sixty
[Infinity — One Direction]
Ci sono alcuni momenti nella vita in cui ti sembra che tutto sia giusto. Che tutto stia finalmente andando come dovrebbe, che sei felice come a volte hai solo immaginato di poter essere, che tutto intorno a te gira anche insieme a te. Gira con te.
Sono quei momenti che vorresti fotografare per imprimerteli dentro, inciderli sulla pelle e poterli rivivere. Sono quei momenti che a volte quasi ti spaventano per quanto sei felice, che ti devastano talmente che ti coinvolgono.
Questo è uno di quei momenti.
Sono felice come ricordo di esserlo stata poche volte, come ricordo di esserlo stata soltanto quando permettevo ancora a me stessa di sentire qualcosa.
E questi momenti ti spaventano anche perché non sono infiniti, non durano per sempre. Siamo noi che ne decidiamo la durata, che decidiamo quando e come riviverli e con chi farlo.
Ci spaventano perché non sappiamo se ricapiteranno, se riusciremo mai ad essere felici almeno un po' di quanto lo siamo stati in quel momento.
È per questo che esiste la speranza. E che ci sia data da una persona o da qualcos'altro, ho finalmente compreso realmente che è vero: finché c'è vita c'è speranza, e va bene così.
Io forse l'ho imparato dopo molto tempo, dopo essermi persa troppe volte, ma l'ho fatto e anche questo va bene. Non è mai troppo tardi, adesso lo so.
Lo so grazie al ragazzo che mi ha ridato indietro la mia vita, che ha rimesso insieme i pezzi del mio cuore e della mia anima e che mi ha fatto rendere conto che ne vale sempre la pena.
È lo stesso ragazzo che sto guadando adesso e che sta camminando esattamente davanti a me, con le mani nascoste nelle tasche e gli occhi rivolti verso il bambino dai capelli biondi che lo considera la sua ancora di salvezza.
«A cosa pensi?» La voce di mio padre mi scuote, facendomi poi stringere nella coperta che ho avvolta intorno al corpo.
Scrollo le spalle continuando a tenere lo sguardo davanti a me, su Harry e Liam e su Todd e Andrew.
Ha ottenuto il permesso mensile per uscire e abbiamo deciso di portarlo con noi per fargli passare del tempo con Todd e per fargli vedere il mare. Tutti meritano di vederlo.
«Non riuscirà mai a vederlo crescere», dico poi, tenendo i miei occhi su mio fratello. I capelli neri si spostano per il vento leggero e il sorriso sul suo volto è grande e spontaneo; raggiunge i suoi occhi e lo tiene in vita.
«Non lo vedrà mai innamorarsi, soffrire, essere felice. Non gli sarà accanto quando lui avrà bisogno di lei, e tutti sappiamo che nessuno potrà mai prendere il suo posto. Che nessuno potrà mai colmare quel vuoto dato soltanto dalle carezze che gli riservava prima di dormire e dagli abbracci che amava e che poteva dargli solo lei.»
Mio padre mi ascolta, sente ogni parola come ha sempre fatto. Mi ha sempre ascoltata, solo che io non me ne sono mai resa davvero conto. Io non l'ho mai voluto sentire.
«Era troppo presto», aggiungo, continuando a guardare davanti a me prima di abbassare lo sguardo.
Mio padre sospira. «Non è mai il momento, Ariel.»
Mi volto verso di lui, che adesso guarda Todd e Andrew. Così simili eppure così diversi. Ma sono felici, nonostante tutto. Non hanno bisogno di fingere di esserlo come quando perdi l'innocenza di riuscire a non nascondere le emozioni.
«Ma succede», riprende mio padre. «Succede ogni giorno, e tu puoi soltanto imparare a conviverci. Il dolore bisogna viverlo per riuscire a combatterlo davvero, per riuscire a tornare a respirare. Devi farlo entrare, anche se fa male. Todd l'ha fatto, e anche se io non potrò mai prendere il posto di vostra madre cercherò di riempire anche soltanto un po' dei vuoti che lei ha lasciato per coprire quel dolore.»
Adesso si volta anche lui, incrociando il mio sguardo. «Lo combatteremo insieme.»
Io mi avvicino, così mi avvolge le spalle con un braccio e mi attira a sé come se fossi ancora la sua bambina dai capelli scuri e gli occhi grandi.
Mi chiedo sempre dove riesca a trovare la forza per mostrarsi in questo modo, per tenere insieme i suoi pezzi senza neanche sembrare stanco di doverlo fare ogni giorno, ogni minuto.
I miei adesso sembrano essere incollati l'uno all'altro, che si tengono insieme grazie al dolore che ho lasciato entrare e grazie a Harry, ma ho paura che possano staccarsi da un momento all'altro.
«I genitori di Andrew dove sono?», domando a mio padre continuando a stringermi nella coperta e piegando le gambe verso l'esterno.
