Ryounosuke
Akutagawa camminava a testa bassa, con le mani nelle tasche. Teneva gli occhi fissi sul pavimento, senza avere il coraggio di guardare in volto nessuna delle persone che incrociava, indipendentemente dal loro grado. Fiancheggiava la parete alta e scura, sperando di fondersi con essa, di riuscire a nascondersi, di scomparire.
Quel pugno ricevuto il giorno prima gli aveva fatto tremendamente male. Sentiva ancora lo zigomo pulsare e aveva il naso così indolenzito che solo toccandolo gli lacrimavano gli occhi. Il labbro inferiore era gonfio e il taglio che si era aperto non ancora cicatrizzato; passandoci la lingua sopra gli arrivava in bocca il sapore del sangue.
Superò una fila di porte marroni, dopodiché svoltò nel corridoio principale. Copriva con ampie falcate lo spazio davanti a sé, muovendosi al contempo velocemente e silenziosamente. Tentava di passare il più inosservato possibile, perché si vergognava terribilmente di tutti quei suoi colleghi che lo fissavano. Quel rimprovero violento sarebbe già stato sufficiente di per sé, ma il fatto che fosse avvenuto in pubblico lo aveva reso una vera e propria umiliazione.
Strinse i denti, mentre le immagini del giorno prima tornavano a fargli visita. Era come guardare lo stesso film allo sfinimento, senza però farlo ripartire in maniera volontaria. Il ricordo si riavvolgeva da solo e ricominciava a tormentarlo. La sgridata, il colpo, gli spari. La sgridata, il colpo, gli spari.
La sgridata, il colpo, gli spari.
Si morse il labbro, sussultando poi dato che si era dimenticato che non era una buona idea piantarsi i denti nella carne se quella era già ferita di per sé.
Gli aveva fatto sputare sangue. Letteralmente, nel vero senso della parola.
Non che fosse la prima volta, e nemmeno la prima volta davanti ad altre persone. Ma quando accadeva, Akutagawa sperava sempre che quella sarebbe stata l'ultima. Sperava di diventare abbastanza forte, abbastanza intelligente, abbastanza bravo da rendere Dazai fiero di sé. Si impegnava con tutte le sue forze, eppure quel momento non arrivava mai.
Non erano le botte a ferirlo, in fondo. Né quelle ricevute come accompagnamento a una bella lavata di capo, né quelle prese durante l'allenamento.
Immaginatevi di non essere mai abbastanza. Di non sentirvi mai abbastanza.
Immaginate di provare e riprovare, di metterci tutti voi stessi, e di fallire puntualmente.
Immaginatevi l'angoscia salire a ogni vostro sbaglio, immaginate di tremare alla sola idea di incrociare quello sguardo rimproverante, di aspettarvi già delle parole cattive piovervi addosso senza pietà.
Immaginate di sentire la delusione nel tono della sua voce.
Immaginate di essere l'unico beneficiario di tali attenzioni; immaginate di vederlo allegro con tutti, sempre sorridente e all'apparenza quasi sulle nuvole, per poi notare come cambi totalmente atteggiamento quando si tratta di voi. Come se vi riservasse tutta la sua cattiveria.
Immaginate che il vostro mentore, il vostro maestro, il vostro tutore, la vostra figura di riferimento, la vostra massima aspirazione di vita, la persona che più ammirate e alla quale vorreste assomigliare non vi dica mai una parola carina. Mai una sola. Non vi faccia mai un complimento né riconosca i vostri sforzi.
Era questo che faceva male ad Akutagawa: impegnarsi, metterci tutto sé stesso per soddisfare Dazai, per essere abbastanza, per sentirsi dire "bravo". Un dolore che aveva nel profondo, che lo scuoteva da capo a piedi, che lo faceva soffrire così tanto da causargli il mal di testa.
Gli vennero le lacrime agli occhi e dovette sbattere velocemente le palpebre per scacciarle. Scosse la testa, cercando di mandare via quella sensazione di sconforto, e fece un respiro profondo.
Arrivò alla fine del corridoio e si diresse verso la scala di destra. Fece appena in tempo a poggiare il piedi sul primo scalino, che udì una voce chiamarlo.
<<Akutagawa-kun>>
Sbarrò gli occhi, pietrificandosi all'istante. Non sapeva come fosse possibile che ogni volta spuntasse senza preavviso per richiamarlo. Deglutì, chinando la testa se possibile ancor di più, e si girò verso di lui.
Dazai era in piedi davanti a lui. Poteva vedergli a malapena le gambe, poiché fissava insistentemente i propri piedi, timoroso di alzare lo sguardo.
