🥀Undici Anni Dopo🥀(Revisionato)
Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo
felice nella miseria.
~1~
Mio zio Will era sempre stato più di un semplice secondo padre per me; definirlo così sarebbe stato come ridurne l'importanza a qualcosa di troppo limitato.
La sua presenza nella mia vita era una costante luce brillante che rischiarava anche i miei giorni più bui.
Era il faro acceso nella notte che guidava me e la mia dolce sorellina Hailey attraverso le tempeste emotive che avevamo affrontato.
Will era un uomo imponente.
La sua altezza e le sue spalle larghe gli conferivano un aspetto robusto, quasi come quello di un lottatore, ma le sue mani, grandi e nodose, sorprendevano per la loro delicatezza.
Ogni volta che mi accarezzava la testa o stringeva le mie mani tra le sue, sentivo un senso di protezione così profondo che nemmeno le paure più radicate riuscivano a sopravvivere.
I suoi occhi, di un azzurro intenso, riflettevano una saggezza conquistata a caro prezzo, mista alla fermezza di un uomo che aveva conosciuto sacrifici e lottato per ogni cosa.
Ma quei suoi occhi non erano mai solo severi; sapevano sorridere, e quando lo facevano, sembrava che il mondo intero si riempisse di calore. Erano pieni di affetto, e ogni volta che si posavano su di noi, era come se stessero dicendo: "Io ci sono, sempre."
I suoi capelli scuri, che iniziavano a incanutirsi, erano sempre ordinati, quasi a rispecchiare la disciplina e la forza interiore che lo definivano.
Mio padre, invece, era il suo opposto. Aveva scelto la strada più semplice, quella della fuga. Si era allontanato da noi, scegliendo una nuova vita accanto alla sua seconda moglie e abbandonando il mondo che aveva costruito con nostra madre.
Era un uomo di poche parole, e quelle poche erano taglienti come lame. Per lui, io e Hailey eravamo diventate solo ombre, ricordi sbiaditi di una vita che considerava insignificante.
Ma zio Will era il nostro porto sicuro, il pilastro che ci teneva in piedi quando tutto il resto sembrava crollare.
Ci ascoltava con pazienza, ci rispettava profondamente, e sapeva che il silenzio spesso parlava più di mille parole.
Quando parlava, la sua voce profonda e rassicurante era capace di dissipare ogni paura, di rendere semplice anche il più grande dei problemi.
Non era solo un mentore; era la nostra bussola, la guida che ci aiutava a navigare in un mondo troppo grande e caotico per due ragazze in cerca del loro posto.
Quando compii diciotto anni, la mia vita cambiò radicalmente. Gestire l'azienda D.B.R. al suo fianco diventò il mio lavoro a tempo pieno.
L'idea mi spaventava, all'inizio. L'azienda era una macchina complessa, un intrico di responsabilità che sembrava schiacciarmi.
Ma con il tempo, e con l'insegnamento paziente di zio Will, imparai a padroneggiare ogni aspetto, dalle strategie aziendali più intricate alle arti marziali che lui stesso mi insegnava con una disciplina ferrea.
Mi trasformai.
Divenni la sua copia, spinta da una volontà di ferro e da un unico obiettivo: dimostrare a chi non aveva creduto in me che potevo fare qualsiasi cosa.
Ogni lezione di zio Will mi insegnava che la forza non risiedeva solo nei muscoli, ma anche nella mente e nel cuore.
La tecnologia era sempre stata una mia passione. Decifrare codici, penetrare nei sistemi più sicuri, era per me come una danza.
Zio Will, consapevole di questa mia inclinazione, non solo non cercò mai di fermarmi, ma mi incoraggiò a perfezionarla.
Mi insegnò che in un mondo dominato dal digitale, saper padroneggiare la tecnologia poteva fare la differenza tra vittoria e sconfitta.
Con il suo aiuto e quello dei miei cugini, combinai le mie tre abilità: la gestione dell'azienda, le arti marziali e l'hacking.
Ogni allenamento era una sfida. Mi immergevo completamente nella pratica, lasciando che ogni pensiero e ogni emozione scivolassero via.
