🥀Ricerca🥀

Non avrò pace,

mai.

~22~

Ashley premette il tasto Play, e l'immagine sullo schermo prese vita lentamente, come se ogni pixel cercasse di ricostruire un ricordo ormai distante.

Rimanemmo a guardare in un silenzio quasi religioso, con i respiri trattenuti, consapevoli che qualsiasi suono avrebbe potuto frantumare la fragile realtà che stava per rivelarsi davanti ai nostri occhi.

Poco dopo, vidi mia sorella uscire dalla classe.

Indossava un paio di jeans neri che le aderivano alle gambe, mettendo in risalto la sua figura snella, e una maglietta lunga, bianca, con un logo di un serpente stampato sulla schiena.

Quel simbolo sinistro sembrava avvolgersi intorno a lei, come a volerla proteggere o forse, in modo inquietante, a imprigionarla.

I suoi capelli castani, solitamente sciolti e fluenti, erano raccolti in una coda di cavallo disordinata, una scelta che tradiva una certa fretta o, forse, un desiderio di nascondere la propria vulnerabilità.

Il suo viso, incorniciato da ciocche sfuggenti, era segnato da una tensione evidente, come se un peso invisibile le gravasse sulle spalle delicate, piegandole leggermente in avanti.

"Vai sulla telecamera quattro," indicò Damon, il cui volto, solitamente sereno e sicuro, appariva ora teso, come se ogni muscolo fosse sul punto di cedere sotto la pressione della preoccupazione.

I suoi occhi, normalmente vivaci, erano scrutatori e cupi, riflettendo un'ansia crescente.

Con un movimento esperto e meccanico, come se l'esperienza avesse preso il controllo del suo corpo, Damon premette alcuni tasti, e individuammo mia sorella nel filmato della telecamera che sorvegliava il novantacinque per cento dell'area comune. 

La vedemmo dirigersi verso il bagno, la sua camminata un misto di esitazione e urgenza, come se una forza interna la spingesse avanti contro la sua volontà.

"Vai sulla telecamera cinque," ordinai, sentendo il mio stesso tono oscillare tra la determinazione e il terrore.

Quando l'immagine del bagno apparve sullo schermo, mia sorella sembrava avvolta in un alone di pensieri profondi.

Si osservava allo specchio, ma il suo sguardo non era rivolto al suo riflesso; sembrava piuttosto cercare qualcosa oltre il vetro, qualcosa di inafferrabile.

Le sue mani, appoggiate sul bordo del lavabo, tremavano leggermente, come se volesse sciacquare via non solo lo sporco, ma anche le preoccupazioni che lo assillavano.

Il suo viso, contratto in un'espressione di ansia, raccontava una storia di tormento silenzioso.

Dopo un minuto interminabile, iniziò a lavarsi le mani con una frenesia quasi maniacale, come se l'acqua potesse purificare la sua mente da pensieri oscuri, per poi uscire dal bagno, lasciando dietro di sé solo un'ombra di inquietudine.

Tornata in classe, si sedette nel suo posto abituale, la schiena dritta e rigida, come se cercasse di mantenere una parvenza di normalità.

La lezione proseguì, ma io non potei fare a meno di notare un cambiamento sottile in lei, tirò fuori il cellulare e iniziò a chattare, un gesto che non le apparteneva, almeno non durante le ore di scuola.

La sua espressione, dapprima concentrata, si trasformò in un'espressione di pallore improvviso.

Si voltò verso la finestra, e in quel preciso istante, il colore lasciò il suo volto, come se avesse visto un fantasma, un presagio di qualcosa di terribile.

Poi alzò la mano, la sua voce tremante mentre chiedeva alla professoressa di poter uscire.

Alle 11:44, mia sorella lasciò la classe, e io sentii un gelo scivolarmi lungo la schiena.

"Segnate l'ora... 11:44," dissi, il mio cuore martellava nel petto con un ritmo sempre più frenetico, una marcia forzata verso l'ignoto.
"Vai di nuovo alla telecamera quattro," comandai, cercando di mantenere il controllo mentre la mia mente si riempiva di pensieri cupi.

Mia sorella camminava nel corridoio, e ogni passo sembrava avvicinarla a un destino incerto.

Osservai con attenzione maniacale i dintorni, cercando un segno, un indizio, qualsiasi cosa che potesse suggerire un cambiamento imminente.

La mia sensazione di assistere agli ultimi momenti di normalità della sua vita si intensificò, e il mio stomaco si contrasse in una morsa di angoscia.

Non potevo, non volevo accettare l'idea che mia sorella fosse in pericolo imminente.

Non era possibile, non doveva esserlo.

