in quale oceano in quale notte

nei media: be quiet and drive by deftones











C'è qualcosa di strano in lui. Qualcosa di sbagliato, di rotto. Come le ammaccature sui giocattoli difettosi o le crepe sui vasi di terracotta sballottati qua e là durante il trasporto. Quelli che una volta tirati fuori dal pacco sono soltanto da buttare. Quelli che neanche il miglior kintsugi riuscirebbe a sanare, perché soltanto a guardarli fanno tristezza, fanno incompletezza, e dentro casa stonano come uno strumento vecchio e scordato dentro un'orchestra di armonie.

Il corpo di Jeongguk è ricoperto di crepe, la sua anima è costellata di ammaccature.

C'è qualcosa di profondamente sbagliato dentro di lui. Lo sente nello stomaco, nelle viscere, nella bile che gli risale su per la gola, negli esseri oscuri e viscidi che si arrampicano lungo la sua laringe per raggiungere la bocca e che si accumulano, si appallottolano e maturano in un gorgoglìo indistinto e soffocante che si annoda sulla lingua e diventa un grido abortito. Di dolore. Di impotenza. Di rabbia e disperazione.

Un grido di aiuto che non fa mai rumore.

Lo sente quando apre gli occhi al mattino, lo sente quando si sveglia di soprassalto nel suo letto, con una mano che sporge fuori dal materasso per spegnere la sveglia che trilla nel silenzio della stanza. Si snoda con il suo corpo quando si allunga sulle lenzuola, rotola fuori dalle coperte candide attorcigliate intorno alle cosce nude, alle braccia tatuate che raccontano storie.

Alle braccia ferite che ne raccontano altre.

Sussurra il suo nome mentre arranca nel buio, trascinandosi fino al bagno, inciampando sugli anfibi spaiati abbandonati sul pavimento e le lattine vuote di birra che non ricorda di aver lasciato lì la notte prima. O quella prima ancora, di questo non è sicuro.

Jeongguk si lava i denti davanti allo specchio del bagno. Fuori è ancora l'alba, ma la luce soffusa e azzurrina non nasconde le occhiaie scure sotto i suoi occhi e il sangue incrostato intorno al piercing all'angolo della bocca. Prima o poi se lo strapperà a morsi. Il vizio di tirarlo con i denti è solo uno dei tanti modi in cui mette a tacere i pensieri che lo torturano giorno e notte. Posa lo spazzolino da denti nel bicchiere di vetro sul lavandino e si sciacqua la bocca col collutorio. Poi spegne la luce e torna in camera sua.

Le camere del dormitorio del college sono piccole e claustrofobiche. C'è un letto a una piazza e mezza con la testiera in metallo, le lenzuola scadenti piene di grinze e qualche macchia scarlatta che non è riuscito a togliere con la candeggina. Un comodino in legno scuro su cui giace un bicchiere d'acqua, una piccola lampada dalla luce fioca e biancastra, una scatoletta di mentine mezza vuota e gli scaldabraccia neri che indossa sempre, anche in piena estate. Ne ha almeno una dozzina, stipati nell'armadio, tutti dello stesso colore. Nero, come la gran parte di ciò che gli appartiene. Nera è anche la tuta sportiva abbandonata sulla sedia girevole davanti alla scrivania colma di scartoffie, libri di testo, appunti sparsi e quaderni meticolosamente impilati, etichettati per materia. L'unico elemento che ha aggiunto all'arredamento standard delle stanze è il sacco da boxe che pende dal soffitto, agganciato a una catena d'acciaio.

Tutto sommato, sembra la stanza di un normale ragazzo del college, e a vederla così non potrebbe apparire più anonima. Se non fosse che nei cassetti della scrivania e negli anfratti dell'armadio ad angolo Jeongguk nasconde una collezione ben più strana di quella dei suoi scaldabraccia. Una collezione di rasoi, di ogni genere e dimensione, dentro una scatola portaoggetti di plastica. Da un po' di tempo ci ha nascosto anche dei fiammiferi e qualche accendino, insieme a un pacco di sigarette. Accanto ad essa c'è un'altra scatola di dimensioni più grandi, in metallo, sulla cui superficie è incisa una croce rossa dalla vernice scrostata. È un kit di pronto soccorso che contiene garze, acqua ossigenata, creme antibiotiche, un altro pacco di sigarette e un altro accendino.