I miei movimenti erano precisi, come una danza ipnotica che mi liberava da ogni peso. Ma quando terminavo, tutte le emozioni represse riaffioravano, travolgendomi con una forza travolgente.
Lo zio, notando il mio alto QI, decise di spingermi oltre. Pretendeva molto, e all'inizio mi sembrava di non essere mai all'altezza.
Ma giorno dopo giorno, abituandomi alla sua routine rigida, scoprii che i miei limiti erano solo illusioni.
Mi impose persino una dieta ferrea, un sacrificio che accettai senza protestare, perché sapevo che tutto ciò che faceva era per il mio bene.
Ero diventata forte, indistruttibile. Ogni decisione che prendevo, ogni passo che muovevo, era ispirato a lui. Vivevo seguendo i suoi insegnamenti, ogni sua parola impressa nella mia mente come un sigillo.
La suoneria del mio telefono ruppe l'incantesimo. "Ehi tesoro. Come stai?" La voce di mia madre era calda, confortante, ma con un lieve tono di preoccupazione che non mi sfuggiva.
Mia madre era una donna dai lineamenti gentili, con capelli castani che si stavano tingendo di argento.
I suoi occhi brillavano sempre di un calore che sapeva trasformare ogni conversazione in un abbraccio.
Era alta e slanciata, i suoi movimenti eleganti riflettevano la passione giovanile per la danza, una passione che aveva trasmesso anche a me e a Hailey.
"Ciao mamma, sto lavorando. Ti va bene se ci sentiamo tra poco?" risposi, cercando di rimandare la conversazione. Sentivo una lieve tensione nella mia voce, come una corda troppo tesa.
"Ok, come vuoi tu. Tieniti libera per stasera, però. Io e tua sorella vorremmo che venissi a cena." Il suo tono era insistente, come solo lei sapeva fare.
Sapevo che non avrebbe accettato un no come risposta. Nonostante il mio tentativo di rimandare, accettai.
Eppure, sentivo un sottile senso di irritazione. Mi alzai dalla sedia, dirigendomi verso il bagno.
Aprii l'acqua della doccia e lasciai che il getto caldo mi avvolgesse. Era il mio rifugio, il luogo dove ogni peso sembrava scivolare via insieme alle gocce d'acqua.
Chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dalla sensazione di leggerezza, consapevole che presto sarebbe arrivato il momento di affrontare tutto il resto.
Dopo una doccia rigenerante, mi vestii e mi preparai per il pranzo.
Scendendo in salotto, trovai i miei cugini immersi nel loro mondo, intenti a giocare alla PlayStation.
Alessio, con i capelli spettinati e lo sguardo brillante, era completamente assorto nel gioco, mentre Fabio, più giovane e con un viso paffuto che tradiva la sua innocenza, urlava istruzioni al fratello maggiore.
"Ragazzi, sapete dov'è lo zio?" chiesi, cercando di non disturbare troppo.
"Sarà in studio," rispose Alessio, lanciandomi un'occhiata fugace mentre si concentrava sulla console.
"Perché?" aggiunse curioso, voltandosi parzialmente verso di me con un sopracciglio inarcato.
"Nulla di che, devo chiedergli una cosa importante," risposi con un filo di voce, cercando di non sembrare sospetta.
Con passi leggeri, mi avviai verso lo studio di mio zio. La porta era socchiusa, e un filo di luce filtrava dalla fessura, illuminando debolmente il corridoio.
Aprii lentamente, cercando di non fare alcun rumore, e quello che vidi mi colse di sorpresa.
Seduto alla sua imponente scrivania, mio zio Will conversava con qualcuno che riconobbi subito: Damon.
Lo studio era un luogo che incuteva sempre un certo rispetto. Le pareti erano ricoperte di librerie colme di volumi rilegati in pelle, e l'odore del bourbon si mescolava al legno antico dei mobili.
"Oh. Allison, ti serve qualcosa, tesoro?" chiese Will con la solita calma, sistemando meglio il bicchiere di cristallo che teneva in mano.
"Nulla, volevo solo avvisarti che stavo per uscire," risposi con un sorriso appena accennato, alzando il pollice verso la porta dietro di me. Mi grattai il sopracciglio, un gesto nervoso che tradiva il mio disagio.