Sapevo che da quel momento in poi, nulla sarebbe stato più lo stesso per lei. Non avrebbe mai più visto il mondo con la stessa innocenza, con la stessa leggerezza.

Mia sorella si avviò verso l'uscita con passo incerto, e il mio cuore sprofondò. "Passa alla telecamera esterna," esclamai, già consapevole di cosa avrei visto, ma sperando disperatamente di sbagliarmi.

"Ah, che cavolo! Lui è sotto la telecamera, e l'obiettivo punta verso il vialetto," esclamò Mike, la frustrazione evidente nella sua voce, una nota di impotenza che lo attraversava.

L'obiettivo, però, non puntava verso il sentiero alberato, dove mi aspettavo di vedere qualcosa, ma si limitava a seguire un percorso privo di risposte.

"Metti in pausa e torna indietro, solo di un paio di fotogrammi," ordinai con un tono che nascondeva a stento la mia crescente angoscia, sperando che il tempo potesse offrirci una qualche forma di chiarimento.

Ashley obbedì e tornammo indietro di pochi fotogrammi, fino a quando l'immagine di Hailey, mia sorella, apparve di nuovo sullo schermo.

Alzava la testa, preoccupata, e iniziava a guardarsi intorno con occhi spalancati, quasi febbrili.

Estrasse il cellulare, iniziando a chattare con mani tremanti, e poi, di punto in bianco, lo rimise nella tasca posteriore dei jeans, scrocchiandosi le dita come se volesse scacciare un pensiero fastidioso, un riflesso involontario di un'anima tormentata.

Il mio sguardo, però, si posò su un dettaglio che fino a quel momento mi era sfuggito.

Dietro le spalle di mia sorella, nell'ombra, intravidi una sagoma, una figura inquietante che sembrava fuori posto in quella scena.

Un uomo mascherato, vestito di nero, il cui volto era coperto da una maschera inquietante, come un'entità oscura emersa dai nostri peggiori incubi.

D'un tratto, l'uomo alzò la testa, e i suoi occhi senza vita sembravano fissare direttamente la telecamera, come se sapesse che lo stavamo osservando, come se fosse consapevole della nostra impotenza.

Mi bloccai, il respiro tagliato a metà, gli occhi fissi sullo schermo, incapace di distoglierli.

Il battito del mio cuore accelerò, martellando nelle orecchie come un tamburo impazzito.

La mia mente era un turbinio di panico e determinazione, mentre il futuro di mia sorella sembrava appeso a un filo sottile, sul punto di spezzarsi.

E io, impotente, potevo solo osservare, sperando che quel filo non cedesse sotto il peso del terrore.

All'improvviso, il mio telefono squillò, interrompendo il silenzio teso che avvolgeva la stanza.

La suoneria, un rumore improvviso e stridente, sembrava quasi tagliare l'aria come una lama affilata.

Sgranai gli occhi verso lo schermo e vidi il nome di Chris lampeggiare, incorniciato dal bagliore freddo del display.

Il mio cuore accelerò di un battito mentre risposi con un gesto rapido, quasi istintivo, sentendo la preoccupazione attanagliarmi con la stessa intensità di una morsa di ghiaccio.
«Cosa avete trovato?» chiese Chris, la sua voce tesa e impaziente rifletté l'urgenza che sapevo dipingersi sul suo volto in quel momento.

Anche se non potevo vederlo, immaginai chiaramente la sua espressione, le labbra sottili, serrate in una linea dura, mentre le sopracciglia si aggrottavano, creando pieghe profonde sulla fronte, simili a solchi scavati dal tempo.

Chris, alto e robusto, con una barba scura che gli copriva il mento e gli occhi azzurri come il ghiaccio, era un uomo solitamente impassibile, ma in quei toni affrettati si poteva percepire il suo turbamento, come se la sua voce fosse il riflesso delle nuvole scure che si addensavano all'orizzonte.

"Abbiamo trovato qualcosa di molto importante," risposi, e mi resi conto di quanto la mia voce tremasse, tradendo il tumulto interiore che mi stava divorando.

Ogni parola usciva dalle mie labbra come un masso pesante, gravato dal peso dell'incertezza e della paura.

Sentii una fitta nel petto, simile a quella di un pugno che ti lascia senza fiato.

Era come se la consapevolezza di ciò che avevamo scoperto mi stesse schiacciando, un peso opprimente che mi teneva ancorata al suolo.

"Allora venite!" replicò Chris, e l'impazienza nella sua voce era palpabile, quasi come se potessi sentire l'elettricità che sprigionava dalla sua frustrazione. "Non restate lì impalati a non fare niente e aspettare che le cose si risolvano."

Quelle parole mi colpirono come una frustata.

Sentii una fiamma di colpa accendersi dentro di me, bruciando con intensità, come se fossi stata colta in flagrante in un crimine.

