Hamburger a mezzanotte? perché no?
«Forse è meglio tornare, domani abbiamo scuola.» ci consiglia James. certo, perché noi organizziamo una rapina quando domani dobbiamo andare a scuola. Geniale
«Ragazzo d'oro d'America, abbiamo appena portato a termine una rapina, lo meritiamo un hambuger»
«Sono d'accordo con Ed» batto il cinque a Peter.
E fu così che ci posizioniamo su un tetto, a vedere lo skyline di New York in compagnia di tre panini. Io non ho cenato, ero occupata, non mangio qualcosa da pranzo, quindi me lo posso permettere. E poi, per tutto quello che farò domani, per colpa della May...
Mi rigiro la chiavetta tra le dita, dando un altro morso al panino. Cosa mi nascondi...
James apre il dossier, e tossisce.
Peter ride, seguito a ruota da me
«Ehy, Edith, questo ti ricorda qualcosa?»
Mi mette sotto il naso una foto, e delle informazioni.
Il liquido nero. Quel liquido nero, quello che sta infettando il mio sangue. Finisco il panino in due morsi, e cerco di leggere, usando la luce di una torcia che avevo portato (il condotto era buio)
«Composto Y, annienta le abilità dei dotati...» leggo ad alta voce. Leggo la composizione chimica
«Ma non è possibile!» esclama Peter, dopo aver ascoltato solo la metà. Ha ragione, n on è possibile.
Sfoglio freneticamente il dossier, e guardo alcune foto raccapriccianti delle reazioni a questo composto.
Nota infondo alla pagina
«Se non viene espulso dal corpo la vittima muore lentamente» James sbianca, mentre io mi congelo sul posto
«Mi dovete dire qualcosa?» chiede Peter, vedendo le nostre espressioni.
«Ma tu non hai nulla nel tuo corpo, giusto?» mi chiede scuotendomi per la spalla
«Sbagliato» rispondo. chiudo gli occhi e prendo fiato. Ce la posso fare.
«Ragazzi, parliamone domani»
«Edith...»
«Ma...»
«Ho detto, ne parliamo domani. Peter, mi porti a casa?»
Lo guardo supplicante.
«Edith, noi non ti lasciamo in questo stato da sola» ribatte James prendendo posizione.
«Ho detto che ne parliamo domani, qualche ora di sonno non uccide nessuno»
Penso che se fossimo in un cartone animato iniziammo a cacciare fulmini dagli occhi, è un braccio di ferro di sguardi, e non posso perdere
«Edith, vieni...» mi tira Peter.
Mi aggrappo a lui e iniziamo a volteggiare per New York, sotto una pioggierellina leggera.
Dubito di riuscire a dormire.
Infatti mi giro e rigiro dentro il letto, finendo per giocare a butta i cuscini contro la finestra che ti protegge dalla pioggia.
Con uno scatto d'ira inizio a picchiare il cuscino azzurro, uno dei tanti, fino a farlo esplodere con tanto di piume volanti. Sto per morire.
Allora, decido di aprire la chiavetta. Lo dovrei fare con gli altri, ma un occhiata non fa male a nessuno.
Beh, peggio di così...
Ci ho messo tantissimo, ma alla fine ho questi maledetti file.
Clicco sul primo che trovo e lo apro.
Inutile, un rapporto sulle armi.
Chissene importa di quanti fucili sono andati distrutti!
Prendo il secondo e lo apro.
Un rapporto su un test con il composto Y. Anche il terzo, e il quarto sono noiosi
Questo è interessante.
Il rapporto dell'esperimento 27 fatto con il Composto Y.
Un certo Evans Smith, ventinove anni, è stato attaccato da questo, era un superdotato, qualcosa tipo essere telecinetico solo sugli oggetti non elettrici.
Ergo?
Comunque, dice che il soggetto (vorrei dire a questi qui che era una persona) è sopravvissuto.
È sopravvissuto distruggendo il composto Y, con il siero AW-349.
Eh?
Mi metto alla ricerca di questo AW-349, finendo per addormentarmi sulla sedia. Sono una grande supereroina.
«Edith? Ehy, sorella?»
