𝐈𝐈𝐈









| 𝗔𝗟𝗘𝗡𝗔 |










L'enorme crescita culturale dello stomaco della cittadina che il Texas, con tanto orgoglio, portava in grembo faceva sì che tutti gli artisti potessero godere di un attimo di gloria, di successo.
Purtroppo, però, questa enorme Dallas non accetta i ritardi. E lui lo era fin troppo. Aveva commesso un enorme errore e ciò significa essere squarciati dalla propria gloria. Fece, di conseguenza, tutto molto velocemente. Spense la sveglia martellante e
si vestì in fretta e furia. Mise dei pantaloni scuri - neri, gli pareva di averli presi - e una maglietta altrettanto scura. Mangiò giusto due biscotti secchi e li mandò giù con dell'acqua fresca. Prese i suoi libri per affrontare un'altra lezione di scrittura italiana. Non gli dispiaceva, in realtà. Ma sapeva quasi tutte le basi, ma è abbastanza ovvio a chi dare i meriti.
Uscì di casa, ricordandosi di chiudere per bene la porta, e poi se la fece di corsa verso l'autobus.
Non si fermò nel diner, ma ci passò semplicemente davanti, come segno di saluto e di dispiacere per aver preferito quella schifezza alla dolcezza che avrebbe trovato lì.

Arrivò, comunque, con dieci minuti di ritardo, i quali non vennero presi tanto in considerazione dato che il professore era arrivato da poco. Si sedette accanto una sua collega, ma non le diede rilevanza alcuna.
Anzi, si occupò di tutt'altro: di scarabocchiare parole insignificanti nel suo quaderno per gli appunti.

Ti squarto lo sterno
per farne un inferno.
E rimani scherno
dietro uno schermo
che ha paura di uccidere un infermo.

E io nel frattempo resto vuoto,
sott'olio.

Il talento non se ne stava nell'angolo ad aspettare di esser chiamato. Si annidava nella sua mano, nella sua distrazione fulminea e nella sua prudenza a scrivere qualsiasi idea gli balenasse nella testa confusa che possedeva.

"Pensi che ci stia bene l'ultima parte?" La voce, tanto fastidiosa in quel momento, proveniva dalla sua sinistra. Girò il capo lentamente - quasi a maledire quel gesto - e con l'occhio fulmineo guardò la giovane ragazza ingrata.

"Come scusa?" Quelle parole, piene d'odio, furono dette sottovoce per non distrarre chi era veramente interessato ad imparare le basi.

"Secondo me "resto vuoto, sott'olio" non ci sta bene." Un fulmine spiazzò completamente il viso della giovane ragazza e sul suo volto c'era solo rabbia.

"Qualcuno ti ha chiesto un tuo parere?" Domandò scorbutico. Nessuno doveva toccare i suoi lavori. Erano l'unica cosa di concreto e bello che creava con maestria. Erano l'unica cosa che lo univa ancora al cuore di Maddalena.
Il silenzio da parte della collega non si faceva imbarazzante, anzi, stava sorridendo. "Perché stai ridendo adesso?" Chiese confuso.

"Perché voi scrittori siete tutti uguali." Affermò continuando a sorridere. Si soffermò su quella affermazione, riflettendoci, capì che l'aura misteriosa da scrittore che si stava creando, non funzionava per bene e, capì anche, che era a tutti gli effetti un libro aperto per i suoi colleghi- e ciò non gli compiaceva -.

"Voi?" Chiese, a questo punto, curioso. Doveva avere la certezza che lei fosse una vera scrittrice, una di quelle che non riesce a dormire se non completa il paragrafo, la poesia o semplicemente la parola adatta al suo scritto. Doveva essere certo che era come lui.

"Sì, voi." Non poteva ancora capire se questa certezza vi era oppure no, ma sicuramente la curiosità cresceva come le piante dopo una boccata d'acqua.

"Non scrivi tu?"

"No, cioè sono qui per imparare. In realtà sono un'attrice." In quel momento voleva ridere. Sputarle in faccia tutta la verità sulla sua arte, sul suo fantomatico mestiere e dirle che poteva pure andare a farsi fottere da qualcuno che si beve la sua presa di ribellione. Ma, in realtà, non fece nulla di tutto quello.

Il professore si accorse del loro vociare e portò il dito verso il naso, come segno di fare silenzio e così fu.

"Il compito di oggi è scrivere un ipotetico scritto sull'esperienze personali." Iniziò a proferire il professor. Canniball. "In coppia." Concluse, volgendosi verso la scrivania enorme e di un marrone spento per chiudere definitivamente il libro. Tutti si guardarono intorno, trovarono con molta facilità la persona con cui formare la coppia e, in quel preciso istante, lui capì quanto solo fosse in quella stanza. "La consegna è tra due settimane." Aggiunse prima di lasciare la classe in balia di loro stessi.

"Vuoi fare coppia con me, scrittore?" Disse lei, con un sorriso enorme e gli occhi più accesi e speranzosi che mai. Ci pensò un po', guardò il suo libro aperto ad una pagina qualsiasi, si concentrò su tutte le espressioni dei suoi colleghi e notò, con meraviglia, che tutti erano contenti dei loro compagni e solo lui, unico e solo, non fantasticava all'idea di stare con lei.

"Va bene." Incominciò, girandosi completamente dalla sua parte. "C'è una regola: non mi devi chiedere niente del mio passato."

"Va bene, da domani scopriamo perché sei così scontroso." Un sorriso si intravide. Si presentò, disse apertamente: "Io sono Alena." Strinse la sua mano e ne restò felice dato che ricambiò il gesto. Le presentazioni furono veloce, come l'organizzazione. Si vedranno al diner per le cinque del pomeriggio, domani.



Casa di Laurie
lo stesso pomeriggio


La stradina era sempre così pulita e ben conservata, come se solo le foglie potessero appoggiarsi delicatamente su quel marciapiede sporco. Ma lui, adesso, con il cuore in gola, con la voglia di piangere e con una chitarra sulle spalle, non pensava completamente al suo bisogno di constatare quali foglie potessero poggiarsi sul terreno su cui stava camminando.

Bussò, di nuovo, alla porta. Tre volte. Un tocco leggero per paura di farsi male. Un tocco per marcare la sua presenza e un tocco per pietà.
Questa volta il silenzio non lo temeva. No, gli piaceva.

"Aprimi, Laurie. So che sei dietro la porta." Lo scoprì subito. Non aveva attenzione, non aveva ricreato lo stesso silenzio. Lei, d'altro canto, non voleva aprire. Non voleva affrontare un uomo così importante per sua sorella. Voleva restare fuori dal mondo.

"Laurie." Con affare scocciato e autoritario, chiese il permesso di entrare. Voleva solo parlare.

Si fece coraggio. Ammirò con codardia, però, il pomello. Ma, inevitabilmente, la porta si aprì. Il gelo entrò, lasciando fuori le foglie e facendo entrare polvere (da sparo).







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Ecco a voi un altro capitolo. Qui presento un altro personaggio, Alena, capite bene il gioco di parole (Maddalena - Alena). Come vi sembra?
Infine, vi dico solo che il prossimo capitolo è sad, molto sad.
Spero vi sia piaciuto e al prossimo aggiornamento.

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