3. Tra terremoti, confessioni e scene stile Titanic

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FLAW, 146 GIORNI PRIMA

«Hai parlato con un angelo?!»

Sospiro, strofinandomi gli occhi con le mani e poggiando i gomiti sul tavolo dietro al quale sono seduto. Le mani di Rivka sbattono su di esso con forza, facendomi alzare lo sguardo sulla mia amica in piedi alla mia sinistra. Inarco un sopracciglio, facendole corrugare la fronte arrabbiata.

«Sei gelosa, per caso?» chiedo, dandole un buffetto sulla guancia e facendola sbuffare, mentre si rimette dritta e porta le braccia al petto allontanandosi dalla mia mano. Potrei giurare di averla vista arrossire.

«Non sono gelosa, voglio solo che tu non trascini qui un angelo» dice stringendo i pugni, con le sopracciglia inarcate in un'espressione di sdegno. Sento la terra sotto la sedia tremare, così lancio un'occhiata a Legolas che si trova al lato opposto della stanza, che capendo cosa succede salta giù dal letto in un secondo e si getta su Rivka per abbracciarla.

«Dai Rivka, è la seconda volta in tre giorni che fai tremare l'Istituto!» dice mentre la stringe in un abbraccio del tutto falso solo per calmarla, facendo finta di non sentire i lamenti della ragazza che gli intimano di togliersi di dosso a lei. Il terremoto finalmente si placa e il mio compagno di stanza dai capelli blu può tornare sul letto a leggere. Gli piacciono i libri terrestri, dice che leggendo i classici in lingua originale capisce meglio tutta la grammatica delle diverse lingue del mondo.

«Dovresti controllarti un po' di più» affermo con il mio solito sorriso beffardo sul volto, avvicinandomi alla finestra che si trova proprio sopra il letto di Legolas e aprendola, sedendomi sul bordo.

«Flaw, dico sul serio, non fare cazzate. Non voglio che condanni un angelo alla dannazione solo perché hai voglia di divertirti. Approvo tutto, ma questo no!» Sbuffo alle parole di Rivka, che in questo momento sembra più la madre che non ho mai avuto. Come se avessi avuto almeno un padre, dopotutto.

«Le ho solo parlato, non le ho chiesto di sposarmi. Non credo che il suo Dio possa punirla per questo» sospiro, gettandomi finalmente fuori dalla camera e rimanendo sospeso grazie alle mie ali nere.

«Dove vai?» mi chiede Legolas, affacciandosi alla finestra proprio come un bambino. Gli scompiglio i ricci blu, per poi lanciare un'occhiata anche a Rivka che mi sta continuando a guardare storto.

«A fare un giro, non ce la faccio più a stare qui dentro» affermo, dandomi la spinta con i piedi al muro esterno e allontanandomi il più possibile dall'Istituto. Io e Legolas ci conosciamo da quando abbiamo iniziato a studiare, mentre Rivka la conosco da prima ancora. Lei ha una famiglia, a differenza mia, perché anche all'Inferno alcuni demoni non vogliono prendersi la responsabilità di crescere un figlio. Gli umani tendono ad avere paura dei demoni, senza sapere che alla fine sono come loro. Forse con qualche potere e un paio di ali in più.

Mi do' un'ultima spinta, sapendo esattamente dove sono diretto. Passata la mezzanotte sarebbe vietato girare per la Città Sospesa, sia per gli angeli che per i demoni, ma a me non è mai importato più di tanto. Il Ponte della Vita di notte è uno spettacolo troppo bello per non guardarlo e si sa che i Demoni, le regole, sono nati per infrangerle.

