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Enea, dopo essersi lasciato alle spalle la lussuosa reggia e le ampie case, si incamminรฒ verso i monti per raggiungere la cittร di Dardano. Attraversรฒ lo Xanto e il Simoenta, fiumi presso cui sua madre lo aveva partorito, e infine giunse alle pendici rocciose.
Bussรฒ alla porta della sua dimora, una casa in legno pregiato e dai soffitti altissimi, e ad aprirlo la nutrice, Caieta, che lo rimproverรฒ del ritardo:ยซAh, Enea, Enea... vedi di non farti attendere piรน cosรฌ tanto, chรฉ sennรฒ tuo padre chi lo sente!ยป
Era ormai diventata una ripetizione, quell'apostrofe โ chรฉ sennรฒ tuo padre chi lo sente โ tuttavia il buon Anchise non aveva mai qualcosa da dirgli, e si limitava sempre ad accogliere il suo figlio prediletto con un sorriso.
Difatti costui, che nonostante l'etร e la scoliosi che da anni lo affliggeva restava un uomo bellissimo, lo ricevette a braccia aperte, e insieme a lui gli altri fratelli.
Erano sei figli, in tutto, ma una fiamma del casato reale di Dardano si era spenta, impedendo di tornare a splendere: Lirno, il fratello gemello di Enea, due anni prima da quel giorno era partito verso terre lontane, non facendo mai piรน ritorno. Aveva commesso uno di quei peccati su cui Priamo, re ufficioso di tutta la Troade, non poteva transigere, e a malincuore Anchise aveva dovuto disconoscere la sua paternitร *[1]. In casa la sua mancanza era avvertita; tuttavia, l'affetto da parte degli altri non mancava.
Ippodamia, la maggiore, era una donna amorevole e operativa, indicata come la migliore tra le principesse di tutta l'Asia, essa comprendesse la Troade, o la Frigia, o la Misia. Era un'ottima tessitrice di pepli, la prediletta della sacerdotessa Teano*[2], a cui tutti i fratelli minori, e in particolare Enea, facevano riferimento, per un consiglio o un'opinione.
Suo marito Alcatoo era molto probabilmente l'uomo piรน giusto e fedele che fosse mai esistito: aveva ereditato dal padre Esiete, un troiano fedelissimo a Giove, quelle qualitร che, a differenza di altri uomini, lo contraddistinguevano. Avevano cresciuto Enea educandolo alla caccia, alla lettura, alla scrittura e alle arti oratorie, e se quel giovane ora era uno dei piรน stimati condottieri lo si doveva al loro impegno e perseveranza.
Ilia era una ragazza adorabile, almeno a primo impatto: bassa, dalle forme proporzionate e l'aspetto gradevole, brillava anche lei nell'arte del cucito, pur non spiccando agli occhi di Teano come la sua sorella maggiore. La sua gentilezza e affabilitร l'avevano portata a essere amata da tutti, soprattutto da suo padre, ma a ormai ventisei anni di etร non era ancora riuscita a trovarsi un marito, avendo in molti rifiutato le proposte di Anchise. Era destinata al consacramento verso la dea Diana, a divenire una cacciatrice abile e seguire gli insegnamenti di Ieromnene e Sterope*[3]. In alternanza, poteva dedicarsi al culto di Cibele presso l'importantissimo santuario che era situato alle pendici dell'Ida. Spesso la si trovava a battibeccare con Elimo ed Echepolo, altri gemelli generati da una stessa schiava, che amavano la caccia e le battaglie ma, essendo illegittimi, incapaci di ricoprire posizioni di rilievo all'interno della comunitร dardanide: il primo, dalla parvenza amabile, avrebbe seguito le orme di suo zio Laocoonte*[4] e sarebbe divenuto sacerdote; il secondo, invece, si occupava volontariamente delle scuderie di suo padre, visto il legame forte che aveva con gli animali, soprattutto con i cavalli. Quello stesso legame, poi, si sarebbe rivelato la sua maggiore condanna.
Infine c'era Enea, partorito da Venere, quella che dagli uomini veniva citata come la piรน bella fra le dive immortali, e che un giorno, vittima di un suo stesso inganno*[5], si innamorรฒ perdutamente del giovane Anchise.