"Vedo che ho disturbato qualcosa di importante. Ciao, Damon," continuai, il tono delle mie parole mutato in uno più serio, quasi a voler mascherare il mio imbarazzo.
Damon si alzò rapidamente dalla poltrona di pelle scura e mi raggiunse. I suoi movimenti erano sempre decisi, fluidi.
Era un uomo imponente, con una figura scolpita che sembrava appartenere a una statua greca. I suoi capelli scuri, leggermente spettinati, incorniciavano un viso dai tratti scolpiti. Gli occhi, un blu intenso, mi fissavano con un misto di calore e preoccupazione.
"Principessa," disse con dolcezza, tirandomi delicatamente per il polso per stringermi in un abbraccio caloroso.
Dietro di lui, mio zio si alzò dalla sedia con lentezza, cercando di mascherare il disagio. Il suo viso, scavato dagli anni e dalle responsabilità, mostrava segni di stanchezza che nemmeno il suo impeccabile completo grigio scuro riusciva a nascondere.
Con un gesto meccanico, prese la bottiglia di bourbon dalla libreria e si servì un altro bicchiere, come per darsi forza.
"Prima che tu esca, c'è una cosa di cui vorrei parlarti," disse Will con un tono fermo e solenne.
Qualcosa nel suo sguardo mi mise in allerta. Preoccupata, mi avvicinai alla sua scrivania e mi sedetti sulla poltrona di fronte. Damon, invece, rimase al mio fianco, la sua presenza solida e protettiva come sempre.
"Che succede?" chiesi con voce incerta, nascondendo a fatica la mia ansia.
Will si schiarì la voce, e un'ombra di esitazione attraversò il suo viso. "In questo momento la situazione è precaria, e le nostre alleanze sono deboli," iniziò, il tono grave che faceva eco nella stanza.
"Ci sono delle questioni che dobbiamo affrontare, e... per questo, la mafia italiana e quella russa si uniranno."
Le sue parole erano un colpo inaspettato. Rimasi immobile, mentre la sua voce risuonava ancora nella mia mente.
"E per farlo," continuò, "ti sposerai con Damon."
Il mondo sembrò fermarsi. Quelle parole riecheggiarono nella mia mente come un tuono in una notte silenziosa.
"Quello che stai dicendo è assurdo," sibilai, cercando di mantenere la calma. "Non ho alcuna intenzione di sposare Damon."
Lo sguardo di mio zio si fece più intenso, ma nei suoi occhi brillava una scintilla di dispiacere che raramente lasciava trapelare. Era un uomo pragmatico, abituato a prendere decisioni difficili, ma in quel momento sembrava quasi vulnerabile.
"Darling, capisco che sia difficile da accettare," disse con voce pacata, le mani che stringevano il bicchiere come a cercare un'ancora. "Ma la nostra famiglia conta su di te. Sei una pedina importante in questa partita."
Il suo tentativo di giustificare la situazione non fece altro che aumentare la mia rabbia. Mi sentivo come una marionetta, manipolata per il bene di un gioco che non avevo scelto di giocare.
Con un respiro profondo, cercai di trovare una via di fuga. "Per favore, dammi un po' di tempo per riflettere," dissi, alzandomi dalla poltrona.
Ma mentre mi voltavo, le parole uscirono dalla mia bocca prima che potessi fermarle: "Anzi, dov'è il contratto?"
Lo zio Will mi guardò con sorpresa. Con un gesto lento, prese un foglio dalla scrivania e lo posò davanti a me.
La stanza sembrava avvolta in una bolla di silenzio, mentre i miei occhi si posarono sul documento.
Presi la penna e, con una mano tremante ma decisa, apposi la mia firma in fondo al contratto.
"Bene," dissi freddamente, il tono della mia voce privo di emozioni. "Adesso può firmare anche lui, e saremo a posto."
Rivolsi lo sguardo a Damon, che mi osservava con occhi pieni di incredulità e dispiacere. Il suo silenzio era assordante, ma il suo sguardo diceva tutto.
Non era solo un uomo forte e sicuro di sé; era anche vulnerabile, e il peso di quella decisione si rifletteva in ogni linea del suo viso.
Nonostante tutto, la sua presenza era una costante, una luce tenue in mezzo all'oscurità. Eppure, io mi sentivo persa, intrappolata in un labirinto di scelte impossibili.
