𝐈𝐈
| 𝗠𝗔𝗗𝗗𝗔𝗟𝗘𝗡𝗔 |
Annaspava nel suo immenso letto freddo. Le coperte lo intrappolavano ancor di più nella trappola morbida e piena di fogli. Non voleva alzarsi, ma la voglia di un altro bicchiere per accontentare la sua cirrosi epatica, urlava di sì, sì lo voglio quel bicchiere in più. Gli occhi erano mezzi chiusi e mezzi aperti. Non vedeva altro che il buio, non vedeva altro che la sua vita e il modo macabro in cui si era incatenata all'ennesima bottiglia di scotch, di rum, di gin, di vodka.
Il peso della valigia fatta per smettere di correre, si fece sempre più pesante e l'unica cosa che riuscì a fare fu volgere il proprio corpo a sinistra, mettere forza nelle sue gambe e braccia e, finalmente, alzarsi. Accadeva sempre più volte che non riusciva a superare la notte senza bere almeno altri dieci bicchieri. Faceva parte del suo processo creativo, si diceva sempre.
"Mi serve per scrivere." Sussurrava davanti alla bottiglia - quasi finita - di gin. "Per dormire." Questa volta non si azzardò a parlare con nessun oggetto, sapeva di star convincendo se stesso.
Il suo soggiorno era sempre così pulito e profumato che quasi quasi ricordava i giorni in cui sua madre stessa si occupava della grande casa che si ritrovava adesso. Aprì la credenza di vetro, l'odore pungente di chiuso e polvere si annidava nelle sue narici e lui ispirava per bene.
"Vecchio dolce odore." Disse con tra le mani il bicchiere e la bottiglia. Lo versò fino all'orlo e se ne uscì dalla stanza per arrivare davanti al camino - faceva troppo freddo per poter andare in un bar -. I ricordi turbolenti si riaffacciarono e salutarono con affare prepotente quel viso sciupato e malinconico. Sapevano benissimo chi riportare alla luce, chi far emergere dalle acque sporche e infuocate del suo Ade. Fecero rinascere lei. Non c'era bisogno di pronunciare neanche il suo nome armonioso, non vi era necessario ricordarsi il posto in cui si conobbero, poiché sapeva già come non farla andare via.
Durante un periodo pressappoco vicino riusciva a riscontrare la sua figura, la sua personalità in tutti i bar, pub, biblioteche, in qualsiasi luogo potesse mai metter piede. Lo perseguitava e lui, di risposta, giocherellava con il suo accendino argentato, pesante, rumoroso. Giocava, giocava perché l'aria mancava, mancava e gli alberi non ne procuravano altra. Era dappertutto. Era anche nelle impronte lasciate sul bicchiere di vetro riposto sul suo comò.
E, dato la mancanza di forze, ritornava sempre a porsi le stesse domande. Perché te ne sei andata tra le macerie del mio capezzale? Perché non hai semplicemente raccolto la polvere? Perché non hai semplicemente continuato a vivere?
Si rispondeva sempre - con risposte diverse - che non voleva stare con lui, che aveva sbagliato quella sera d'estate, che aveva procurato troppa polvere (da sparo).
S'immaginava, anche, come sarebbe andata la sua lunga vita con i suoi occhi puntati verso i suoi, come avrebbe scritto con la sua mano vicino alla sua.
Avrei camminato con la sensazione di pienezza, con la sua mano tra la mia. Avrei pure sognato. Bevve un altro sorso e buttò giù, facendo una smorfia di dolore ma non dovuta al sapore un po' aspro del liquore. Avrei amato, ancora e per sempre.
Buttò giù l'ultimo - per davvero - sorso e corse - per davvero - verso la sua camera da letto. Si gettò tra le braccia del suo letto e chiuse gli occhi grigi, sperando anche questa notte, di morire, come fece Maddalena.
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Ecco a voi un altro capitolo. Spero vi sia piaciuto e c'è anche un nuovo personaggio. Fatemi sapere cosa ne pensate. Al prossimo aggiornamento.
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