𝐗
| 𝗟'𝗜𝗡𝗗𝗘𝗖𝗜𝗦𝗜𝗢𝗡𝗘 𝗗𝗘𝗜 𝗥𝗜𝗖𝗢𝗥𝗗𝗜 |
Lasciatelo decidere quando morire, che era l'unica cosa che gli era rimasta. Lasciatelo marcire lì, da solo come una posata sporca e dimenticata, che era l'unica cosa che riusciva a fare adesso. Non facevano per lui le mattine, i risvegli. Non faceva niente per lui, eppure si ritrovava a farle tutte, quelle cose. Lasciatelo decidere quando morire quindi.
Pensava questo di se stesso mentre era sdraiato sul suo letto. Voleva decidere qualcosa e non rimanere freddo, immobile come la forchetta riposta sul suo comodino, non come la sua mente di fronte al risveglio dei ricordi e, soprattutto, non quando vide per l'ultima volta nuda Maddalena. Il suo corpo era così deformato, non seguiva una linea retta, ma non aveva più forme, le sue di forme. Non riusciva più a distinguere la cera che scivolava via dalla candela dalle sue lacrime che scendevano, oramai, dritte. Non distingueva più il muro bianco con il suo fianco pallido e senza più carne, ma solo ossa denutrite. E come glielo poteva dire che stava scomparendo? Come glielo poteva dire che i suoi occhi erano diventati di un nero spento, come i bottoni della sua camicia? Come glielo poteva dire che la pistola la stava già chiamando da quella notte? Non poteva, eppure la seguì lo stesso in bagno con le braccia distese sui fianchi, con le spalle abbassate e le labbra rivolte verso di lei, lo fece. Rimase lo stesso a guardarla seduto sul gabinetto, rimase lo stesso fermo a vedere come la sua lametta perforava la sua pelle, come il sangue rosso fuoco ardesse tra la coscia sinistra. Lo vedeva quanto dolore provasse ogni volta che allontanava la lametta dal suo corpo, per questo glielo lasciava fare. La lasciava decidere quando morire. Ma cosa poteva mai fare lui se appena si avvicinava la lametta perforava il suo occhio grigio? Cosa poteva mai fare? Niente, non poteva fare niente. E così fece. Si avvicinò soltanto vicino alle sue labbra viola per vedere dove fosse il suo respiro ed era ancora rinchiuso, ma presente. Lei continuava nel frattempo a togliersi l'ovatta in più che stagnava nelle sue braccia, e lui continuava a lavarsi la faccia come niente fosse. Uscì da quel maledetto bagno, ma cosa poteva fare di diverso? Lei voleva stare da sola. Si adagiò di nuovo sul suo letto e quando sentì il rumore della lametta cadere e provocare un'enorme pozza di sangue che galleggiava fuori come il petrolio nero e freddo, capì di averla lasciata decidere, di avere liberato il respiro che - ingrato e senza esperienza - si trovò squarciato dal tetto e dalla sola speranza di rimanere fuori da quel dannato corpo gelato. Così si alzò.
Quella mattina non si alzò così facilmente, non andò neanche all'università e lasciò la presentazione del loro progetto ad Alena, decantò lei le loro poesie e componimenti sui vizi mentre lui continuava a preoccuparsi del risveglio dei ricordi.
Preoccupazione, preoccupazione e preoccupazione, sentiva solo quella nella sua testa come l'ultimo giorno in cui la vide viva. I frammenti di tempo sono troppo confusi, volutamente lasciati nel caos per facilitare il corso naturale del dimenticatoio. La verità si poggiava calda e accogliente sulla sua spalla come a ricordargli che erano in un letto uguale a quello dove era sdraiato lui mentre lei piangeva con la pistola puntata in testa. Gridava contro il suo rancore perché non riusciva più a respirare, il respiro si stava liberando. Ma cosa poteva fare in quel momento se non aiutarla a togliere la pistola, se non urlare, se non guardarla decidere? Perché alla fine il rischio di opprimerla salvandola era troppo forte, alla fine la tentazione di rinunciare a lei era ardente e lei era così brava a convincere tutti che riuscì ad allentare la sua presa e placare le voci, lasciando cadere la pallottola dentro la sua testa e facendolo rinunciare al solo tentativo di prendere posizione e decidere per lei.