"Devo andare adesso," dissi infine, la voce spezzata.
E senza aspettare una risposta, lasciai la stanza, portandomi dietro il peso di quel momento, consapevole che nulla sarebbe più stato come prima.
Finalmente arrivai a casa, sfinita e col cuore pesante, e sussurrai a mia madre una rapida scusa per il ritardo.
Promisi che le avrei spiegato tutto più tardi, mentre il calore della familiarità della nostra casa mi avvolgeva, un conforto che non riusciva comunque a dissolvere il tumulto dentro di me.
Dal salotto, le grida eccitate di mia sorella Hailey mi attirarono come un richiamo irresistibile. Mi diressi verso di lei con passi incerti.
Era seduta sul divano, le gambe incrociate e il laptop appoggiato sulle ginocchia. I suoi capelli castani e ondulati, eredità di nostra madre, incorniciavano un viso luminoso, con occhi del medesimo colore, brillanti di entusiasmo, quasi elettrizzanti.
"Vieni qui, guarda cosa ho appena trovato su alcuni siti di gossip," disse Hailey, con la voce vibrante di un fervore che non riuscivo a decifrare.
Mi avvicinai lentamente, il cuore che batteva forte nel petto. "E cosa hai trovato?" domandai, cercando di sembrare più rilassata di quanto fossi.
Hailey indicò il posto accanto a lei, invitandomi a sedermi. Sistemò il laptop in modo che potessi vedere lo schermo con facilità. Sulle sue labbra sottili si disegnò un sorriso malizioso mentre mi mostrava una foto che mi lasciò senza parole.
Nell'immagine, nostro padre stava sorridendo accanto a una donna che incarnava l'idea di perfezione estetica.
Lisa Mills, una famosa modella dell'azienda Rosemary High Tower, aveva lunghi capelli rossi che ricadevano sulle spalle come seta, occhi color verde intensi e una figura scolpita che sembrava uscita direttamente dalle pagine di una rivista patinata.
Ogni dettaglio della sua immagine gridava lusso e raffinatezza.
"La compagna di papà è davvero..." iniziai, ma mi fermai quando mia madre, appoggiandosi al bracciolo del divano, intervenne.
"Così bella?" chiese, il tono carico di un'amarezza che mi ferì più di quanto volessi ammettere.
Esitai, cercando di rimediare. "No, intendevo... non volevo dire quello." Mi sforzai di sorridere, tentando di confortarla. "Sai che tu sei molto più bella di lei, vero?"
Ma Hailey non perse l'occasione di intervenire con un commento sarcastico. "Sì, ma la nuova fidanzata di papà sembra una bambola," disse ridendo, con quella spavalderia tipica dei suoi quindici anni.
Le sue parole mi provocarono un senso di nausea. L'idea che nostro padre ci avesse lasciate per stare con una donna come Lisa Mills era un pensiero che mi faceva ribollire il sangue.
Mia madre, intanto, si sedette sulla poltrona di fronte a noi, con un'espressione indecifrabile, e si accarezzò nervosamente i capelli castani, ormai striati di grigio, che aveva sempre tenuto impeccabilmente ordinati.
"C'è una cosa molto importante che devo dirvi," annunciò infine, con un tono di voce serio che mi fece drizzare le antenne. La sua postura, normalmente composta, sembrava irrigidita, e gli occhi marroni, gli stessi che aveva ereditato Hailey, erano carichi di preoccupazione.
"Allora?" chiese Hailey, rompendo il silenzio con impazienza.
Mia madre abbassò lo sguardo, come se trovare il coraggio per parlare fosse un peso insostenibile. "Vostro padre vuole che andiate a vivere con lui per il prossimo semestre," disse infine.
Il mondo sembrò fermarsi per un istante. Il mio cuore si fermò, e una rabbia feroce esplose dentro di me come un incendio incontrollabile. "Cosa?!" urlai, alzandomi di scatto dal divano.
"Perché dovremmo andare da lui?" domandai, la voce tremante di incredulità e furia. Hailey si girò verso mia madre, anche lei visibilmente scioccata.