L'armadio non è l'unico luogo in cui nasconde le sue cose. È quasi una compulsione. Nasconde rasoi, sigarette e accendini un po' ovunque: nell'armadietto del bagno, in un cassetto della cucina, sotto al materasso. Dire che nasconde le sue cose è una mezza verità, perché Jeongguk conosce a memoria il suo campo minato.

È per questo che quando si siede sul vecchio materasso cigolante, gli sembra di sentire dietro le cosce il rasoio che giace lì sotto, come il mostro che da bambino si nascondeva sotto il suo letto.

Jeongguk chiude gli occhi e inspira a fondo. Trattiene l'aria per un secondo, e poi la lascia andare, svuotando i polmoni fino a sentirli bruciare. Si infila gli scaldabraccia uno alla volta con le mani che tremano. Lo fasciano dal gomito al polso, il tessuto lanoso gli pizzica la pelle. È un bene che sia inverno. È un bene che abbia freddo. Il freddo lo rende più sopportabile.

Nudo a parte i boxer e gli scaldabraccia, raggiunge la sedia girevole e indossa la tuta sportiva. Lancia uno sguardo alla parete, al chiodo su cui sono appesi i suoi guantoni, ma stavolta li lascia dove sono.

Si sposta davanti al sacco e si allena fino a star male.

Il cellulare riproduce una delle tante playlist che crea quando ha bisogno di distrarsi. (Quando riesce a distrarsi.) Parte la discografia dei Deftones col volume al massimo. Le casse del telefono crepitano.

Anche questo è uno dei tanti modi che ha di creare il silenzio. Nella musica tutto tace.

La testa tace. E il corpo freme.

I pugni si tendono, i muscoli si flettono. I nervi sotto la sua pelle vibrano, come corde tese. Vorrebbe fare a pezzi qualcosa, fare a pezzi qualcuno, fare a pezzi sé stesso. Solleva il pugno e colpisce il sacco da boxe con tutta la forza che ha. Bang. La catena d'acciaio tintinna. Il cilindro oscilla, è un metronomo capovolto. Uno.

Ancora. Solleva il pugno.
Corda tesa. Spara la freccia.
Spara la canna, dentro la bocca. Bang. Due.

Un buco in gola, grosso come un cratere.
Il sangue sgorga a fiotti.

Bang. Bang. Tre. Quattro.

E non ci sei più.

La carotide esplode. Il sangue scorre veloce.

Bang. Bang. Bang.

Ma questa volta non conta più. Il metronomo è fermo. I colpi arrivano dall'altra parte della porta d'ingresso. Nocche appuntite che battono delicate sul legno.

Jeongguk si ferma coi pugni sollevati a mezz'aria. Ha le mani livide e un po' spaccate. Il suo corpo è bagnato, rovente, i muscoli gli bruciano come se fossero cosparsi di acido. Il petto si alza e si abbassa a un ritmo frenetico, mentre annaspa in preda allo sfinimento. L'aria è calda e viziata. Odora di pelle, sudore e sangue.

Lancia uno sguardo all'orologio a muro. Sono le dieci del mattino. Si allena senza sosta da due ore e ha saltato la lezione di microbiologia. Impreca sottovoce e dà un ultimo gancio al sacco. La playlist dev'essere ripartita, perché sta suonando di nuovo Be Quiet and Drive e crede di averla sentita già un paio di volte stamattina.

Jeongguk si passa una mano sulla faccia e si asciuga il sudore che gronda come sangue lungo le sue tempie. Sotto il palmo, sente le guance scottare. Poi sospira e si dirige verso la porta d'ingresso. Prima di raggiungerla, sente una voce. Calma e profonda, come le ninnenanne mormorate sottovoce.

«Jeongguk? Sei qui?»

È Taehyung. È la voce di Taehyung, e Jeongguk si sente morire. Non può non aprire la porta. Perché significherebbe lasciarlo lì fuori, nel corridoio del dormitorio. Perché è dicembre, e d'inverno il dormitorio è un igloo, e Taehyung ha sempre freddo, e lui non può sopportare che Taehyung soffra neppure per una cosa così insignificante. Perché sa che Taehyung non se ne andrà, e questo è sia un sollievo che una condanna.