Getto un'occhiata veloce al Ponte, vedendolo vuoto. Se ci fosse qualche angelo sarebbe un problema, perché se mi beccassero farebbero la ramazina all'Istituto e i Demoni odiano quando i santarellini li rimproverano, soprattutto quell'idiota del direttore Samael. Mi lascio cadere in un posto più scuro, in modo da non farmi vedere anche se ci fosse qualcuno nei paraggi, nonostante io sappia bene che il Ponte non è mai sorvegliato. Proprio perché lo so ho un sussulto appena mi ritrovo affianco una ragazza dalle ali bianche. Non sembra essere una guardia, perché appena mi vede accenna un urlo che però riesco a troncare sul nascere, mettendole una mano sulla bocca e spingendola verso un muro all'inizio del ponte, nascosto da ogni luce.

Gli occhi azzurri dell'angelo che sto spingendo contro il muro luccicano sotto il chiarore della luna, mentre un ciuffo biondo le copre la fronte. La guardo per un attimo, cercando di focalizzare i lineamenti del suo volto, anche se il suo profumo di cipresso ed eucalipto non mi è affatto nuovo.

«Rachel?» sussurro, con la fronte corrugata, spostandole la mano dalla bocca ma tenendola comunque inchiodata con il corpo al muro. L'altra mano le cinge un fianco, mentre il mio bacino spinge contro il suo per cercare di tenerla ferma contro la superficie alle sue spalle.

«Si può sapere che hai nel cervello? Le corna ti bloccano la circolazione dell'ossigeno?» mi chiede la ragazza, senza sapere dove mettere le mani per evitare di toccarmi, visto che siamo appiccicati come due sardine in una scatola. Non mi dispiace affatto, ma mi rendo conto che per lei possa essere più che fastidioso. Sono consapevole di non avere un buon odore.

«Si può sapere che hai tu nel cervello? Te ne stai in bella vista sul Ponte, se ti becca qualche Guardia Celeste puoi dire addio al tuo bel futuro da angelo custode» le faccio notare, con ormai entrambe le mani poggiate sui suoi fianchi. Molte volte mi sono ritrovato in questa situazione con delle ragazze, ma non erano mai angeli e non avevano mai avuto gli occhi azzurri. Di sicuro, se li avessero avuti, non sarebbero stati come i suoi.

Scuoto la testa, scacciando via ogni tipo di pensiero che vada oltre la simpatia visto che sto parlando di un angelo che, per giunta, mi odia.

«Bel futuro non saprei. E comunque non ci sono guardie in città, sono solo fuori dall'Istituto degli Angeli, puoi stare tranquillo» mi dice Rachel, che mi guarda con un sopracciglio biondo inarcato. Probabilmente questo sguardo inceneritore è dovuto al fatto che tengo le mani sui suoi fianchi e le sono a tre millimetri dalla faccia, così mi schiarisco la voce per smorzare il silenzio e mi allontano (seppur controvoglia) dall'angelo. Lei si muove sospirando verso il parapetto, poggiandovi sopra le braccia e tornando a guardare in basso. Mi guardo attorno, un po' teso per la paura che una guardia ci becchi, ma poi la raggiungo e imito la sua posizione.

La osservo per un po', rendendomi conto che la Luce ha fatto davvero un bel lavoro con lei: i capelli biondi lunghi e lisci sono leggermente mossi dal vento, creando una nuvola scompigliata, che incornicia perfettamente il suo volto che posso definire solo angelico. Le sue labbra carnose mi fanno desiderare egoisticamente che un giorno possa voler cedere al peccato e decida di baciarmi, solo per potermi beare di quella bocca rosea. Gli angeli sono quanto di più lontano esiste da me e da ciò in cui credo, ma devo ammettere che la loro bellezza eterea è innegabile. O quantomeno, la bellezza di Rachel.

Probabilmente si accorge che la sto fissando, perché mi lancia un'occhiata distratta accennando un leggero rosso sulle guance che mi fa sorridere, per poi tornare a guardare giù dal Ponte.

«Dove guardi?» le chiedo, per poter osservare lo stesso posto che la tiene così rapita a tal punto da farla arrivare qui di notte. Lei mi osserva con la coda dell'occhio, forse per non darmi la soddisfazione di puntare i suoi occhi azzurri nei miei maledetti occhi rossi.

