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| 𝗦𝗢𝗡𝗢 𝗦𝗘𝗠𝗣𝗥𝗘 𝗜𝗢 |









Percorreva quella strada ogni giorno. Conosceva benissimo il sempreverde alla sua sinistra, proprio accanto alla casa verde smeraldo che stonava con gli altri edifici, il negozio di antiquariato nel quale ha comprato la sua vecchia e sporca macchina da scrivere, il semaforo che faceva difficoltà a restare verde per un lungo periodo e persino conosceva in quale filo elettrico la colomba nera e lurida si sarebbe poggiata. Eppure, nonostante percorreva quella via, quei viali, con così tanta costanza, tutto - e intendo tutto - sembrava appartenere ad un'altra vita e, per osare un po', ad un'altra persona. Ma appena entrato nel diner aperto ventiquattro ore su ventiquattro, dopo aver percepito il solito odore che ormai era sinonimo di casa, non badava più alla sensazione mortificante che si arrampicava sulle sue ginocchia.

Salutava tutti - lo conoscevano per bene -, guardava quale tavolo era ancora disponibile e poi si sedeva ed aspettava il solito menù semplice e buono. Non osava togliersi il cappotto, l'inverno lì non ti faceva neanche togliere la maschera che indossi per chiedere il resto che brami.
Sceglieva sempre le solite cose: uova strapazzate e una tazza di caffè amaro. Mentre aspettava che la sua cameriera le portasse l'ordine, estraeva l'accendino e accendi e spegni, accendi e spegni e poi di nuovo dentro la tasca: le uova sono arrivate. Prendeva, dall'altra tasca, un quaderno piccolo e la biro nera. Appuntava alcune parole per qualche sua poesia, racconto, idiozia nuove. Non faceva altro là dentro, se non pagare e andarsene senza, questa volta, salutare.

Era a conoscenza che con altri dieci passi sarebbe arrivato all'università, sapeva che il barbone della quinta strada si spostava alla terza - dove si trovava lui - per prendersi i suoi cinque dollari, per poi ritornarsene al suo posto con un liquore nuovo.
Faceva esattamente altri venti passi e si trovava nella sua solita classe, la 17, la porta si chiuse alle sue spalle e un'altra lezione sulla poesia americana lo aspettava, consapevole di dover appuntare solo un'altra storia che il suo cervello malato aveva acquisito tempo fa con lei.

Però il professore non era ancora arrivato, non perdeva tempo: usciva dal suo zaino il quaderno dove scriveva le sue poesie e rileggeva, rileggeva e contava quanti errori potevano esserci in quegli estratti. Nessuno. Non ne contava ed era contento anche così. Guardava sempre lo zaino, il suo interno, il colore dell'esterno - nero pece come le vene, le sue che congelavano -. Infilava la mano nelle sue tasche: le sue cose c'erano ancora, l'accendino era sempre lì, freddo, inutilizzato.
Alla fine il professore non si presentò, venne quindi un assistente. Spiegò altri autori di sua conoscenza e poco apprezzati e, appena concluso tutto, si alzò per tornarsene dalla puttana che lo ha fregato.

Alameda Avenue

lo stesso pomeriggio


La strada, che dire, era sempre quella. Fredda, buia e costosa. Arrivò in una casa benestante - quella sua - e salì i primi tre scalini e, davanti al portone marrone, si bloccò. Non poteva non constatare il silenzio che emanava quella casa e quanto rumore avrebbe recato. Bussò una sola volta, bastava. Sì, credo che bastava.
Nessuno replicò. Il silenzio si amplificava ed entrava nelle sue ossa e facevano compagnia alla sensazione familiare che giaceva sulle ginocchia.

"C'è nessuno?" Gridò la prima volta. Si voleva maledire, come poteva stare là quando a casa c'era la sua bella bottiglia di gin e la sua chitarra dalle movenze straordinarie. Come poteva?

"Sono io, aprimi." Continuò. Inutile e palese dire che alla porta nessuno si presentò, nessuna donna si è avvicinata allo spioncino per vedere chi disturbava, solo un mollusco azzardò appoggiare l'orecchio sulla porta per percepire quanto casino facessero quelle parole e quanto menefreghismo rincorreva quella mente che se ne stava ferma, seduta, davanti quella porta tra il caldo dell'ambiente e tra il calore che emanava la vagina da poco utilizzata.








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Ecco qua il primo capitolo. Non è pieno di fatti emozionanti o catastrofici (ancora), è solo un'introduzione al personaggio. Ho voluto cambiare un po', ho deciso di non strafare e di iniziare con questo carino caruccio protagonista. Come vi pare? Lasciate qualche commento.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e al prossimo aggiornamento.

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