Ella lo vide su uno dei pendii della catena montuosa, e ricordandosi di come Ganimede fu rapito presso le stesse valli, decise di sposare quell'essere umano di straordinaria bellezza e virtรน. Spiegรฒ le ali bianche e piumate, inquadrรฒ il giovane coi suoi occhi azzurri e fermi e si diresse verso Cipro, ove aveva sede la sua dimora. Raggiunse il suo splendido palazzo, lรฌ l'attendevano le tre Grazie*[6], che la unsero d'olio di ambrosia, la adornarono di gioielli e di un peplo smagliante, piรน della vampa di un fuoco. Successivamente lo saldarono con la famosa cintura dorata**[5] e potรฉ partire verso Dardano.
Si stanziรฒ sull'Ida, cominciando a camminare per le fiere: giร giacevano, al suo passaggio, leoni e pantere dal pelo nero e lucido, tigri, cerbiatti, abitanti del cielo, della terra e delle acque, dello Xanto e del Simoenta. Si addentrรฒ nella casa di Anchise, che ancora doveva far ritorno dal pascolo, e si stanziรฒ vicino a una enorme apertura, lasciando che il vento e la brezza le rinfrescassero la pelle e i capelli ondulati.
Il dardanide tornรฒ alla sua dimora, e sobbalzรฒ nel vedere un essere di cosรฌ tanta invidiabile bellezza, che pareva di tutto una vergine intatta: ne ammirรฒ le forme, l'altezza, i lineamenti, l'aspetto e le vesti sgargianti; il suo occhio non potรฉ evitare di cadere sui monili bellissimi che portava attorno al collo tenero e alle membra candide. Era cosรฌ bella che appariva luminosa come l'argentea luna, o perlomeno al pari delle stelle splendenti. Immediatamente, sopraffatto da quella divina immagine, bramoso di lei โ chi mai avrebbe potuto evitarlo โ, esclamรฒ:ยซSalve, regina!ยป ella lo rendeva ineffabile, chรฉ gli fu impossibile parlare senza parere impacciato, ยซDimmi, chi sei tra le dee? Forse Diana, o Latona, o... o forse sei l'aurea Venere, quella che tutti elevano a diva piรน bella? Magari potresti essere Temi, la dea della giustizia, o Minerva dagli occhi di strige... o per caso sei una ninfa che ha dimora in questi boschi, o una di quelle dal candido viso che giacciono su questo monte? Se sei una di loro, allora, sopra una vetta, in un luogo che sia ben in vista, ti voglio innalzare un altare, immolarti bei sacrifici ogni stagione: ma se mi mostri un cuore benevolo, te ne prego: fa' che presso i dardanidi io sia un uomo glorioso e donami florida stirpe in futuro. Ti chiedo inoltre un'ultima cosa: vorrei morire ricco e vecchio, giungere alla soglia della vecchiaia senza alcun rimpianto, fiero della vita che avrรฒ vissuto!ยป
Venere immediatamente notรฒ l'ambizione che contraddistingueva quel giovane ragazzo, e si beรฒ dei complimenti che egli le aveva rivolto. Increspando le labbra in un sorriso falsamente timido, rispose:ยซAneli a molta gloria, nobile Anchise, lo vedo; eppure, sei troppo generoso con me: non sono una dea, perchรฉ mi paragoni alle immortali? Sono mortale, davvero, e mia madre fu donna. Mio padre รจ l'illustrissimo Otreo, il figlio di Cisseo*[7], semmai tu ne avessi sentito parlare. Conosco perfettamente la vostra lingua, quasi al pari della mia: mia nonna fu Telecleia, sorella di tua madre Temiste**[7], e a palazzo mi crebbe una nutrice troiana. Se ti chiedi perchรฉ sono qui, ti risponderรฒ rivelandoti che Mercurio l'argicida*[8], mentre prendevo parte a una danza in onore della dea Diana, mi rapรฌ, e mi fece percorrere molte campagne fino a condurmi in casa tua: mi rivelรฒ che avrei dovuto sposarti, e che dalla nostra unione avrebbe avuto luogo una stirpe gloriosa, che avrebbe preso vita dai figli stupendi che ti avrรฒ generato. Dopo avermi svelato ogni cosa, sparรฌ alla mia vista il messaggero degli dรจi: e ora sono qui, Anchise, mio promesso, di fronte a te. Adesso ti supplico nel nome del potente Giove e in quello dei nobili genitori che ti diedero alla luce: lasciami vergine intatta e senza esperienza d'amplesso, poi mostrami ai fratelli venuti con te dallo stesso grembo: non sarรฒ per loro una cognata indegna. Un messaggero รจ giร stato inviato ai frigi per comunicare la notizia delle nostre nozze; indubbiamente ti invieranno una veste fulgida e oro in abbondanza. Dal tuo canto, tu premurati di allestire un banchetto che sia orgoglio degli uomini e pari alle mense divine.ยป
Gli occhi chiari di Anchise, per quanto conformi a una parvenza innocente, tradivano una nota di desiderio e di brama che aveva nei riguardi della fanciulla. Ella, consapevole di aver usato le giuste parole affinchรฉ cadesse nel suo inganno, ricambiรฒ l'ardenza di quello sguardo con uno altrettanto fugace, simile a quello che rivolgeva al mare quando quest'ultimo le sorrideva.
