé e lo teneva abbracciato, senza dire una parola.
Non era mai stato incline alle smancerie, ma teneva a lui in un modo viscerale, così come a tutti loro. Leon era convinto che avesse fatto determinate scelte solo per proteggere tutti loro. Ne era certo.

Eris si mosse verso il suo gruppo di amiche: Daisy e Carly. Le aveva sempre trovate un po' strane come loro. Soprattutto Daisy, che aveva i capelli tinti completamente di rosa, tagliati in maniera confusionaria e indossava quasi sempre una felpa fin troppo colorata e appariscente. Nonostante ciò era sempre gentile anche con lui. Carly era più posata, spesso era silenziosa e timorosa anche della sua stessa ombra. Le salutò entrambe. «Io mi avvio in classe.»

Si incamminò ancora nei corridoi. Decine di studenti si accalcavano qua e là, discutendo tra loro. Leon avrebbe voluto solo nascondersi nella biblioteca per ore e fingere che quelle ore trascorressero inesorabili.
Si sentiva soffocare.
Bisbigliavano tra loro. Sentiva il cuore battergli com violenza nel petto. Forse avrebbe dovuto provare a parlare con qualche suo coetaneo. O forse no, lo avrebbero definito troppo strano.
Decisamente era meglio che stesse da solo, aveva un solo amico e non era sicuro di come fosse riuscito a conoscerlo. A volte pensava potesse essere una sua allucinazione, la proiezione di un desiderio.
Sbuffò piano e spinse in avanti la porta della propria aula. Rimase pietrificato quando incontrò lo sguardo del nuovo e giovane professore. Era seduto contro la cattedra, tenendo un romanzo tra le mani. I suoi occhi grigi, come il ferro, si posarono immediatamente su di lui. Inclinò il capo e sorrise appena. «Buongiorno, sei in anticipo. Entra pure... tu sei?» Fece scorrere lo sguardo sul registro.

Leon deglutì, lasciando cadere lo zaino a terra, nel proprio angolino. Era sempre seduto agli ultimi banchi, in un angolo vicino alla finestra, che utilizzava come via di fuga durante le lezioni pesanti. Gli bastava semplicemente fissare un po' i prati inglesi che circondavano la scuola per fingere di stare meglio. «Oh io ehm-» tossicchiò nervoso. «Leon... G-Grey.»

«Sono il vostro nuovo professore di letteratura inglese. Jason Smith, ragazzo, piacere mio.» Si passò una mano tra i capelli scuri.

Leon annuì, fissando poi i suoi compagni entrare. Ovviamente lo sguardo di sua sorella si posò immediatamente sull'uomo, iniziando a ridacchiare con le amiche su di lui.
Era prevedibile che sarebbe diventato il sogno proibito di quasi tutta la scuola, d'altronde non poteva dar loro torto.

«Buongiorno! Scusi il ritardo prof.» Michael fece capolino, irrompendo nell'aula rumorosamente. I capelli biondi erano come sempre disordinati e non faceva altro che cercare di sistemarli smaniosamente, con scarsi risultati. L'uomo gli fece cenno di andare a prendere posto e Michael si accomodò al suo fianco come sempre.
Era strano, ma da qualche tempo era diventato suo amico, se così potesse definire il loro rapporto.
Michael parlava abbastanza per entrambi e forse non si era ancora accorto delle sue stranezze e dei lividi che nascondeva così bene con felpe anche fin troppo grandi.
Leon non aveva idea di chi l'avesse inviato sul suo tragitto, ma era felice di poter avere qualcuno che gli coprisse le spalle. Era sempre allegro e solare, una delle persone più buone che avesse mai conosciuto, riusciva a farlo ridere anche quando le costole gli facevano male dopo qualche colpo subito. Molte studentesse non facevano altro che fissarlo con disincantata ammirazione. Aveva un modo tutto suo di attrarre le persone, forse erano i suoi capelli biondi o gli occhi verde smeraldo.
Solo sua sorella lo detestava, probabilmente l'unico essere femminile al mondo.

Leon si era dato una semplice spiegazione: erano rivali in aula. Eris era sempre stata l'unica a primeggiare, voti alti in ogni materia, attenzione maniacale ad ogni dettaglio. Michael, invece, appariva un po' un piantagrane sornione con zero voglia di interessarsi allo studio, ma i suoi voti erano eccellenti. Sembravano facessero sempre a gara su chi fosse il migliore e Michael riusciva a scardinare la serietà di sua sorella, provocandola in ogni momento della giornata.
Adesso che ci pensava, Michael era l'unico motivo per cui avesse discusso mai con Eris. Era il suo migliore amico, ma sua sorella lo detestava "con ogni fibra del suo corpo", così come le piaceva raccontarlo.