«Roma» mi risponde, indicandomi un punto. Mi concentro sullo stesso luogo, così da poter avere una visuale migliore sulla città che osserva con tanta passione.

«Uh, Italia» commento, notando che lì il Sole sta tramontando, «deve essere bello il tramonto visto dalla Terra.»

All'udire quelle parole Rachel si volta di scatto verso di me, guardandomi senza dire niente, inducendomi a spostare lo sguardo su di lei. Mi sta sorridendo appena, senza schiodarmi di dosso i suoi occhi grandi. Vorrei smettere di guardarla, ma non ci riesco. Di angeli ne ho conosciuti tanti, ma lei non è come gli altri e l'ho capito da quando le ho parlato in biblioteca. Tutti abbassano lo sguardo per evitare di incrociare quello di un demone, mentre lei lo tiene alto e non si fa problemi a guardare nessuno. Sarebbe un demone infernale perfetto, se soltanto non fosse così magistralmente scolpita a regola d'arte per essere un angelo.

«Sì, deve essere molto bello» dice, per poi sospirare e riportare lo sguardo su Roma. «Vorrei poter dire che invidio gli umani, ma essendo un peccato capitale posso limitarmi solo ad ammirarli aspettando di proteggerli» dice quelle parole con una sorta di rassegnazione nella voce, come se non accettasse di essere stata scelta dalla Luce. Non dovrebbe essere un onore, per quelli come lei? Sapere di essere stati scelti, di essere voluti. Non come me, un povero demone abbandonato persino dai suoi genitori demoni.

«Perché dovresti invidiarli? Loro muoiono, si ammalano...» inizio, per poi sfiorarle le ali bianche che ancora non ha ritirato, facendola sussultare, «... e poi non hanno queste.»

Mi sorride, scuotendo la testa e spostandosi di lato per potermi guardare in faccia.

«Loro possono scegliere chi essere, però. Io posso aspirare a diventare solo un angelo custode...» mi spiega, abbassando lo sguardo rassegnata. Le afferro la guancia destra con la mano, per costringerla a guardarmi. Il contatto con la mia pelle deve metterla parecchio a disagio, ma non sembra volersi scrollare di dosso la mano.

«Potresti sempre diventare un Arcangelo» le dico, vedendola scuotere ancora la testa e osservando i suoi occhi inumidirsi sotto il chiarore delle stelle.

«Solo gli Angeli che ottengono la fiducia di Dio lo diventano e di sicuro io non sarò mai uno di quelli.»

Non so se sia possibile per un demone sentire il proprio cuore spezzarsi, ma a me sta succedendo mentre la vedo quasi piangere davanti a me. Prova a riabbassare lo sguardo, ma le afferro anche l'altra guancia per tenere il suo sguardo fisso sui miei occhi. Mi fa male pensare che per lei deve essere una vergogna guardare i miei occhi rossi, mentre per me è un onore potermi specchiare nelle sue iridi azzurre.

«Tu puoi diventare quello che vuoi, Rachel, e non c'è né Dio né Serafino che possa cambiarlo.»

Mi guarda per un po', cercando di trattenere le lacrime, per poi schiarirsi la voce e allontanarsi finalmente dalla mia presa. Sento un peso nel petto appena lo fa, ma decido di non darvi importanza.

«Scusa, non so nemmeno perché lo sto dicendo a te» mi confessa, stringendo con forza la ringhiera del parapetto del Ponte e ritirando le ali. Le sorrido, dandole una pacca sulla spalla un po' troppo forte che rovina il momento. Mi guarda storto, ma le sorrido ancora di più in maniera sgargiante per cercare di risollevare la situazione.

«Perché sai anche tu che un demone non giudica, al contrario dei tuoi amici angioletti» le dico, facendole sbuffare una risata divertita.