E allora disse il dardanide:ยซSe tu, dunque, sei mortale e Otreo illustre fu tuo padre... se davvero sei la mia promessa sposa chรฉ nemmeno Apollo coi suoi piangevoli dardi potrebbe negarlo... se sarai chiamata mia moglie per tutti i giorni che mi restano, ah, ti giuro, pur di salire sul tuo letto calerei nelle case dell'Averno.ยป
Mentre pronunciava tali irragionevoli parole, prese la mano di Venere amante del sorriso, la quale si volse e abbassรฒ lo sguardo celeste, lo seguรฌ verso il letto giร pronto, coperto da una pelle di leone che lo stesso Anchise aveva ucciso. Non appena i due si furono accomodati, per primo lui cominciรฒ a toglierle i monili e le gemme preziose, gli orecchini e i bracciali ritorti. Poi sciolse la cinta e la liberรฒ persino del peplo sgargiante, ponendo tutto su un trono rivestito d'argento. Cosรฌ, accompagnati da un serenissimo ronzare delle api, i due amanti godettero delle passioni amorose, e dall'amplesso, per volontร degli dรจi, fu concepito un bambino.
Respirarono tutti i loro sospiri, le pelli finivano dallo sfiorarsi a malapena all'unirsi totalmente in un unico indivisibile corpo, che poi si staccava, e diventavano due, completamente diversi: il primo immortale, coscienzioso, ingannevole; il secondo irragionevole, confusionario, mortale.
Quando Aurora abbandonรฒ il suo giaciglio e lasciรฒ che il mondo intravedesse le prime luci; quando Febo cominciรฒ a trainare il carro del sole e illuminava il mondo, e i pastori si alzavano per muoversi verso i pascoli, cosรฌ Venere si svegliรฒ, e aumentรฒ nel suo amante un dolce sopore.
Si rivestรฌ nuovamente del peplo, aprรฌ le enormi ali piumate e le guance divennero rosee: toccava col suo capo gli alti soffitti, e gli occhi celesti rivolgevano il loro sguardo verso il mare. Nessuno era bello come Citerea dalla vaga Corona*[9], nรฉ si dovevano permettere di eguagliarla. Destรฒ dal sonno Anchise, che giร sognava le nozze e la mente era avanti coi tempi, troppo frettolosa e che sarebbe rimasta delusa.
ยซSvegliati, discendente di Dardano, cosa ti spinge a dormire cosรฌ profondamente? Alzati, e comprendi tu stesso se la fanciulla vista ieri sera corrisponde a colei che ti ritrovi dinnanziยป, annunciรฒ con voce solenne, usando parole piรน serie di quelle innocenti e gentili della fanciulla che era la sera precedente.