Perciò deve aprire la porta, ma al contempo non vuole farlo. Non può lasciare che lo veda in questo stato. Taehyung riesce a guardargli dentro più del suo strizzacervelli. È il suo migliore amico, e adesso è anche il suo ragazzo, e detta così sembra una cazzo di fiaba, la cosa migliore che potesse mai capitargli, ma non lo è. Perché nelle fiabe ci sono gli eroi e c'è sempre un lieto fine, ma lui non è un eroe e non può garantire a Taehyung alcun lieto fine. Al massimo è il cattivo della storia che, alla fine della fiera, resta solo come un cane. O se è fortunato, muore solo come un cane. Ed è questo che si meritano gli smidollati come te. I matti da legare, Jeongguk.

Sei matto da legare.

Deglutisce il nodo che ha in gola, spesso come un colpo di pistola. Il respiro gli trema, come la mano che si tende per appoggiarsi sul pomello della porta.

Quando la apre, Taehyung sembra sorpreso. La mano sollevata a mezz'aria ricade lungo i fianchi morbidi fasciati dagli skinny jeans. Indossa un maglione verde muschio e i capelli color cioccolato gli ricadono sulle tempie in dolci onde da cherubino. È bello da mozzare il fiato. Come sempre.

Lo sguardo di Taehyung gli percorre il corpo come un brivido. Occhi, labbra, petto, cosce. Taehyung non si lascia sfuggire neppure un dettaglio, lo squadra da capo a piedi con quegli occhi innocenti che mutano presto in qualcosa di più malizioso. Come un angelo tentato dal diavolo. Il suo sguardo risale fino a incastrarsi nel suo, e poi arrossisce un po', le guance diventano dello stesso colore delle peonie.

«Non sei venuto a lezione», dice con voce un po' roca. «Perché sei tutto sudato?» Poi scuote la testa con vigore. «Cioè, ti sei allenato, lo so. Ma-»

Qualcosa ha catturato la sua attenzione. Gli occhi di Taehyung ora sono fissi sulle sue mani, sulle nocche spaccate incrostate di sangue.

Fa per dire qualcosa, ma Jeongguk lo interrompe. «Volevo provare ad allenarmi senza guantoni», dice con voce ancora un po' affannosa, e vorrebbe che suonasse più convincente.

Taehyung lo guarda di nuovo negli occhi e sembra perforargli l'anima. «Ho capito... ma così ti fai male», mormora, accigliandosi un po'. «Posso entrare?»

E glielo chiede con un tono a cui Jeongguk non può dire di no. Perciò alla fine annuisce, si fa da parte e lo lascia entrare.

Perché non riuscirà mai a dire di no a Taehyung quando lo guarda con quegli occhi pieni di affetto, quando gli parla con dolcezza, come se fosse qualcuno degno di ricevere un po' della sua tenerezza.

La tenerezza che appartiene tutta a Taehyung. Ai suoi occhi d'ossidiana, alla sua pelle dorata che profuma di sogni d'estate, alle sue mani affusolate che lo toccano con la stessa delicatezza delle farfalle.

La tenerezza di Taehyung a volte lo fa piangere.

«Puoi...?» Taehyung indica con un cenno del capo il cellulare abbandonato sulla scrivania, che sta ancora sparando musica a tutto volume.

Jeongguk annuisce e va a metterlo in pausa. Poi si lascia cadere sulla sedia, poggiando i gomiti sulle cosce.

«Che succede, Gguk?» Taehyung si siede sul letto. Ha le mani in grembo e si tormenta le dita. Sembra frustrato, incerto, come se avesse paura di fare un passo falso, di pronunciare una parola di troppo.

Jeongguk stringe i pugni. Si conficca le unghie nei palmi delle mani.

In qualche modo, è riuscito a farlo preoccupare comunque, anche se ha provato con tutte le sue forze a tenerlo a distanza negli ultimi giorni. Perché gli ultimi giorni sono stati un crescendo di dolore e follia, e ogni mattina spera di svegliarsi senza sentire la voglia irrefrenabile di tranciarsi un braccio o di lanciarsi dal tetto del dormitorio.

