𝐗𝐕𝐈
| 𝗟'𝗜𝗡𝗜𝗭𝗜𝗢 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗟𝗢𝗥𝗢 𝗙𝗜𝗡𝗘 |
Ha sempre avuto la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo profondo, di lasciarsi trasportare da una logorante malinconia, affogarci dentro e di annaspare per tornare a galla: questo era il suo più grande guaio.
Nella sua vita bisognava assecondare qualsiasi piano.
Non cadeva dalle scale se qualcuno la spingeva e non rideva se non ce n'era bisogno.
Tuttavia ha sempre avuto la cattiva abitudine di cascare nel più profondo dei mari e lasciarsi trasportare dalla melanconia delle emozioni.
Ma ha sempre preferito cadere a pezzi che raccoglierli;
Amarsi più che amare gli altri;
Dondolarsi nelle sue piaghe degli occhi, più che dormire sulle spalle degli altri;
Danzare sulle punte sopra un letto spoglio, più che litigarci in quel letto;
Anticipare ogni sua lacrima, più che sentire il mare che cade dagli occhi ogni notte;
Lamentarsi di ogni piccola cicatrice, più che curarsi quelle vicino alle cosce;
Eliminare ogni suo pregio, più che vantarsi dei suoi difetti con il suo professore preferito;
Nuotare insieme alla sua più grande paura, più che aiutarla a scappare
Alzarsi dopo aver fatto il suo più grande lavoro e sorridere, più che massaggiarsi le ginocchia dolenti.
Ha sempre avuto la cattiva abitudine di volersene andare prima del dovuto, di allontanarsi dalla sua vita per distruggerne un'altra, di correre senza saper respirare: questo era uno dei suoi più grandi guai.
Non aveva mai nulla da chiedere, e tutto da dare. In questi momenti così turbolenti stava disturbando la mente di un grande pensatore, di un grande uomo.
Percorreva sempre la stessa strada, quel gran uomo.
Conosceva alla perfezione gli alberi del suo quartiere, conosceva bene quale strada percorrere per arrivare in università, dalla sua amica Alena, da Laurie, eppure ogni giorno non sapeva con certezza come cancellare i pensieri che si portava dietro, no, non lo sapeva. Non si può affermare quanto gli facesse male, quanto dolore provocasse quella donna che tanto diligente si insidiava nei suoi nervi, nelle sue vene, nel suo stomaco, nel suo pancreas, nel suo cuore.
Non sapeva come allontanala,
Non sapeva come aiutarla,
Non sapeva come lasciarla.
la sera stessa
nel suo salone
Il divano non era mai stato così gelato, piccolo e spaventato come in quel preciso istante. Non si mimetizzava con il clima, non lo stringeva con dovere, non faceva altro che trovare degli aspetti negativi oggi e questo lo faceva innervosire, ma mai come doversi alzare per aprire la porta al suo ospite.
Meditò alcuni secondi prima di alzarsi con il citofono che lo accompagnava.
"Si brucia." Gridò per far smettere chi aspettava dietro la porta. Non smisi, anzi, premette ancor con più insistenza il pulsante. Alena sapeva, invece, come infastidire.
"Finalmente, bel scrittore. Pensavo di dover rimanere lì tutto il pomeriggio." Entrò con il suo fare egocentrico e sorridente, poiché in quegli ultimi giorni solo uno dei due poteva permettersi di aver l'umore sotto i sassolini delle scarpe. Hanno trascorso maggior parte del tempo insieme i due sia perché Alena non ha avuto modo di farsi delle nuove amicizie dato che all'università tutti la considerano come la pazza che finge sia perché il nostro bel scrittore - come lo chiama l'attrice - ha bisogno di distrarre la sua anima da quella donna peccatrice con passione vendicatrice.
"Come mai sei venuta? Oggi non ce n'è bisogno." Affermò per lasciare qualche mollica di sanità.
"C'è sempre bisogno quando si parla di te." C'era della dolcezza e della preoccupazione nella sua voce. Lui la notò con velocità straordinaria. Notò come la loro amicizia si stava solidificando ferita dopo ferita.
"Forse hai ragione." Si lasciò scappare quella verità. Alena rimase a bocca aperta. In questi mesi non aveva mai pronunciato quelle parole. Non credeva fossero passi avanti, ma molto sicuramente delle verità che non verranno mai più a galla.
"Questa frase dimostra che non stai affatto bene." Si incammina verso il salone visto che nessuno si era preoccupato di allontanarsi dalla porta d'ingresso. Con delicatezza si sedette sul divano morbido e sentì immediatamente il gelo intrappolarsi nelle sue ossa. Si mosse un po' per trovare del calore, ma appena constatato che non ce ne fosse, ritornò nella posizione precedente. Colpì alcune volte la mano sul divano per farlo sedere vicino a lei e finalmente la sua mente può far ciò per cui è venuta: farlo parlare. "Racconta tutto. Sfogati una volta per tutte." Incrociò le gambe per potersi girare e guardare negli occhi la sua dolce amica. Iniziò con lo schiarirsi la voce e bere un po' di alcol che ristagnava sul pavimento dentro un bicchiere di vetro.
"È ancora qua." Posò nuovamente il bicchiere sul basamento freddo e si pulì le labbra con la maglietta primaverile che indossava. "Si trova sempre nello stesso fottuto punto. Fissa sempre i miei occhi. Mi indica sempre come a incolparmi di averle sparato, mi tortura come se avessi deciso io di farla prostituire." Dapprima nessuno dei due si accorse della lacrima solitaria che stava bagnando la sua guancia. Il suo sguardo puntava lo specchio mai utilizzato che stava sulla parete di fronte alla finestra. Era sporco, non vedeva bene la sua figura, perciò.