Chris non era mai stato uno da girarci intorno, e quel richiamo all'azione mi fece sentire come se fossi rimasta indietro, persa in una tempesta senza riparo.

"Va bene, va bene," dissi, cercando disperatamente di trovare una calma che mi sembrava sfuggente come sabbia tra le dita.

Tentai di infondere una fermezza nella mia voce, ma non potei fare a meno di percepire la nota di ansia che si nascondeva sotto la superficie. "Arriviamo! Stai tranquillo."

Chiusi la chiamata con un clic deciso, ma il suono riecheggiò nelle mie orecchie come il colpo di una porta che si chiude su un futuro incerto.

Rimasi immobile per un attimo, sentendo il peso delle scelte che ci attendevano gravare su di me come un mantello di piombo.

Le incertezze e le paure si agitavano nella mia mente come onde tumultuose, pronte a travolgermi.

Con un respiro profondo, mi alzai lentamente.

Ogni movimento sembrava richiedere uno sforzo immenso, come se fossi incatenata da un peso invisibile.

Quando mi girai verso i miei amici, il mio volto era segnato da una determinazione feroce, ma anche dalla paura che cresceva dentro di me, come una fiamma che non riuscivo a spegnere.

I loro sguardi riflettevano le stesse emozioni che mi tormentavano, occhi spalancati dal terrore, respiri irregolari e mani tremanti, in attesa di un segnale per agire.

C'era Ashley, con i suoi lunghi capelli biondi che le ricadevano sulle spalle, e gli occhi azzurri che normalmente brillavano di vivacità, ma che ora erano offuscati dalla preoccupazione.

Mike, il più alto del gruppo, con il viso angoloso e la mascella tesa, sembrava una statua pronta a scattare, i pugni chiusi come a voler prendere a pugni il destino.

E poi c'era Damon, con il suo sguardo profondo e la postura eretta, i capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte.

Anche lui, solitamente calmo e risoluto, aveva una tensione nelle spalle che non poteva nascondere.

Il senso di urgenza si fece strada tra noi come una corrente d'aria fredda, una forza invisibile che ci spingeva verso il prossimo passo, verso l'ignoto che ci attendeva.

Gettai un ultimo sguardo al monitor, dove l'immagine di mia sorella continuava a tormentarmi, e mi preparai ad affrontare ciò che sapevo sarebbe stato un cammino arduo.

Ogni battito del mio cuore risuonava come un tamburo di guerra, mentre il futuro si stendeva davanti a noi, avvolto nel mistero e nell'incertezza.

Avremmo dovuto percorrere quella strada con il coraggio che solo la disperazione può dare, sperando che alla fine, ci fosse ancora una luce che potesse guidarci fuori dall'oscurità.

Di botto, Damon mi si avvicinò, i suoi occhi profondi e scuri colmi di una determinazione ferma e rassicurante.

Mi posò una mano sulla spalla, la sua voce, calda e avvolgente, cercava di trasmettere coraggio, ma non riuscì a nascondere l'ansia che vibrava nel timbro.

Il suo tocco era come una coperta di lana grezza, confortevole ma non completamente capace di dissipare il freddo dell'angoscia.

"Ce la faremo. Ok!? Tranquilla."

"Facile a dirsi e non a farsi," risposi, la mia voce tremante tradì il tumulto interno.

Ogni parola sembrava pesare come un macigno, schiacciando il mio petto con una forza opprimente.

"Ma secondo te come faccio ad aspettare se mia sorella, MIA SORELLA, è lì a essere torturata da uno psicopatico mascherato?! Che per lo più non riusciamo nemmeno a trovare e..." Il mio tono si alzò, stridendo come un grido disperato nel buio. "Tu mi dici di stare tranquilla?! Secondo te stare tranquilli in una situazione del genere potrebbe risolvere qualcosa?!"

Il mio urlo si dissolse in un silenzio pesante, denso di emozioni non dette.

Poi mi pentii subito, riconoscendo che la sua intenzione era solo di confortarmi, e che non aveva torto.

I suoi occhi, fissi su di me, erano come specchi che riflettevano il dolore e la preoccupazione.
"Lo so che è una situazione difficile. Ti comprendo a pieno, principessa," intervenne il mio ragazzo, avvolgendomi in un abbraccio protettivo.

Il suo calore fu un conforto, anche se non riuscì a dissipare completamente il gelo della paura che mi avvolgeva come una nebbia gelida.

"Avete ragione entrambi," dissi, con la voce che si fece più calma mentre mi sforzavo di tenere a bada l'ansia.

"Però secondo me dovresti stare un po' più tranquilla, Ally, perché avere troppa ansia poi ti esaurisce troppo. E... rischi di ammalarti," aggiunse Ashley con cautela, il suo volto, segnato dalla preoccupazione, rifletteva una gentilezza sincera.