Anchise aprรฌ gli occhi, dilatรฒ le pupille e si accorse delle iridi blu e del collo fulgente di Venere. Abbassรฒ lo sguardo, terrorizzato, e cercรฒ di rivolgersi altrove. Prese il suo mantello e vi nascose il volto, esclamando e piangendo:ยซTi avevo a malapena vista, dea, ma riconobbi subito che la tua bellezza non poteva corrispondere a quella di una donna mortale: eppure tu non mi dicesti il vero, mi mentisti! Ti sto supplicando in nome di Giove: non far sรฌ che d'ora in avanti io viva una misera e infelice vita, poichรฉ io lo so, ne sono consapevole: non spetta un destino felice a chi si unรฌ d'amplesso con una dea!ยป
E a lui rispose la Dionea Venere:ยซOh, Anchise, tu che sei carissimo a me e ai superi tra quanti uomini ci sono a questo mondo, rendi pace al tuo animo, che nรฉ da me, nรฉ da nessun altro degli dรจi devi temere tali sventure. Il tuo cuore non deve cedere a questo sgomento, te ne prego... dall'amplesso di questa notte un caro figlio avrai, che sarร signore tra dardani e troiani; e nasceranno, senza mai termine, figli da figli. Enea si chiamerร , poichรฉ testimonierร la mia vergogna ineluttabile nell'essere calata in un letto mortale*[10]. Non sei il solo: molti della tua stirpe erano talmente belli da suscitare nei Celesti le piรน sparute fantasie. Giove, colui che sa tutto, da queste stesse pendici rapรฌ Ganimede dalla chioma bionda, affinchรฉ mescesse il vino nelle anfore degli immortali. Tuttavia, nonostante questo miracolo per gli occhi, un funesto e acuto dolore invase l'animo di Troo, l'inconsolabile e apprensivo padre; non sapeva nรฉ poteva sapere dove fosse finito suo figlio, poichรฉ nessuno s'era preso briga di spiegarglielo; e tutto il giorno lo cercava, invocandolo con gemiti lunghi. E Giove, mio padre, ne ebbe pietร , tanta da dargli, in compenso del figlio, gli alivoli corsieri che portano in groppa i Celesti. Sempre sotto il comando di Giove, Mercurio andรฒ dal re e gli disse che suo figlio viveva come un dio in mezzo ai celesti, e che sempre sarebbe stato immune alla vecchiaia e alle sofferenze. Dopo ch'ebbe udito tali parole, il suo animo non solo si consolรฒ, ma fu addirittura rallegrato, e colmo di gioia, da non mandare piรน lamenti da rivolgere verso il cielo. La stessa cosa vale per Aurora, dall'aureo trono, che rapรฌ Titone, il primogenito di Laomedonte***[7], nonchรฉ quello che avrebbe dovuto essere l'erede al trono. Costui era di una talmente divina bellezza che ella lo volle con sรฉ, e chiese per lui una vita perenne. E Giove acconsentรฌ, volle che egli diventasse immortale. Ma, quando si accorse di aver errato nella richiesta e vedeva che invecchiava ugualmente, che i primi peli canuti potevano essere intravisti sia sul suo capo che sulle sue gote, allora Aurora lo rinchiuse nel suo giaciglio, donandogli ugualmente vesti bellissime e l'ambrosia di cui si nutrono i Numi. Ma quando poi lo colse l'estrema odiosa vecchiaia, non si poteva piรน muovere, nรฉ pure agitare le membra, questa le parve la miglior cosa da fare: tenerlo rinchiuso nel talamo, e su lui serrare le fulgide imposte. Un cianciuglio perenne gli usciva dalle labbra, nรฉ ombra piรน della forza aveva, ch'ebbe un giorno nelle agili membra. Io non vorrei che cosรฌ, fra i Numi che vivono eterni, vivessi tu, che mai non dovesse finir la tua vita, per essere poi rinchiuso in un otre da dove la tua voce uscirร . Se tale, quale adesso tu sei di sembianza e di membra, vivere tu potessi, mio sposo in eterno chiamarti, non mi farebbe che ancor piรน male: invece, a te vecchiezza sovrasta, che uguale รจ per tutti, senza pietร , che incombe, col tempo, su tutti i mortali, che strugge, che affatica, che in odio รจ perfino ai Celesti. Ora, per tua cagione, sarร questa mia gran vergogna, giorno per giorno, senza mai tregua, fra i Numi del cielo, che prima i miei disegni temevano e i dolci colloqui, onde una volta tutti si giunsero a donne mortali gli eterni Numi, e tutti li seppi domar com'io volli. Or piรน non oserร la mia bocca menar questo vanto fra gli Immortali, chรฉ grande, chรฉ orrendo fu troppo il mio fallo, da non si dire, chรฉ fu sconvolto il mio senno, quand'io con un mortale giacqui, ne chiudo nel grembo un fanciullo, o anche due, che sono come la vita e la morte. Loro, come apriranno le pupille alla luce del Sole, saranno nutriti dalle Ninfe montane dal seno ricolmo, le quali hanno dimora negli ampi valloni di questa montagna sacra. Non sono Dee, ma non sono nemmeno mortali, hanno durabile vita, manducano ambrosie vivande, e intrecciano fra i Numi beati eleganti carole. Con loro Mercurio d'acuta pupilla e i Sileni si mescono d'amore. Nascono sopra la stessa terra che nutre voi uomini, e la loro venuta al mondo corrisponde al sorgere di nuovi alberi che ineffabilmente si elevano al cielo. Difatti, quando una di loro muore e la Parca tesse l'ultimo filo della sua esistenza, diviene un arbusto che prima fiorisce, ma che col tempo si essicca, cade in molti pezzi, fino a che non vede l'ultimo raggio di sole. Queste nutriranno i miei figli. E sappi ancora questo โ dato che miro a dirti tutto ciรฒ che necessiti di sapere โ: mi ripresenterรฒ di nuovo da te con i due figli quando compiranno il quinto anno. Riconoscerai il primo dai folti capelli rossi e lo sguardo gentile, e le lentiggini che costelleranno il suo viso innocente: sarร lui Enea, l'uomo che ti รจ promesso. All'altro, Lirno, non spetteranno altri onori, perchรฉ lui รจ il figlio come la morte*[11]. E come gli occhi tuoi contempleranno tali germogli, t'allegrerai di vederli: chรฉ avranno l'aspetto dei celesti. Guidali poi con te alla rocca di Ilio ventosa, presentali agli altri, e semmai ti chiederanno quale fu la loro madre, tu di' che li hai trovati sul monte, e che sono figli di una ninfa dal viso di fiore. Chรฉ poi, se il vero sveli, se per vanitร tu racconti che unita fu con te Citerรจa dalla bella ghirlanda, ti colpirร sdegnato colla fumida folgore Giove. T'ho detto tutto, e tutto dovrai conservare nella mente: frenati, non dire nulla e rispetta il volere dei Numiยป.