Scatto in piedi cadendo dalla sedia. Mi tolgo il foglio che ho appiccicato sulla faccia
Morgan mi fissa curiosa, con la cartella sulle spalle
«Oggi sei andata scuola?»
Scuoto la testa, stanca. «Non dirlo a Pepper»
«Morgan!» Mia sorella risponde alla chiamata della madre. Non hanno notato che non c'ero a colazione, forse avranno pensato che fossi già andata. Probabile
Ho un mal di testa della serie post sbronza. Prendo una delle pillole e mi riempo un bicchiere con dell'acqua. Ci butto dentro la medicina, e quella si scioglie. Ne prendo un altro paio e le butto insieme alla prima, non so quanto siano salutari, ma mando tutto giù.
Quindici chiamate perse da James, undici da Peter e diverse random di Buck.
Interessante. Cancello le notifiche e vado a farmi un tè, e sorseggiarlo sul balcone, sotto uno degli ombrelloni.
Che non risolve nulla.
La terra inizia a muoversi sotto i miei piedi, e inizia a piovere. All'improvviso, le nuvole che coprono il cielo però sono bianche. Metto una mano fuori, e non appena capisci cosa sia la ritraggo.
Sangue.
È sangue.
Lascio cadere le tazza che si rompe sul pavimento, chiudo gli occhi e il sangue sulla mano scompare, e tutto torna alla normalità. Tranne la tazza sul pavimento.
Pulisco i cocci e mi guardo intorno, nessuno ha notato nulla.
D'accordo, finiamo il progetto dello scudo e vediamo di mandarlo alle Stark industries, lì sanno tutto quello che devono fare, gliel'ho spiegato io, modestamente.
E finisco per lanciare una penna contro il muro, ripetutamente, in modo noioso.
Devo fare qualcosa.
Il telefono squilla e io mi butto a prenderlo, cadendo e rotolando.
«Pronto?»
Chiedo, impaziente.
«Edith mi hai risposto finalmente, dove sei finita ti stiamo chiamando da stamattina e abbiamo pensato che tu fossi morta...»
La voce di James preoccupata raggiunge le mie orecchie. Sorrido, inconsciamente
«Non sono morta ancora»
Ho fatto alcuni calcoli.
Due mesi di coma.
Le visioni/mal di testa/allucinazioni sono frequenti, spaventosamente presenti.
Forse un mese, forse di di più.
Quindi, una settimana e festa di compleanno, sì, manca una settimana. Ho già fatto gli inviti, lo ho consegnati a tutti quelli importanti.
Per una volta una mia festa sarà mia, e ci sarà tanta, tanta gente. E disagio.
È il mio ultimo mese, posso fare quello che voglio.
«Central Park, alle sette»
Chiudo la telefonata.
Poso la telefonata e salto sul letto.
Posso mettere in atto il piano B.
Corro per la Stark Tower, fino ad arrivare al laboratorio di mio padre.
Rallento, e mi guardo intorno.
Che ricordi, ci ho passato un infanzia qui. Si è accumulata la polvere sui mobili, sugli attrezzi.
Passo due dita su una, che diventa lucente come l'argento, al suo vecchio splendore.
«Papà... So che non mi puoi sentire, ma... Mi manchi» riesco a sussurrare.
Dove erano le armature ci sono dei teli bianchi. Vado al centro e cerco di evitare tutto il resto.
Ne tiro uno giù e tossisco, parecchio.
Ma è lì, la Mark 50. L'ultima.
Quanto mi è mancata.
La abbraccio. È stata una cosa stupida ma ho abbracciato un armatura.
Comunque, la smonto e la metto nelle scatole vuote, per poi trascinarlo in camera, evitando le urla di Pepper.
Nonostante abbia la stessa tecnologia della mia, era comunque adattata su mio padre, quindi, la devo adattare, taglio un po' di questo, riprendo i fili di quello, accorcio quello, creo una linea dei fianchi ben delineata...
Sono felice di lavorare su questa, non fa male, mi fa sentire papà vicino, come se fosse ancora qui.
Pensavo di potercela fare, ma sono in ritardo. Farò la mia grande entrata un altra volta.
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