«Niente, Tae. Non succede niente.» Rilassa le mani, distende le dita, e disegnate sui suoi palmi adesso ci sono dieci mezzelune.

Taehyung lo osserva per un po', mordicchiandosi il labbro inferiore. Poi abbassa lo sguardo sul pavimento. «Ultimamente sei strano. Sei... freddo.» Sembra esitare. «Ho fatto qualcosa che ti ha fatto arrabbiare?»

Jeongguk avrebbe voglia di ridere, ma non ha fiato neppure per piangere. Così si passa una mano sul viso, resistendo all'impulso di prendersi a schiaffi. «No, Tae. Tu non c'entri niente. Lo sai come sono fatto. Ho i miei momenti, e quando succede tendo a isolarmi.»

Gli occhi di Taehyung si velano di tristezza. «Anche da me?» Quella domanda è solo un sussurro sulle sue labbra, ma nella testa di Jeongguk rimbomba come un urlo nel vuoto.

Soprattutto da te.

«No...», risponde alla fine, e non ha alcun senso.

A Taehyung non piace quando gli rifila risposte senza senso. Taehyung vuole capire. Ultimamente sembra più attento del solito alle cose che lo riguardano. Perché Taehyung è come un gatto, e ha già fiutato che c'è qualcosa che non va.

Perciò quella risposta lo fa incazzare, anche se non lo dà a vedere. Jeongguk se ne accorge comunque, lo capisce dal sopracciglio che si solleva impercettibilmente e dalla mascella che si serra per un solo istante. Perché lo conosce, lo conosce meglio di quanto conosca sé stesso, e non c'è niente che possano nascondersi l'un l'altro. E questa è una verità che Jeongguk vorrebbe fosse una bugia.

«Ti ho portato gli appunti di microbiologia.» Taehyung fruga nel suo zaino e gli porge un quaderno. A Jeongguk basta tendere la mano, la stanza è così minuscola che non deve neppure alzarsi per prenderlo e appoggiarlo sulla scrivania. È così minuscola che l'aria non è abbastanza per tutti e due. Forse è per questo che Taehyung sembra un po' senza fiato, un po' strozzato, quando chiede: «Ci vediamo stasera?»

Jeongguk sente il retrogusto amaro delle sue parole prima ancora di pronunciarle e deve sforzarsi di contenere la smorfia di disgusto verso sé stesso che gli storce la bocca. «Non credo. Devo recuperare la lezione, e devo ricopiare i tuoi appunti. Ho un po' da studiare, in questi giorni non ho fatto molto.»

Taehyung annuisce appena, come se si aspettasse quella risposta. «Va bene. Vieni a pranzo?» E stavolta la sua domanda ha un suono diverso. È una domanda retorica, e suona come una sfida.
Dai, Jeongguk. Dimmi un'altra bugia.

Jeongguk deve abbassare lo sguardo, prima di rispondere: «Non lo so, ho un po' di mal di stomaco. Non è una grande idea mangiare la pasta scotta della mensa.» Le bugie non riuscirà mai a dirgliele guardandolo in faccia.

E Taehyung lo sa.
«Allora mangiamo qualcosa qui? Io e te?» chiede ancora, con una voce che fa rabbrividire Jeongguk. Una voce strana. Delusa.

«Tae...»

«Ho capito. Ti lascio stare.»

Taehyung lo guarda con quegli occhi felini, con quegli occhi feriti, e Jeongguk vorrebbe strapparsi la pelle di dosso, vorrebbe strapparsi le vene dagli avambracci a mani nude. Vorrebbe avvicinarsi a lui, stringerlo a sé e baciarlo. Baciarlo tanto, forte, con tutto sé stesso. Vorrebbe dirgli che lo ama, che gli dispiace, che è tutta colpa sua, che se potesse riavvolgerebbe il nastro e tornerebbe indietro nel tempo, a quella sera d'agosto in cui la marea era bassa e lui aveva creduto di star bene. A quella notte di stelle in cui aveva posato le labbra sulle sue per la prima volta e aveva sentito sé stesso sospirare, aveva sentito Taehyung sospirare, aveva sentito il loro silenzio, e poi un boato. Era il suo cuore che martellava nel petto e faceva rumore. Era il cuore di Taehyung che batteva forte attraverso il tessuto leggero della t-shirt.