Mamma cercò di mantenere la calma, ma il tremolio nelle sue mani la tradiva. "Vuole ricucire il rapporto con voi. Dice che siete le sue uniche figlie."
"Dopo undici fottuti anni vuole ricucire il nostro rapporto?!" ribattei, la mia voce carica di sarcasmo velenoso.
I ricordi del passato mi colpirono come pugni allo stomaco: le litigate furiose, le lacrime di mia madre, l'abbandono improvviso.
Mentre mia sorella cercava di calmarmi, tirandomi per un braccio, io la respinsi, incapace di contenere la furia. "Non può sparire per undici anni e poi pretendere di rientrare nelle nostre vite come se nulla fosse!" gridai, le lacrime che mi rigavano il viso.
Hailey, nonostante la mia rabbia, riuscì a farmi sedere di nuovo. La sua espressione, così simile alla mia, tradiva una forza che spesso sottovalutavo. "Se è quello che vuoi, mamma, lo faremo. Ma solo per te," disse con un tono pacato, che non faceva altro che aumentare la mia frustrazione.
Mia madre si avvicinò, cercando di abbracciarmi, ma io mi allontanai d'istinto. La stanza sprofondò in un silenzio teso, rotto solo dai respiri irregolari di tutti noi.
"Per che ora?" domandai infine, la voce ridotta a un sussurro carico di dolore e rassegnazione.
"Per le dieci," rispose lei, quasi con un filo di voce. I suoi occhi erano pieni di lacrime trattenute a stento, e il suo volto mostrava la stanchezza di una vita troppo dura.
Inspirai profondamente, cercando di reprimere l'ansia crescente, e dichiarai, quasi senza pensare: "Mi sposerò."
L'atmosfera cambiò immediatamente. Mia madre sbiancò, mentre Hailey spalancò gli occhi, incredula.
"Stai scherzando, vero?" balbettò mia madre, mentre Hailey, al contrario, sembrava più eccitata che scioccata.
"Damon," risposi freddamente. "Damon Anderson."
Mia madre portò una mano alla bocca, mentre Hailey mi guardava con un misto di curiosità e sorpresa. "Ma Allison... hai solo diciotto anni," sussurrò mamma, con voce incrinata.
"Non sta a voi decidere se l'amore c'è o meno," replicai, il mio tono tagliente come una lama. Sapevo che nulla sarebbe stato più come prima.
Attraversai la soglia di casa con passi pesanti, lasciandomi alle spalle l'aria fredda del mattino. Il salotto si aprì davanti a me in tutta la sua maestosità, come un quadro che si rivelava strato dopo strato.
Era una stanza imponente, dove ogni dettaglio sembrava gridare la grandezza e l'austerità della famiglia.
Il pavimento in parquet scuro rifletteva debolmente la luce filtrata dai tendaggi pesanti, i cui intricati ricami sembravano raccontare storie dimenticate.
Le pareti erano adornate da ritratti di antenati: visi severi, con occhi che parevano seguire ogni mio movimento. Quelle figure dipinte trasudavano autorità, come a ricordarmi che il peso della loro eredità gravava su di me.
Al centro della stanza, intorno a un tavolo di mogano scuro lucidato a specchio, sedevano mio zio e i miei cugini.
Il mio sguardo si soffermò subito su mio zio, un uomo dalla presenza imponente. I suoi capelli grigi, ordinatamente tagliati, incorniciavano un viso scolpito dal tempo e dalle responsabilità.
La mascella squadrata e gli zigomi alti conferivano un'aura autoritaria, mentre i suoi occhi azzurri, profondi e penetranti, brillavano di una saggezza che incuteva rispetto.
Ogni movimento delle sue mani, dalle dita lunghe e nodose, tradiva un controllo innato, come se nulla potesse sfuggire alla sua influenza.
Accanto a lui sedeva Damon, il mio migliore amico e, ironia della sorte, il mio futuro marito. Damon era un enigma vivente: il volto simmetrico, dalla mascella decisa, sembrava scolpito nel marmo, e i suoi occhi azzurri come il ghiaccio non tradivano alcuna emozione.
I capelli scuri, perfettamente pettinati all'indietro, incorniciavano un'espressione che oscillava tra il distacco e la sfida.