E, cosรฌ detto, via si perse, fra i venti, nel cielo.
Anchise la rivide solo una volta, quando cinque anni dopo prese con sรฉ Enea, poi mai piรน i suoi occhi ebbero il privilegio di guardare la piรน bella tra le dive.
Ed ebbro, aveva disobbedito agli ordini di Giove spifferando a tutti di essere andato a letto con Venere.
Quello Enea lo sapeva, e dopo che la lunga lingua del padre lo aveva raccontato a tutta la Dardania, anche i troiani erano a conoscenza delle sue divine e controverse origini.
Anchise lo aspettava tutte le sere nella sua dimora, mentre Venere lo sosteneva in ogni azione, nonostante il suo occhio non potesse vederla. Di rado le dee si mostravano nella loro forma piรน pura, e non potevano essere viste da occhi mortali non scelti. Non aveva mai toccato sua madre, mai un abbraccio, nรฉ un bacio; eppure la sentiva, e in qualche modo strano le voleva bene.
Enea rifletteva proprio sul destino; finita la cena si era steso sul suo letto e coperto col lino leggero, ricamato a dovere, poi si abbandonรฒ al sonno. Si rinchiuse nella sua stanza e impedรฌ l'ingresso a chiunque. In quegli istanti di profonda solitudine rielaborava i suoi sentimenti, spontaneamente rideva o piangeva, a seconda dell'andamento delle cose. D'altronde, quelli erano gli atteggiamenti che lo distinguevano: non gli erano mai appartenuti forti caratteri animaleschi, nรฉ tanto meno una esorbitante forza bruta, mediava nei suoi aspetti prendendo ispirazione dalle persone che lo circondavano ogni giorno. Se Enea credeva in qualcosa, quel qualcosa erano proprio le persone, dovessero esse dimostrarsi assenti oppure no.
Non riuscendo a dormire, destato dalle preoccupazioni che sin da bambino lo affliggevano, si avvicinรฒ alla finestra e osservรฒ i boschi che, quasi un dipinto olio su tela, scendevano dalle vette imponenti e tappezzavano di colori che aumentavano man mano la loro temperanza. Le chiome verdognole si distinguevano da quelle accese, e quelle marroni e spente dalla vitalitร di tutte le altre. Scorse delle cacciatrici intente ad acciuffare un capriolo: erano vestite di lino e ornate di cinture semplici; i calzari di metallo creavano scintille anche nell'oscuritร , e il senso dell'udito superava quello della vista. Le chiamavano sacerdotesse di Diana, guidate proprio dalla dea. Assieme a loro, che vivevano durabile vita, si trovavano le Amazzoni, ornate di cinte e armature maschili.
Il giovane le osservava ammirato, piรน per quel che facevano quanto per il loro aspetto: le donne, come lui ben le conosceva, erano rinchiuse nel loro gineceo, e non vi uscivano se non per svolgere i propri compiti. Loro, invece, ambedue i tipi di vergini immortali, erano libere, slegate da vincoli coniugali. Non c'era una catena che le legava a un uomo, esso fosse loro padre, o fratello, o tutore, o marito.