Era tornato a respirare. Era tornato in superficie.

Con Taehyung stretto al petto. I suoi capelli morbidi sotto le dita. Il suo profumo di fragola e vaniglia nelle narici.

Si erano abbracciati, e poi si erano baciati di nuovo, a lungo, senza fretta, assaporando la felicità sulle labbra incurvate all'insù, respirando l'amore bocca contro bocca. Se potesse, tornerebbe davvero a quella notte di speranza, in cui aveva creduto di meritare l'amore di Taehyung, in cui aveva creduto di essere capace di amare qualcuno. Qualcuno di così angelico e buono e altruista e genuino. Qualcuno come Taehyung. Qualcuno che Jeongguk non merita e non potrà mai meritare.

Perché Taehyung è puro, è armonico, è integro, e lui non lo è. Lui è orribile, e pericoloso, è una mina inesplosa, e non potrebbe mai perdonarsi se un giorno arrivasse davvero a spezzare Taehyung, a contaminarlo in qualche modo, a infettarlo con il veleno denso che gli scorre nelle vene.

C'è una promessa che Jeongguk ha fatto a sé stesso, in quella notte di stelle e baci al sapore di fragola, quando era steso sull'erba con Taehyung in grembo che gli elencava le costellazioni con l'indice puntato verso il cielo. Non lascerà mai che Taehyung si trovi faccia a faccia con i suoi mostri.

Non lascerà mai che Taehyung gli guardi dentro fino a quel punto, che veda tutto il marcio che c'è in lui. Non vuole vedere negli occhi di Tae lo stesso disgusto che vede nei suoi occhi ogni volta che si guarda allo specchio, perché quello lo ucciderebbe per davvero. Non i mostri, non il dolore, non le ferite. Il disgusto del ragazzo che Jeongguk ama più di ogni altra cosa.

Jeongguk sta tremando, perso nei ricordi, quando Taehyung si alza dal letto e lo raggiunge. Gli prende la mano e lo tira su. Poi lo abbraccia forte, si accoccola contro il suo petto.

Si guardano negli occhi per un attimo e si sono già detti tutto. Ogni parola è superflua, ma le pronunciano lo stesso.

«Mi manchi, Ggukkie», mormora Taehyung sulle sue labbra, prima di lasciarvi un breve bacio.

Jeongguk preme la fronte contro la sua e inspira forte. Il suo profumo gli riempie i polmoni e li incendia.

«Anche tu», sussurra. «Scusami, oggi non è giornata.»

Taehyung scuote la testa e fa un piccolo sorriso. «Non fa niente. Passa da me quando starai meglio, ok? Ti amo.» Sottovoce, sempre sottovoce. Perché se Jeongguk è una canzone dei Deftones, Taehyung è una canzone dei Cigarettes After Sex.

Jeongguk si morde il labbro fino a sentire il sangue sulla lingua e inspira ancora una volta il suo profumo, prima di lasciarlo andare. «Anch'io.» E nel tremore della sua voce c'è tutto ciò che vorrebbe dirgli.

Ti amo.
Mi manchi.
Mi dispiace.

Quando Taehyung se ne va, Jeongguk si spoglia di tutto. Si toglie le scarpe, la tuta, gli scaldabraccia e infine i boxer, e li lascia sul pavimento della camera da letto. Poi va in bagno e apre l'acqua fredda della doccia. Si mette sotto il soffione e appoggia entrambe le mani contro le piastrelle bianche. A vederlo dall'esterno, chiunque direbbe che stia tremando di freddo, e non per il pianto che gli sconquassa il petto.

Chiunque.

Tranne Taehyung.











a/n

dopo che mi sono fatta male alla spalla non ho più scritto niente. devo riprendermi e mettermi pressione come faccio sempre, quindi ecco i tre capitoli su cui ho lavorato finora. sì, alle due del pomeriggio di sabato perché sia mai che faccio le cose per bene.

ringrazio di cuore x miex beta reader per il grande aiuto nell'editing e soprattutto per il tutto il supporto ricevuto 💕

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