Bar avenue
la stessa sera
Il giorno lasciava spazio alla sera, senza troppi fronzoli e giri di parola perché lui non è riuscito a salvarla e la notte non poteva farci niente. Poteva soltanto farlo fuori dal mondo e lasciarlo in quel bar, tutto solo.
Era seduto - in fondo - in uno sgabello del bancone. Non voleva farsi vedere, ma allo stesso tempo non si curava se Alma potesse notare quanto schifo faceva il suo stato. Laurie se ne accorse immediatamente e si avvicinò verso di lui, porgendo un bicchiere d'acqua.
"Cosa hai?" Chiese, asciugandosi le mani sul suo grembiule.
"Niente." Rispose lui dopo aver bevuto il bicchiere d'acqua gelata, che aiutò la sua gola a farsi viva.
"Non è possibile." Disse, perlustrando l'ammasso di materia che ha depositato sul banco. La testa era poggiata totalmente sul bancone e Laurie, pensando alla scorsa serata, fece cenno di venire alla sua collega. Lei capì subito, si avvicinò al bancone, riscontrò il bisogno di sistemarsi un po' e iniziò con schiarirsi la voce.
"Allora, amico mio, Laurie è impegnata per adesso, quindi starò io con te." Annunciò per cogliere la sua attenzione. "Vediamo se posso rimediare a ciò che hai fatto o meglio bevuto."
"Risparmia il tuo finto buonismo e positivismo per chi ne ha veramente bisogno, Alma." Il suo nome lo pronunciò a parte, come a dargli maggiore importanza, come se possedesse un significato tutto suo, troppo delicato per esser pronunciato contemporaneamente alla frase. La sua pausa servì a questo. Lei non considerò nemmeno l'idea di rispondere con tono alla sua istigazione, anzi, sorrise e cercò di farlo alzare, aiutandosi un po' con le sue facoltà di muoversi, quel poco che rimaneva. Riuscì a farlo sedere in modo eretto, anche se non del tutto dritto, ma fece comunque un ottimo lavoro. Riempì il bicchiere con altra acqua e glielo versò in faccia per svegliarlo un po'.
"Che cazzo fai?" Urlò di botto lui. Si asciugò il viso con le sue grandi mani e le portò subito verso i pantaloni per asciugarle di loro volta.
"È ora di reagire. Lasciali stare i demoni che ti perseguono e inizia a vivere, per una volta." Buttò lì quella frase, che suscitò interesse alla sua mente inzuppata di gin e chiese un altro bicchiere d'acqua, servendosi dell'unico movimento che il suo corpo era in grado di fare.
"Il mio non è un demone." Rispose. Riscontrava strano e confuso il suo bisogno di raccontare la sua vita ad una barista, ma si lasciò perdere quando si ricordò di quella volta in cui raccontò la sua vita alla signora di cinquant'anni seduta vicino a lui nell'autobus. L'alcol non faceva per lui, eppure lo beveva sempre.
"Tiro ad indovinare: è una donna." Disse lei. Ne vide di persone come lui, ma non esattamente come lui. Vide spesso uomini ridotti al suo stesso stato, la sua mente volle precisare perché non aveva mai visto qualcuno di così misterioso ed interessante prima d'ora. I suoi occhi si spalancarono. Gli ritornò in mente che Maddalena è la sua donna - o forse dovrebbe dire era? - si intristì un po' al riguardo. Era davvero perspicace quanto me, pensò. Non ci arrivò subito.
"Già." Disse con tono atono.
"Che ne dici allora di farci un giro e parlarne dopo il mio turno?" La proposta gli ricordò quella di Maddalena, quella fatta principalmente per studiare. Si mangiò quei ricordi, doveva decidere lui quando morire.
"Quando finisci?" Si concluse in questo modo la sua caduta. Si concluse con la consapevolezza di aver ancora paura della mattina, dei risvegli, ma da quel momento non stava per ricadere in essi, stava semplicemente andando avanti.
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Eccomi di nuovo. Alloraaaa, in questo capitolo ho voluto principalmente parlare dell'instabilità del protagonista nell'affrontare i suoi ricordi e la sua vita, più in generale. Non ho voluto allungare molto la parte con Alma perché la leggerete nel prossimo.
Come sempre, lasciate i voti e i commenti e discutiamo del capitolo, se vi va.
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