Ma con certezza vedeva i suoi capelli stropicciati cadergli suo viso e coprirgli un po' la vista. Alena non si distaccò molto dal suo essere ferma e determinata, soprattutto nel vedere il suo amico in questo stato di distacco. Si guardavano, anzi, Alena lo guardava e lui spostava lo sguardo dallo specchio ai tulipani rossi che stavano dentro un vaso di vetro e sul pavimento. "Alena, credimi quando ti dico che il suo sguardo mi perseguita, mi procura delle ferite abissali, mi lancia delle pietre tetre che tagliano nette. Credimi quando ti dico che nelle mie mani vedo ancora il suo sangue e vicino a me." Indicò lo spazio rimanente del divano. "La pistola con cui si sparò, rivedo tutto, di nuovo e di nuovo, anche mentre cammino, mentre scrivo, rivedo tutto e assumono dei colori più vivi, più realistici e più dolorosi. Ho seriamente pensato di prenderla quella pistola - la conservo ancora - e di spararmi nello stesso posto dove lo fece lei. Solo per segnare l'inizio della nostra fine. Solo per renderla felice." Alena asciugò con tristezza quelle lacrime vicine, felice, e calde che da tanto non scendevano. Non si scompose neanche quando gli confessò che voleva uccidersi, se lo immaginava, come si immaginava quanto bastarda fosse Maddalena con quel pover uomo. "Era da tanto che non piangevo così." Un sorriso uscì dalle sue labbra. Fu condiviso e per un attimo l'aria divenne più leggera, si sentivano gli odori della primavera, si sentiva l'odore metallico del sangue. "So perfettamente che in giorni come questi che gli uomini dall'altra parte del mondo muoiono di fame e di sete, che ci sono bambini che vengono inseguiti da pedofili, che in giorni come questi in cui le mogli vengono picchiate da bastardi senza spina dorsale, che in un mondo come questo in cui le certezze di aver un robot in casa sono più alte di quelle di avere un lavoro stabile, so perfettamente che non è il caso di chiederti qualcosa dopo tutto quello che la nostra terra sta subendo, però sono costretto a farlo perché oramai i miei pensieri non mi bastano, non mi fanno essere reale, mi illudono, ti prego Alena, dì il mio nome e fa sì che almeno per te io, in tutto questo, esista.
"Non posso." Era in momenti come questi che Alena desiderava un vizio. Desiderava che anche suo padre l'avesse obbligata a scegliere qualcosa a cui aggrapparsi quando nessuno poteva soddisfarla, quando voleva fuggiate dal disagio dei favori, delle domande a cui non poteva rispondere. Lo voleva anche lei l'accendino da ruotare, uno scudo per nascondere la sua vergogna. Voleva anche lei una scusante per fuggire senza dare spiegazioni.
"Perché?" Chiese lui molto confuso. Si era sempre smascherato, rivelando il proprio nome. Lo ha sempre fatto, lo giurava. Si era presentato il giorno in cui la società l'aveva costretto a socializzare. Aveva parlato, si, lo aveva fatto.
"Perché non mi hai mai detto il tuo nome."
Tutte le vostre verità crollarono. Tutte le volte che lo chiamava scrittore e non con il suo nome divennero chiare, capì tutto: non aveva mai detto il suo nome. E durante il silenzio delle innocenti bugie, una perla bianca, splendente, cadde a terra, rivendicando il suo ultimo sparo, il suo ultimo grido e la sua ultima goccia di mare che cadeva dai suoi occhi.
Il vostro sguardo non deve cadere sulla scena sorprendente.
Bisogna far concentrare il vostro cervello, niente di più - è sempre stato tutto così chiaro -
Ultime parole, quelle vere. Hanno sempre detto così al ragazzo. Che sia vero? Che sia falso?
Giurate di non aver capito appena vi sentite insicuri, appena avete capito di non saper leggere con attenzione. Avete sempre sbagliato.
Ispidi come i peli sulla vostra lingua, non vi siete fatti nessuna domanda, non avete mai fatto nessuna richiesta.
Andate a controllare il foglio bianco che penzola da un quaderno appena comperato, una domanda pungente sporgeva da esso: sarà mai esistito o è solo un'altra delle sue storie inventate?
- 𝗧 𝗛 𝗘 𝗘 𝗡 𝗗 -
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Ecco qui la fine. È strano, molto, scrivere la parols fine per questa storia più che altro perché quest'ultimo capitolo sembrava un parto e non credevo di poterla concludere.
Se vi chiedevate se il protagonista maschile avesse un nome, beh non lo sanno neanche i protagonisti della storia ahahahah (bella merda). Questo perché ho voluto fare qualcosa di nuovo che nelle mie storie non ci fosse mai stata.
Come avete potuto leggere ci sono dei piccoli inserimenti e riguardo all'ultimo paragrafo cosa avete da dirmi. Secondo voi esiste oppure no?
Io sinceramente non vorrei dirvi niente sia per non condizionarvi sia per poterne parlare nei commenti.
È stato bellissimo scrivere questa storia ed è stato altrettanto bello vedere (anche se non molte) le vostre reazioni.
L'unica cosa che posso dirvi è: ci vediamo alla prossima storia e si spera non sia tra 194891 anni.
Grazie.
-Martina
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