𝐗𝐕

three month later







| 𝗜𝗟 𝗠𝗔𝗥𝗘 𝗗𝗘𝗜 𝗡𝗢𝗦𝗧𝗥𝗜 𝗢𝗖𝗖𝗛𝗜 |









Guardava attentamente gli occhi di sua madre. Brillavano alla sola speranza di poter respirare. Non si sentiva sicuro - stranamente - nel vedere appassire il loro barlume, gli dava anche fastidio sentire il suo cuore spento battere. Le luci dei lampioni che illuminavano la casa ingigantivano le ombre dei suoi occhi, che dolore! Che dolore vederli sorridere. Sembravano dei grossi occhi gialli, rossi, arancioni di un lupo cattivo, tremendo e affamato. Tremava dal freddo e c'era ancora sua mamma che lo guardava, e lui guardava lei. Aveva bisogno di qualcosa per far cessare di battere quel cuore spento che lo feriva ad ogni battito insolente. Non smetteva di annegare quel cuore.
Una frase bloccava il sangue e non arrivava nel cervello. Una frase pulsava nelle vene e continuava a cantare.

Ho bisogno di un grande Dio,
pensi che sia io?

Continuava a parlare, questa frase. Non lo lasciava respirare, ma guardare sua madre sì, dritto negli occhi, quegli occhi penetranti, quegli occhi mangiati dal lupo.

Ho bisogno di un grande Dio.

Sua madre lo fissava con insistenza. Cosa voleva mai?

pensi che sia io?

Quando finirà tutto questo dolore, mamma? Quando finirà tutto questo? Maddalena se n'è andata. Maddalena se n'è andata. Maddalena se n'è andata.

Ho bisogno di un grande Dio,
pensi che sia io?

Era sera, una di quelle sere tiepide, una di quelle in cui riuscivi a stare seduto per terra senza gelare. Era una di quelle giornate - in totale - in cui gli unici amici non sono umani, non hanno un cuore che batte, solo un cuore distillato. Era una sera di tre mesi dopo e Maddalena se ne era andata di nuovo. Era una sera in cui guardava sua madre in foto.

Il campanello suonò improvvisamente. Non aspettava nessuno, come al suo solito, e in queste giornate così grigie non aveva visto nessuno se non la sua - oramai indiscussa amica - Alena. Era ritornato a confessarle tutto e a ripromettersi di non distaccarsi più da una figura importante per la sua realtà. Si alzò con lentezza e posò il bicchiere di vetro sul tavolo più vicino. Zoppicò un po' per via della gamba dolorante, la quale ha sbattuto giorni prima mentre trascriveva qualcosa nel suo quaderno delle poesie. Arrivò davanti alla porta e fece impazientire ancora un po' chi stava aspettando, poiché dovette appoggiarsi sulla maniglia per poter massaggiare l'arto ferito e aspettare che il dolore si affievolisse. Aprì finalmente la porta e si trovò davanti la dolce attrice.

"Cosa ci fai qui?" Chiese subito dopo aver chiuso la porta.

"Sono venuta a trovare il mio bel scrittore." Disse con un immenso sorriso. La sua felicità svegliò un po' quella casa buia, ma non fece muovere lui, difatti si ritrovava ancora appoggiato sulla porta ad osservare la lunghezza di quei capelli neri, contava ancora le sue lentiggini senza mai arrivare ad un numero reale e si perdeva ancora nella dolcezza delle sue labbra. "Vieni qua." Continuò lei dal salone. Accese tutte le luci, era tentata anche ad aprire le persiane, però capì di esagerare e di conseguenza aprì solo un po' la portafinestra bianca. Cercò di prendere atto delle sue condizioni, delle sue occhiaie profondamente viole e di dover parlare.
Zoppicò ancora un po' ed Alena rimase triste nel vedere questa pietosa scena. Cercò, quindi, di farlo muovere tramite delle battute e di non soffermarsi sullo stato estremamente trasandato.

"Allora, migliore amico scrittore, come te la passi?"

"Ci siamo visti oggi pomeriggio a lezione, Alena. Cosa vuoi che sia cambiato?" Controbatté lui. Ella lo guardò con gli occhi ridotti in due fessure come a sfidarlo, come a prevedere i suoi sfoghi.

"Fammi pensare." Mise la mano sul mento e fece una smorfia pensosa. Guardava verso la parete e si toccava la testa con l'altra mano e fingeva, anzi, recitava la parte della migliore amica preoccupata, della ragazza della porta accanto, della finta Maddalena. "Hai più occhiaie." Affermò la prima cosa venuta in mente.

"Quelle le ho sempre." Ribatté con un sorriso. La guardò ancora, come fece quel giorno al diner - non ci andava da molto in quel posto, non si ricorda il motivo, ma sicuramente c'entra quella sfuriata fatta il mese scorso e la frase "non mettere mai più piede qua" del capo -.

"Beh, allora hai i bordi delle labbra più secchi." Si arrampicava sugli specchi a proposito, voleva farlo sorridere, dimenticare per un attimo il mare che lo circondava. Si portò le mani vicino alla labbra e le tastò per confrontare questa sua affermazione veritiera. Il suo viso è più scavato rispetto a quel giorno. Le sue espressione sono più minuziose, è riuscita finalmente ad entrare nella parte della scrittrice ed è pure riuscita a scrivere qualcosa di decente. Le tremavano le mani, però e non era mica per il freddo, quello non insisteva più.