Proprio in quei momenti, il figlio di Anchise andava oltre quello che gli era stato insegnato e imparava a vedere il mondo com'era, e non come doveva essere. E il mondo era cosรฌ: c'era quello e c'era questo, le stesse realtร sapevano mescersi in uno spazio relativamente piccolo, ed era quasi curioso come la vita di palazzo pareva diversa dall'esistenza frugale che si poteva vivere al di fuori, ove a vigere c'era solo la libertร . Lo sapeva bene, soprattutto grazie alle esperienze di guerra che lo avevano formato, come ad Arisba due anni prima.
Ripensรฒ ai discorsi di sua madre che aveva avuto modo di udire unicamente da suo padre, a quanto quella vita fosse, nella sua sostanza, cosรฌ infelice e ingiusta per lui. Anche se la sentiva con lei, quell'abbandono gli provocava un non so che di vuoto, e per anni fu un pesante fardello da sostenere sul proprio cuore.
Bianco era il colore che gli si addiceva, stava a significare purezza e lealtร . Mentre il rosso era il color che piรน lo feriva, sangue: come una spada sguainata infilzata in un petto e adornata di aspre gocce. Sangue che si vedeva nella casa di Priamo, che lei subiva, e che lui avvertiva, come in un incubo. E quello era un incubo, la visione illusa e distorta di una realtร altrettanto bugiarda.
ย ย ย NOTE:
1.ย ย ย Lirno รจ, molto probabilmente, il piรน ambiguo dei personaggi della mitologia greca. In questa storia non ricopre un ruolo fondamentale (anzi, รจ solo menzionato), tuttavia la sua sottotrama, che verrร svelata in separata sede (dunque non in DE VIRIS ET MULIERIBUS CONSECRATIS ILIUM) ci fa capire come mai egli fu cacciato di casa.
2.ย ย ย Teano รจ la piรน importante sacerdotessa di Minerva a Troia, la si ritrova in Iliade ed Eneide
3.ย ย ย Ieromnene e Sterope sono due ninfe dell'Ida, figlie dello Scamandro.
4.ย ย ย Laocoonte era prima sacerdote di Nettuno e poi di Apollo a Troia. Veniva odiato per aver violato la castitร che gli era stata richiesta e aver avuto due figli, Anfio e Timbreo. In questa storia รจ fratello di Anchise.
5.ย ย ย Il suo stesso inganno, indicato qualche riga dopo, รจ proprio la cintura dorata: La trama dietro la storia di Anchise e Venere, difatti, indica che Giove, stufo delle continue tentazioni che la magica cintura di sua figlia esercitava contro di lui, s'era deciso farla contro di lei facendola innamorare di Anchise.
6.ย ย ย Le Grazie erano dee della natura e della vegetazione, in greco erano conosciute come Cariti, ed erano figlie di Giove ed Eurinome. Accompagnavano personalmente Venere ovunque ella decidesse di andare.
7.ย ย ย Ci sono diverse fonti sulla paternitร di Otreo: alcuni lo vedono come figlio di Dimante, altri come figlio di Cisseo. In questo romanzo risulta essere figlio di quest'ultimo. La moglie di Cisseo si presume dunque sia sua madre, ed era Telecleia, sorella di Temiste (madre di Anchise) e di Laomedonte (padre di Priamo).
8.ย ย ย Epiteto di Mercurio, significa "uccisore di Argo" (in virtรน del fatto che Mercurio uccise davvero un mostro di nome Argo)
9.ย ย ย Epiteto di Venere, derivato da "Citera" (l'isola su cui nacque)
10.ย Il nome Enea ha una doppia origine: da un lato potrebbe derivare da "ฮฑแผฐฮฝแฝนฯ", che รจ la versione poetica di ฮดฮตฮนฮฝฯฯ che vuol dire "terribile" (in virtรน del fatto che mai Venere avrebbe voluto giacere con un mortale); l'altra, di tutt'altro significato, farebbe derivare "Enea" dal verbo contratto "ฮฑแผฐฮฝแฝณฯ" che vuol dire "lodare, approvare" vista la natura religiosa e pia che contraddistingueva quest'eroe.
11.ย Lirno รจ un nome che MAI si รจ trovato nell'onomastica greca, dunque รจ unico nel suo genere. Lo collego alla morte per due motivi: sia per un qualcosa che avanti, in altra sede, verrร scoperto, sia perchรฉ non ha un vero significato. In greco corrisponderebbe a ฮแฝฯฮฝฮฟฯ. Questa altri non รจ che la mia rivisitazione amplificata dell'inno omerico V ad Afrodite.
To be continued...
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