«Nessuno l'ha mai saputo. È stato trovato quando aveva soltanto due anni, e da quel momento non sono mai riusciti a trovare nessuno che potesse corrispondere a qualcuno della sua famiglia. È stato affidato agli assistenti sociali e poco dopo è stato scoperto che è malato, quindi vive in ospedale da allora.»
Mentre mio padre parla lo guardo, con i suoi capelli biondi e gli occhi quasi trasparenti, e vedo come anche lui nonostante tutto riesca ad essere felice.
Non ha una madre e non ha un padre, e soffre di una malattia terminale destinata soltanto a miracoli. Eppure è felice.
Però ha Harry.
E io mi rendo conto ogni minuto di più di quanto siano realmente legati. Mi rendo conto del perché Harry tenga così tanto a Andrew e del perché Andrew veda in lui la sua ancora di salvezza. E mi sono anche resa conto che certe cose non le puoi prevedere, non le puoi programmare. Questa è una di quelle, come ciò che unisce me e Harry imprescindibilmente.
Harry è il suo tutto. È anche il mio, ma con me ci sono mio padre, c'è mio fratello e c'è Liam, e so che quando mi sarà portato via mi terranno aggrappata a questa vita che merita di essere vissuta. Me l'ha insegnato lui.
Non riesco neanche a immaginare il giorno in cui succederà, ma soltanto provarci fa male.
Andrew dice qualcosa a Todd e poi viene verso di noi, un po' col fiato corto ma sempre felice. Si siede accanto a mio padre che gli scuote i capelli. Liam e Harry continuano a parlare mentre mio fratello è rimasto di fronte al mare.
Mi scrollo la coperta di dosso e la lascio a Andrew; poi, a piedi nudi attraverso la sabbia fredda che mi fa sentire quasi a casa, fino ad arrivare a Todd, che mi dà ancora le spalle.
Mi fermo dietro di lui, il vento mi scuote i capelli facendomi oscillare alcune ciocche davanti agli occhi. Le spingo dietro l'orecchio e ascolto il rumore del mare davanti a noi.
«È bello, vero?» domando, e Todd sussulta leggermente, però non si volta.
«Sì», dice. «Sembra come a casa.»
Poi si volta e mi accenna un sorriso, così io mi avvicino a lui e gli avvolgo le braccia intorno al corpo, appoggiando la mia testa di fianco alla sua.
«Scusami per le cose che ho detto e per quello che ho fatto, ma non sono forte come te», sussurro, e lui mette le sue piccole mani sulle mie.
«Anche a me manca la mamma, però io voglio ricordarla sempre. Le parlo ogni giorno, e so che lei mi ascolta.» Le parole di Todd mi stringono il cuore. «Dovresti provare a farlo anche tu, ne sarebbe felice.»
Mi guarda mentre pronuncia le ultime, e io annuisco prima di lasciargli un bacio tra i capelli e continuare a stringerlo a me come non ho fatto in tutti questi mesi.
🌹 H A R R Y 🌹
Ariel stringe Todd ancora per un po', prima che lui raggiunga suo padre e lei resti lì, sola e bellissima contro il mare. Contro tutti, contro se stessa e contro di me, ma non come all'inizio.
Adesso è diversa; lo siamo entrambi.
Ha le braccia incrociate quasi come se si abbracciasse, mentre il vento le scuote i capelli sciolti dietro le spalle.
Resto a guardarla e poi mi avvicino, perché anche se resterei fermo a fissarla per tutto il tempo che mi resta, ho bisogno di tenerla stretta a me, di stringerla e di fingere ancora che non abbiamo bisogno di quelle parole, che non ne abbiamo paura.
Le circondo la vita con le braccia e lei sussulta, ma poi si rilassa di nuovo senza neanche guardarmi. Mi riconosce anche soltanto ascoltando il mio respiro, anche se non mi vedesse e sentisse soltanto il mio tocco leggero, se io fossi con lei nella sua stessa stanza, ma circondata da chiunque altro. Lei mi riconoscerebbe, e io riconoscerei lei. La troverei sempre. E la terrei per sempre con me.
Mette le mani sulle mie e sospira, poi chiude gli occhi.
«Todd mi ha perdonata», dice continuando a guardare il mare in tempesta davanti a noi.
Ariel è come il mare.
Si infrange con tutta la sua forza contro le rocce, contro le mura che la circondano. È tempestosa, travolgente. Ma è nell'attimo in cui si arrende a sé stessa in tutta la sua vulnerabilità che diventa bellissima.
E Ariel è tutto questo. È questo e tanto altro, Dio. Starei ore a scrivere di lei. Passerei i miei giorni a farlo.
«Non ti ha mai respinta», le rispondo, poggiando la testa vicino al suo collo e sfiorando la pelle con le labbra.
Mi stringe di più.
Poi si volta, ancora tra le mie braccia. Mi avvolge le sue dietro la testa, una mano raggiunge i miei capelli mentre l'altra si posa sul mio volto. Mi guarda.