Michael puzzava di sigarette e Leon storse il naso. A volte gli ricordava anche l'odore di suo fratello Orion e la malinconia prendeva il sopravvento. «Allora? Il bellimbusto è il nuovo professore di Letteratura?»

Leon annuì, mordendosi il labbro. «Già.» fece uno sbuffo sommesso, facendo smuovere la zazzera di capelli sulla fronte. «Hai visto come lo guardano?»

Michael scrollò le spalle, indifferente. Sfogliava le pagine del libro annoiato e gli sorrise. «Tua sorella già gli ha detto dove siamo arrivati col programma col prof Turner?»

«Certamente, ti pare che non faccia la segretaria?»

Michael si mosse nervoso sul posto. All'inizio non riusciva ad abituarsi ai suoi movimenti continui, sembrava un giocattolo a molla, non stava mai fermo. Poi aveva iniziato a farsene una ragione, al punto tale che non riusciva a farci più caso. Se non fosse che era seduto in maniera disumana e probabilmente avrebbe avuto il mal di schiena per una vita intera. Alzò la mano. «Certo, dimmi pure.» Il professore gli fece cenno di parlare e Michael si schiarì la voce.

«Stava parlando di un progetto di gruppo. Di cosa si tratta?»

L'uomo si massaggiò la barba, uno strano scintillio attraversò il suo sguardo, ma Leon credette che stesse solo sadicamente assaporando il momento di sommergerli di compiti. «Vi dividerò in tre gruppi, assegnandovi una tragedia di Shakespeare a testa. Vorrei che la analizzaste e poi metteste in atto una piccola scena a vostro piacere, recitandola. Credo che sia uno dei modi migliori per vivere a pieno quest'arte.»

Michael sembrò felice all'inizio. Dopo la lezione, Leon si rese conto di come il destino avesse voglia di farlo letteralmente impazzire. Avrebbe dovuto studiare esattamente tra due fuochi: insieme a sua sorella e al suo migliore amico.
Gli sembrava un vero e proprio incubo.

Una volta finite le lezioni, uscì dall'aula, correndo verso i bagni. Aveva studiato gli orari in cui poter evitare i suoi aguzzini preferiti, uno di loro era il capitano della squadra di football della scuola, tanto per cambiare, l'altro era l'organizzatore più importante degli eventi scolastici, una vera e propria star all'interno del college.
Erano anche fratelli.
A volte avrebbe desiderato che Altair e Andromeda fossero ancora al liceo. Sicuramente li avrebbero arginati e anche piuttosto bene.
Anche Michael giocava a football, ma non era a conoscenza delle agonie, che era costretto a subire ogni giorno da alcuni suoi compagni di allenamento.
Sbuffò, lasciando cadere lo zaino a terra e si richiuse in uno dei bagni.
Per fortuna era solo.

«Ma ci riesci a credere?» Michael lo aveva seguito anche in bagno e si lamentava da fuori alla porta. «Indovina cos'ha detto tua sorella?»

«Pisciare in pace, no eh?» Leon uscì dal bagno e si alzò le maniche della felpa, in un gesto stupido e involontario. Si accorse subito dell'errore, perché lo sguardo di Michael si posò immediatamente su alcuni lividi.

«Che cazzo hai fatto lì?»

«N-nulla-» Si ricoprì nervoso. «A volte facciamo le lotte in casa, sai com'è-» Ridacchiò nervosamente. Michael ci aveva impiegato un mese intero per diventare suo amico. Lo vide aggrottare la fronte, scontento di quella spiegazione. Avrebbe voluto parlare, vedeva come le labbra gli tremavano nervose, ma avrebbe rischiato di farlo chiudere ancora di più in se stesso, lo sapeva bene. Leon era certo che, testardo com'era, non si sarebbe arreso così facilmente. «Dicevi? Cosa ha proposto mia sorella?»

«Di iniziare a lavorare da oggi! Da oggi, riesci a crederci? E vorrebbe chiedere anche ai vostri fratelli, che studiano all'università, di ascoltarci durante le performance delle scene, di cui faremo le prove nel teatro della scuola.»

Leon aggrottò a fronte. «Cosa?!»

«Esatto! Dice che è possibile chiedere alla preside di utilizzare il teatro per le prove e sappiamo come sia convincente e persuasiva tua sorella...»