<<Akutagawa-kun>> ripeté il moro.
<<Guardami in faccia quando ti parlo>> aggiunse con tono duro.
Akutagawa quasi non aveva il coraggio di guardargli le scarpe, ma si fece forza e sollevò il capo. Negli occhi di Dazai vide la solita durezza, e si impaurì ancor di più.
È normale che tu abbia paura di un altro schiaffo, si ripeteva.
È normale, ma questa volta non hai fatto nulla. Non ha motivo di picchiarti.
Il moro mosse dei passi verso di lui, fino ad arrivargli di fronte. Allungò una mano verso il suo viso, tenendo il palmo rivolto verso l'alto.
Akutagawa strizzò gli occhi di riflesso e serrò la mascella, voltandosi in modo da offrirgli la parte del viso sana.
Non farmi male, ti prego, pensò mentre tratteneva il fiato.
Non colpirmi.
Sentì i polpastrelli di Dazai posarsi delicatamente sul suo mento. Sobbalzò, ma non osò ritrarsi. Le dita del moro scivolarono dolcemente sulla guancia nascosta, quella che il giorno prima aveva colpito. Lentamente, molto lentamente, poggiò l'intera mano sul suo viso.
Akutagawa tornò a respirare. Il cuore stava per schizzargli fuori dal petto. Se prima era terrorizzato, ora era a dir poco stupito. Piacevolmente stupito.
Di solito, ogni volta che le mani di Dazai lo toccavano era per fargli male. Le nocche dure lo colpivano, lo facevano sanguinare. In quel momento, invece, le sue dita affusolate lo stavano sfiorando così gentilmente da provocargli brividi deliziosi.
Dazai lo stava accarezzando.
Ci mise un po' a realizzare la natura benevola di quel tocco, ma appena lo fece si sentì avvampare. Avvertì le ginocchia cedere per un secondo ed ebbe paura di cadere. Strizzò di più gli occhi, che già teneva chiusi da prima, e corrugò le sopracciglia, avvicinandole fra loro.
Dazai prese a disegnare cerchiolini sul suo zigomo dolorante. Akutagawa sentì la guancia formicolare e fu come se la ferita guarisse all'istante.
Una carezza. Quanto tempo era che non riceveva una carezza?
Titubante, sollevò una mano e la chiuse attorno al polso di Dazai.
Non si ricordava di averne mai avuta una. Non avrebbe scordato una sensazione così bella se prima di allora l'avesse vissuta.
Ruotò appena il capo, nascondendo metà del volto contro il palmo dell'altro. Poi annuì appena, sfregando il naso sulla sua pelle.
Dazai aveva le mani calde e un buon profumo. Era dolce e virile. Non aveva mai fatto caso a questi dettagli prima di allora. Tutto ciò che notava erano quei minimi cambiamenti nella voce o nel modo di porsi che annunciavano un imminente calcio nello stomaco o l'assegnazione di un nuovo compito.
<<Sei stato bravo, Akutagawa-kun>> disse Dazai, e per poco all'altro non prese un colpo.
Il moro portò le dita sotto alla sua mascella. Gli fece dei grattini leggeri, coccolandolo con i polpastrelli dal lobo dell'orecchio fino al mento. Akutagawa inclinò di poco la testa all'indietro. Fu un gesto istintivo, come farebbe un micio qualunque.
Poi Dazai ritrasse la mano, rimettendola in tasca. Akutagawa aveva le gambe molli e stava in piedi a malapena. Era incredibile come sopportasse meglio le botte rispetto alle coccole.
<<Non azzardarti a intenerirti solo perché ti ho fatto un complimento>>
Con la sua tipica non-chalance, Dazai se ne andò, sparendo nella direzione da cui Akutagawa era venuto.
Il ragazzo sospirò, profondamente scosso. Portò la mano sulla propria guancia, sfiorandosi con i polpastrelli. Cercò di riprodurre i movimenti di Dazai, ma le sue dita erano più fredde e più morbide e non avevano quel buonissimo odore. Lasciò cadere il braccio e tornò sui propri passi, riprendendo a salire le scale.
Poi, arrivato a metà, si bloccò e sorrise.
<<Dazai-san mi ha detto che sono stato bravo>> mormorò fra sé e sé.
Tornò a toccarsi il viso, ridacchiando contento.
<<Mi ha detto che sono stato bravo!>>
Ricominciò a salire, e per poco non prese a saltellare dalla gioia.
Decise che quella doveva essere la prima di una seria di carezze. Sarebbe diventato bravissimo, fortissimo. Avrebbe reso Dazai fiero di sé, e avrebbe avuto altre coccole.
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