"Beh, allora tu tremi di più." Non voleva farlo sembrare un evento di grande importanza. Voleva solo scherzare, tuttavia lo sguardo che preservò per quella mano tremante, lo preoccupò abbastanza. La mise sotto la coscia per nasconderla da sguardi innocui. Lui la prese tra la sua e la accarezzò. "Cosa hai Alena?" Lo disse dolcemente, lo disse con pacatezza come i movimenti che stava facendo per snodare i suoi problemi.

"Ho paura per te, perché non riesci a dimenticare Maddalena, e che se n'è andata di nuovo e ho paura per me."

"Per te?" Chiese con la fronte accigliata.

"Sì, tanto, troppo." Sussurrò con amarezza quelle parole. "Non sono riuscita a trovare me stessa in tutti questi mesi. Ho sprecato mesi della mia vita per nulla. Non riesco ad essere una brava attrice, non sono una brava scrittrice. Non riesco a compire ciò che mi prefisso. Non riesco a trovare me stessa, chi sono? Chi sono?" Urlò le ultime parole. Lui non sapeva rispondere, perché faceva fatica a trovare una riposta. Non riusciva neanche a pensare a qualcosa già scritto, perché neanche lui sapeva chi fosse veramente Alena, e perché Maddalena lo avesse abbandonato di nuovo. Doveva rimanere nella sua mente come disse lei, doveva restare nelle gocce salate del mare che scendevano dai suoi occhi, e invece no.

"Sei una grande donna, dal cuore e dal sorriso contagioso. Sembra di averne uno quando ci sei tu. Sei di una potenza straordinaria, sei sempre qua. Sei Alena senza mai spaventarti di non conoscerti, sei Alena senza mai trovare il coraggio di tornare indietro." Quelle parole uscirono senza grandi aspettative, non dovevano farla sentire meglio, non dovevano dimostrare nulla di concreto, eppure la figura di Maddalena lo sorvegliava dall'angolo più nascosto della casa. Era tornata.




Camera da letto
cinque del mattino





Si accese una sigaretta. L'ottantesima nottata con l'insonnia. La pioggia scendeva, sbattendo contro il tetto. Era la prima pioggia fuori stagione. Si girò verso sinistra per prendere la chitarra e strimpellarla per quei minuti sofferenti, per quei minuti ed urlava: "Dietro quella merda, c'è solo altra merda, amore mio." All'infinito.

Dietro quella merda, c'è solo altra merda, amore mio.

Dietro quella merda, c'è solo altra merda.

Dietro quella merda, c'è solo altra merda.

Dietro quella merda, c'è solo altra merda.

Sotto quelle parole soffocate dai singhiozzi, soffocati dalle maremme, dalla schiuma e dalla saliva del passato, lui si rintanava e pensava. Pensava a quanti spari sentì prima di aprire gli occhi - furono tre (come i colpi che diede il secondo giorno sulla porta di Laurie) uno alla gamba destra (come quella che gli faceva male) uno alla pancia (dove dormiva il piccolo bambino) e uno alla testa -. Pensava a come tutti - lui compreso - negassero l'esistenza di questo male. Era vero, Maddalena volle soffrire prima di cessare definitivamente. Volle uccidere prima di piangere. Volle morire prima di iniziare a vivere. E lui lo aveva sempre nascosto: ad Alena, alla madre, alla sua mente, alla sua arte. Aveva provato a dirlo, ma Maddalena se ne andava sempre quando trovava il coraggio di ammetterlo. Dove se ne andava poi? Nell'Ade? Nel suo cuore? Non sapeva mai rispondere a questa domanda.

Dietro quella merda, c'è solo altra merda, amore mio.

Non scriveva più da un po'. Nessuna poesia, canzone usciva da quelle mani sempre sporche d'inchiostro. Riusciva per pietà a portare avanti il suo romanzo dalle mille pagine. Riusciva a leggerne dei piccoli paragrafi per quella bambina che si nascondeva nell'angolo, la quale gridava: "Ancora, amore, ancora. Racconta di me, racconta di me."
Le parole che s'immaginava non erano mai abbastanza. Il dolore che si affliggeva non era mai come quello di Maddalena. Le perle che lucidava non erano come quelle della sua mamma.
Ma cosa poteva fare lui? Aveva bisogno di un gran Dio. Aveva bisogno del sangue della sua amata, del viso della sua amata.
Non avevo nulla di tutto quello, lo sapeva e ciò gli faceva ricordare sempre più quelle cose.

Ho bisogno di un grande Dio,
pensi che sia io?

Prese un pennarello e scrisse quelle frasi sullo specchio come ad invocare quel Dio. Si specchiò giusto un po'. Notò le occhiaie, gli occhi avvelenati dal sale, le sue mani che ripercorrono il sole dei loro giorni, la sua mente troppo indaffarata a considerare quante candele deve ancora accedere.
Vedeva come i suoi occhi avevano il sapore del sale.
Come le sue mani inondavano il sole.
Ancora un'ora, Maddalena, non è ora di andare.

"Ma tu non puoi non andare, vero? Maddalena, non puoi non andare, puoi solo annegare perché dentro conservi il mio mare."




*

*

*




Perdono, perdono, perdono. Vi faccio aspettare troppo, lo so, ma è sempre troppo difficile per me scrivere gli ultimi capitoli delle storie. Ebbene sì, questo è il penultimo. Volevo scrivere qualcosa di più introspettivo, invece è uscito questo, ma non mi preoccupo più di tanto perché ho cercato di farvi capire un po' di più sul suicidio di Maddalena e del dolore che prova lui.
Spero vi sia piaciuto e al prossimo aggiornamento.

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