Leon si portò le mani in volto. Dimenticava quanto Eris fosse perfezionista. «Va bene, allora vieni da me questo pomeriggio. Studieremo insieme e cenerai a casa. Tanto abbiamo già altre due ospiti...»

Michael annuì, lasciandolo poi solo nel bagno, continuando a farneticare e a imbestialirsi con Eris.



«COSA? E quando avevate intenzione di dirmi che avremo ben tre ospiti questa sera? Vi sembro uno chef altolocato? Non so nemmeno se abbiamo abbastanza piatti!» Arthur sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. Leon avrebbe tanto voluto scoppiare a ridere, ma avrebbe rischiato di farlo arrabbiare solo di più. E Arthur non era piacevole quando infuriato.
Dimenticava sempre quanto per loro fosse semplicemente l'amorevole Arthur, migliore amico di suo fratello da così tanti anni da averne perso il conto, che si prendeva cura di loro come una famiglia.
Il suo curriculum vantava invece diversi anni di guerra, cecchino infallibile e ottimo pugile.
I suoi sguardi anche erano terrorizzanti e, se ne avessero avuto i poteri, avrebbero potuto incenerire sul posto.

«Ma che vuoi che sia! Abbiamo un maniero enorme, vuoi vedere che il problema sono tre bicchieri e piatti in più?» Eris teneva le braccia incrociate al petto.

«Devo chiamare qualche signora delle pulizie, non lo so. O un'agenzia. Oppure pulite la vostra sporcizia!»

«Dio mio, Arthur, placati.» Altair se ne stava seduto sulla poltrona. Fissava intensamente la legna ardere nel camino e il rilassante crepitio risuonava nel salone. «Più semplicemente ordineremo delle pizze.» Si passò una mano tra i capelli corvini, tirando i ciuffi all'indietro. I suoi occhi glaciali si posarono su Eris e su tutti loro. Leon aveva sempre pensato che suo fratello incutesse uno strano timore reverenziale per come appariva. «Io, Izar e le due sorelle Cortez andremo nel vecchio ufficio di Orion a studiare, così non daremo fastidio, mentre Eris, Leon e Michael resteranno qui in salotto.» Scrollò poi le spalle. «Perché tu e Robert non vi prendete un po' di tempo libero oggi pomeriggio e uscite un po'? Poi questa sera ceneremo tutti insieme. Da quanto non vedete il mondo? Dieci anni?»

Eris e Leon si lanciarono un'occhiata ridacchiando divertiti. Andromeda, invece, se ne stava appollaiata su una poltrona poco distante, con le gambe tirate al petto e i capelli biondi alzati in uno chignon storto. Li osservava in silenzio, come se stesse decidendo se ucciderli tutti o meno, perché stavano disturbando la sua sessione di allontanamento dalla realtà.

Arthur si passò una mano in volto, sbuffando poi stanco. «Sì, va bene. Suppongo che un po' di riposo non possa farci poi tanto male...»

Leon sorrise riconoscente a suo fratello. Altair gli ammiccò e si tirò in piedi. Il maglione a collo alto gli fasciava perfettamente il busto. Era sempre stato  un fisico piuttosto snello il suo, ma era difficile da mettere al tappeto. «Benissimo, non vi ubriacate troppo eh, non avete più l'età.»

Arthur aggrottò la fronte. «Ho solo trentaquattro anni, non sono mica il vostro nonno pensionato!» Tuonò offeso. Si sistemò nevroticamente i capelli e si guardò attorno per la stanza. Fissò Altair allontanarsi verso il piano superiore, diretto nella propria stanza, e poi posò una mano sulla spalla di Leon. «Com'è andata oggi a lezione?»

Sussultò. Negli ultimi tempi tutti gli elementi della famiglia tenevano i riflettori puntati su di lui. Probabilmente avevano captato qualcosa, perché nom facevano altro che chiedergli ogni giorno come stesse e come si sentisse. Erano anche particolarmente interessati alle sue giornate scolastiche. Era terrorizzato dall'idea che scoprissero tutto l'inferno che sopportava. Non voleva che si preoccupassero per lui, né che lo considerassero incapace di difendersi da solo. «Oh tutto alla grande... sono solo un poco stanco, credo che andrò a riposarmi prima che arrivi Mike.»




Angolino
Un po' di scenette di vita quotidiana ❤️‍🩹
Ho pensato di aggiornare martedì e sabato, escludendo imprevisti. Nel caso di problemi penso che rimarremo col sabato come giorno di pubblicazione.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, io ho diversi dubbi a riguardo.
Alla prossima ❤️‍🩹

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