«Certo che sei proprio un pallone gonfiato.»

Le sue parole sono interrotte da uno sbattere di ali sopra di noi, che mi fa replicare la scena di poco fa spingendo Rachel contro il muro di prima, coperto da una colonna. Lei mi morde la mano che sto usando per tapparle la bocca, facendomi sussurrare un "ahia" e procurandomi uno sguardo fulminante da parte sua. Dovrebbero scriverci un libro sui suoi sguardi gelidi, perché credo che nessun altro angelo abbia la capacità di guardare così male qualcuno.

«Si può sapere perché...» prova a dire, ma la blocco di nuovo con la mano.

«Se non stai zitta ti bacio e le tue ali ci mettono un attimo a diventare nere.»

Le mie parole le fanno finalmente chiudere la bocca, così le tolgo la mano dalla faccia, ma continuo a stringerla a me per i fianchi.

«Lucifer, qual buon vento ti porta alla Città Sospesa?» Una voce alle mie spalle, proprio sul Ponte della Vita, accompagna la fine del rumore di battito di ali. Rachel butta uno sguardo oltre la mia spalla, per vedere la scena, ritornando su di me con gli occhi spalancati dal terrore.

«Ogni tanto mi piace venire a far visita al mio fratello preferito, Michael.» Ora sono io a strabuzzare gli occhi, mentre Rachel si stringe alle mie spalle tremando. Essere beccati in giro dalle guardie è un conto, essere beccati dal mio Signore e da un Arcangelo è decisamente un altro.

«Sei qui solo perché non lo trovi e non sai dove cercare» afferma con fermezza la voce di Michael, che fortunatamente sembra essere rimasta sempre alla stessa distanza da noi, senza avvicinarsi. Che non ci abbiano visti sul serio?

«Credo che sia nell'età dell'apprendimento.» Le parole di Lucifer sono accompagnate da una risata dell'Arcangelo.

«Ah, sì? Sai quante migliaia di anni sono passate?» lo sbeffeggia il biondo, del quale sento i passi. Probabilmente si sta avvicinando al fratello.

«Lo so bene, ma com'è che dite voi? "Le vie del Signore sono infinite!"» Lucifer ride, mentre Rachel continua a tremare stretta a me. Cerco di capire di cosa stiano parlando i due, ma l'unica cosa che riesco a fare adesso è cercare di regolarizzare il respiro per non far tremare l'angelo che ho tra le braccia più del dovuto.

«Lucifer, sai che se quel figlio fosse stato davvero concepito quando eri ancora un Cherubino staremmo parlando di un semiangelo? Di una sorta di difetto di fabbrica, che ci porterebbe a...» le parole di Michael vengono interrotte dall'Arcangelo stesso, che sembra aver paura di ciò che sta per dire.

Strabuzzo gli occhi quando inizio a capire il senso del discorso, mentre Rachel mi guarda corrugando la fronte. Cerco appoggio nel suo sguardo, per capire se stiamo facendo gli stessi pensieri. Lucifer ha avuto un figlio con Lilith?

Il silenzio della notte è squarciato bruscamente dalla suoneria di un cellulare, che vibra nella tasca di Rachel, facendomi saltare un battito. Si affretta ad afferrarlo per attaccare, ma Lucifer e Michael dietro le mie spalle ormai ci hanno sentiti.

«Chi c'è?» dice la voce del Serafino, mentre io afferro tra le mani il volto di Rachel.

«Ascoltami bene, adesso dobbiamo volare via da qui, capito? Devi seguire me, Rachel.»

L'angelo scaccia le mani dal mio volto, guardandomi storto come al solito.

«Risparmiati la scena stile Titanic e muoviti e portarmi dove dobbiamo andare!» dice, lasciandomi interdetto mentre dispiega le sue ali bianche come la neve.

«Che Cristo è Titanic?» mi lascio sfuggire, prima di alzarmi in volo dietro di lei.

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