Il suo tono dolce fu come un balsamo su una ferita aperta, alleviando temporaneamente il dolore.

"Già... e noi non abbiamo bisogno di te stanca e sfinita. Abbiamo bisogno di qualcuno che riesca a usare il cervello come si deve. E che sia forte e coraggiosa per riuscire a salvare sua sorella," intervenne Mike, cercando di alleviare la tensione con il suo abituale entusiasmo.

La sua allegria, in mezzo a tutto questo caos, sembrava quasi una luce brillante in un mare tempestoso, sebbene forzata e fuori luogo.

Ormai avevo smesso di chiedermi come facesse a essere felice, smagliante e sempre allegro anche in situazioni del genere.

Ma in fondo volevo un gran bene a tutti e cinque. Erano la mia seconda famiglia, i miei compagni di battaglia nella tempesta.

"Lo so, avete ragione. Ma più ci penso, più non riesco a stare calma," dissi, porgendo a tutti un sorriso stanco ma sincero.

Ogni piega delle mie labbra era un tentativo di nascondere il tumulto interno, come una maschera che non riusciva a coprire completamente la mia ansia.

"Che cosa ti hanno detto quei due?" mi chiese Ashley, il suo volto rifletteva la stessa preoccupazione che mi attanagliava, come un'ombra persistente.

"Hanno semplicemente detto che... avevano trovato qualcosa di molto importante. Non so di cosa si trattasse di preciso."

"Va bene, allora io andai a prendere delle brioches e un caffè per tutti quanti. Va bene?" propose Damon con un sorriso gentile.

Mi diede un bacio sulla fronte, il suo gesto delicato era come una carezza nella tempesta, e io gli feci un cenno, mentre lui si dirigeva verso l'uscita, mettendosi la giacca con un movimento deciso e familiare.

Vidi Mike dirigersi in salotto e lanciarsi sul divano, i suoi movimenti stanchi e rilassati erano un contrasto netto con l'atmosfera tesa.

"Ah, che stanchezza. Ma dovevano rapirla proprio adesso?" lamentò, con un tono che cercava di mascherare la sua inquietudine con umorismo. "Non ho capito. Cioè, scusate eh, non si può neanche riposare un po'?"

"Ok, mi rimangio tutto! Lo odio," pensai, osservando la sua spensieratezza in mezzo a questo caos.

"Io eviterei di parlare così, hai già visto Allison arrabbiata. Non penso che la vorresti rivedere un'altra volta incazzata nera, ti potrebbe anche uccidere in un solo secondo," avvertì Ashley, con un tono di avvertimento che fu quasi comico, data la situazione.

"Io pensai che..." intervenne Mike, cercando di mantenere il più possibile un'espressione seria.

Ma lo interruppi alzando una mano, voltandomi nella sua direzione con uno sguardo deciso, come una sentenza inesorabile. "Mhm. Sarebbe molto facile e indolore ucciderlo con un colpo di pistola. Preferisco torturarlo, impiccarlo e successivamente tagliarlo a fettine per poi darlo in pasto alla mia tigre."

Il mio sguardo era carico di una determinazione diabolica mentre osservavo il mio amico, che mi guardava con gli occhi spalancati, colto di sorpresa dalla mia immaginazione violenta.

"Potresti usare anche il lanciafiamme," intervenne Ashley, iniziando a ridere a crepapelle dopo aver visto l'espressione sconvolta del nostro amico. La sua risata, sebbene fuori luogo, fu un piccolo sollievo in mezzo alla tensione.

"Naturalmente! Che splendida idea," aggiunsi con un sorriso che cercava di alleggerire la situazione.

"Brutta bastarda! Potevi evitarlo!" urlò Mike, disperandosi, il suo volto contorto in una miscela di shock e indignazione.

"Guarda che hai iniziato tu, eh," rispose Ashley con un tono provocatorio, il suo sorriso birichino non nascondeva la soddisfazione per il caos creato.

"Smettetela di battibeccare! Avete rotto il cazzo, lo sapete?!" intervenni stizzita, la mia voce era come un colpo di frusta che zittiva entrambi, mentre cercavo di recuperare la concentrazione necessaria per affrontare la situazione.

Non avevo più la forza di oppormi, non riuscivo nemmeno a muovermi. Restai lì, ferma e immobile, in attesa angosciosa del prossimo passo del mio rapitore.

Sentii il rumore dello sportello che si apriva, e un nodo in gola mi serrò ancora di più. Non osai fare un solo suono, non osai proferire parola.

La paura aveva preso il sopravvento, schiacciandomi sotto il suo peso.

◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇

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