Mi guarda e mi sorride, intensamente e sinceramente. La mia Ariel. La mia bellissima, meravigliosa Ariel. Il mio mare, la mia tempesta e la mia luce, la mia ancora di salvezza. La mia tutto.
«Grazie», sussurra poi, con la sua voce che vorrei poter registrare per poterla ricordare quando non potrò più ascoltarla.
«Per cosa?», le chiedo, riponendole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Per essere qui. Per esserci con me», dice. «Per essere e basta.»
«Non c'è nessun altro posto in cui vorrei essere. Non c'è nessun'altra persona con cui vorrei stare.» Faccio una piccola pausa, esattamente come ha fatto lei. «Sono solo con te, sono da quando ci sei tu.»
Sul volto di Ariel sta per cadere una lacrima che io raccolgo prima che riesca a tracciare la sua pelle. Eccolo, il mio mare in tempesta che si lascia trasportare dalle emozioni, che si arrende e smette di sopravvivere per vivere.
Mi spinge verso di lei e mi bacia, velocemente ma profondamente e intensamente, e anche nel momento in cui lei poggia la testa sul mio petto, con gli occhi chiusi e senza dire altro, ci stiamo dicendo più di quanto riusciremmo a esprimere con le parole. Niente basta con lei.
La stringo ancora, con le braccia incrociate sul suo petto e la il mento sopra la sua testa.
«Adesso ci vorrebbe soltanto un pianoforte, e te che gli dai la vita», mormora dando voce ai suoi pensieri.
«Potresti dargliela anche tu», replico, e l'immagine di noi che suoniamo insieme mi attraversa la testa e mi cura un po' di più il cuore. «Potremmo farlo insieme.»
Ariel si volta leggermente e mi guarda, cercando i miei occhi. Mi sorride e io faccio lo stesso, non riesco a non farlo.
«Sarebbe bello.» Non mi aspettavo questa reazione, ma Ariel è anche questo. Mi sorprende ogni volta e io mi sento come se fosse la prima.
Si volta di nuovo, riportando il suo sguardo verso il mare.
«Non è vero che non sai cosa farne della tua vita, vero Ariel Green?» È da tanto che penso a quella sua risposta, quella sera. Non le ho mai creduto.
Anche quella volta, io sapevo che c'era qualcosa a bloccarla, qualcosa che la tenesse rinchiusa tra le sue mura senza possibilità di uscita, ma adesso quelle mura non ci sono più.
Sospira. So che non si aspettava le chiedessi questo. E ancora una volta, mi sorprende con tutto ciò che viene dopo.
«Ho fatto domanda per un'audizione alla Juilliard, prima che mia madre morisse.» Si interrompe, i suoi occhi studiano le onde che si infrangono l'una sull'altra davanti a noi.
Io aspetto che ritrovi il suo equilibrio, facendole soltanto sentire che sono con lei tenendola stretta contro di me.
«Mi aveva spinto lei a provarci, lo aveva sempre fatto.» Le sue dita si aprono intrecciandosi alle mie. «Sono stata accettata, avevo un'audizione. Quando mia madre era già nell'ultima fase mi arrivò la risposta. Lo sapevano soltanto lei, mio padre e Liam.»
«Avrei dovuto sostenere l'audizione quell'estate stessa, per poterci entrare dopo aver finito il liceo. Non l'ho mai fatta.» Si appoggia con la testa sul mio petto, lasciandosi andare completamente.
«Il resto già lo sai», sussurra, scrollando debolmente le spalle.
Non mi aspettavo tutto questo. Non mi aspettavo che ci fosse ancora così tanto dentro e dietro di lei, che sia stata pronta a rinunciare a così tanto sacrificandosi per sua madre.
Poi ha lasciato tutto. Ha nascosto tutto dentro si sé fingendo che non ci fosse, eliminando quella parte di lei che io sono riuscito a scoprire.
«Se ci riprovassi?», propongo, non riuscendo a fermarmi. Ariel si volta ancora, le sue mani adesso sono sul mio petto.
«Potrei darti una mano con la composizione.» So che non ne avrebbe neanche bisogno, ma non riesco a non pensare a lei mentre suona un pezzo nostro, un pezzo su di noi.
«Harry...», scuote piano la testa e abbassa lo sguardo. «Non sono pronta, e la Juilliard non è una di quelle cose per cui puoi avere una seconda possibilità.»
«Ma tu lo vorresti?» Le sollevo il mento poggiandole due dita al di sotto di esso, costringendola a guardarmi. «Vorresti ancora fare quell'audizione?»
«Non lo so, non ci ho mai più pensato dopo la sua morte. Avevo lasciato il pianoforte e tutto quello che lo riguardava con lei.»
«Io dico che ne varrebbe la pena.»
Sorride, mordendosi le labbra. «Per te tutto ne vale la pena.»
«Solo quando ci sei di mezzo tu, Ariel Green.» La mia Ariel Green, il mio cuore guarito.
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