Il fisico atletico, nascosto sotto un completo scuro, suggeriva una forza trattenuta, pronta a scattare al minimo segnale.
Mi fissava con una calma glaciale, come se il mondo attorno a noi fosse irrilevante.
A completare il quadro c'erano Alessio e Mattheo, i miei cugini. Alessio, il più giovane, aveva un volto dai tratti morbidi, con occhi marroni pieni di calore e capelli castani che cadevano in morbide onde sulla fronte.
C'era qualcosa di rassicurante nella sua presenza, un'energia gentile che contrastava con l'ambiente severo della stanza.
Mattheo, invece, era più alto e robusto, con lineamenti marcati e uno sguardo attento, quasi protettivo. I suoi capelli scuri e corti mettevano in risalto il volto serio, mentre le sopracciglia leggermente aggrottate tradivano una costante preoccupazione.
Mi avvicinai al tavolo, il suono dei miei passi attutito dal tappeto persiano che dominava il centro della stanza. "Ancora qui, vedo," dissi con un sorriso ironico rivolto a Damon.
Il tono sarcastico nascondeva il miscuglio di emozioni che la sua presenza evocava in me. Il suo sguardo si sollevò appena per incontrare il mio, e per un momento mi sentii nuda sotto il peso di quegli occhi freddi e indagatori.
"Dovevo discutere alcune cose con tuo zio, oltre al nostro matrimonio," replicò con una voce calma, quasi monotona, che sembrava celare qualcosa di più profondo. Non distolse lo sguardo, e per un attimo ebbi la sensazione che potesse vedere dentro di me, leggere i miei pensieri più intimi.
"Non c'è fretta," ribattei, incrociando le braccia sul petto e tentando di mantenere un'aria indifferente. Ma la tensione nell'aria era palpabile, e sentii il bisogno di distogliere lo sguardo.
Mio zio interruppe il nostro scambio, come un giudice che richiama all'ordine. La sua voce profonda risuonò nella stanza, autoritaria e inconfondibile.
"Darling, come sta tua madre?" chiese, inclinando leggermente il capo e fissandomi con quegli occhi scrutatori che sembravano capaci di cogliere ogni minima esitazione.
"Bene," risposi, cercando di mantenere un tono neutro. "Solo che questa mattina mio padre l'ha chiamata." Non potei evitare un sospiro, sentendo di nuovo il peso di quella telefonata che aveva sconvolto l'equilibrio della nostra giornata.
"E cosa voleva?" Il tono di mio zio si fece più grave, mentre le sue dita tamburellavano ritmicamente sul bracciolo della poltrona. Era un gesto piccolo, quasi impercettibile, ma rivelava tutta la sua irritazione.
"Vuole che io e mia sorella andiamo da lui," ammisi, il nodo in gola che si stringeva sempre di più. Sentii gli occhi di tutti puntati su di me, ognuno con la propria reazione: la calma empatica di Alessio, la preoccupazione di Mattheo, e l'indifferenza studiata di Damon.
"A vivere?" Mio zio inclinò la testa, i suoi occhi scuri ora pieni di una severità che mi fece rabbrividire.
Annuii, incapace di trovare le parole per spiegare il tumulto di emozioni dentro di me. La stanza sembrava restringersi, l'aria diventava più densa, come se ogni respiro fosse una lotta.
"E tu sei d'accordo?" intervenne Mattheo, il tono serio e quasi accusatorio. I suoi occhi si posarono su di me, carichi di una preoccupazione sincera.
"Non voglio che mia sorella lo affronti da sola," risposi con determinazione, incrociando le braccia come a voler proteggere me stessa da quel giudizio implicito.
Damon rimase in silenzio, ma i suoi occhi non si staccarono dai miei per un istante. Sentii il suo sguardo pesarmi, come se stesse valutando ogni mia parola, ogni mia esitazione.
Il silenzio che seguì fu rotto da Alessio, la sua voce calma e gentile come sempre. "Se hai bisogno di aiuto, lo sai che puoi contare su di noi, vero?" disse, e il calore nel suo tono fu un balsamo per i miei nervi tesi.
"Grazie," mormorai, concedendogli un mezzo sorriso. Ma dentro di me, sapevo che quella era una battaglia che avrei dovuto combattere da sola.
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