v. tutta la vita chiusa dentro una valigia
NINJAGO CITY
13:00, STAZIONE DI POLIZIA
Louise Lancaster giurava di stare per perdere la testa.
Non era mai stata una persona molto riflessiva: sempre attiva, multitasking, con un commento pungente sulla lingua verso chiunque minacciasse lei o la sua famiglia. Una donna forte che, specialmente dopo la morte del marito, aveva dovuto tirare fuori gli artigli e darsi da fare per proteggere la figlia, la piccola Rin, tormentata da un'eredità che nessuno in famiglia sperava di rivedere. Era diventata una leonessa, e forse lo era sempre stata.
Quella mattina non aveva differito dalle altre: sveglia da una notte insonne e corsa al commissariato di polizia, nella speranza che in quelle poche ore di buio fosse spuntata una notizia su Rin.
Gli officiali in divisa ci stavano prendendo abitudine a salutare la signora con un pigro gesto del capo, ogni volta che la notavano camminare per il corridoio, il cappotto di pelliccia sintetica stretto in una mano e il telefono cellulare nell'altra, quasi sperasse sentirlo vibrare da un secondo all'altro.
Louise non ci faceva neanche caso. Da giorni, il suo unico pensiero era stato ritrovare sua figlia.
Entrò a passo deciso nell'ufficio del commissario, che non appena la vide chiudersi la porta alle spalle, sospirò disperato. «Ci sono novità?» domandò, e l'uomo non pote fare altro che scuotere la testa, appena desolato: era costernante vedere la disperazione di una madre così da vicino e con così tanta intensità. La signora Lancaster pareva reggersi in piedi per pura grazia divina: ogni movimento era scattante, come se stesse cercando di non crollare a terra sfinita, e il viso, di solito rotondetto e rosato, solcato da rughe che sembravano farsi più profonde giorno dopo giorno.
Eppure, questo non metteva un freno al suo caratterino: «E allora datevi una mossa!» esclamò, avvicinandosi alla scrivania dietro cui era seduto l'uomo. «Sono passati tre giorni, e ancora nulla! Rin non era mai sparita per così a lungo! Di solito era una notte, magari un giorno intero, ma mai tre!».
Louise conosceva Rin. Molto più di quanto lei stessa volesse ammettere. Sapeva che ogni sera andava alle Fosse Scivolse; sapeva che combatteva per imparare a controllare i suoi istinti; sapeva che molto spesso la sua sanità mentale sfiorava la pazzia.
Per anni aveva tentato di pregare sua madre, Marie Callighan, che degli elementi e tutta quella faccenda magica ne sapeva molto di più, ma l'anziana aveva sempre negato di poter dire di più di quanto già sapessero: il destino avrebbe dovuto fare il suo corso — una convinzione che girava nella sua famiglia da anni.
Il commissario annuì come un robot, non impressionato dall'insistenza della donna: «Le giuro che stiamo facendo tutto il possibil—».
«Stronzate!» sbottò Louise, gli occhi lucidi e mattidi di preoccupazione. «Cosa stareste facendo, mh? Appiccicare qua e là per il quartiere dei volantini grandi quanto un foglio di carta igenica? Come pensate che basti per trovare Rin?!».
«Alcuni dei miei uomini stanno pattugliando la città in questo esatto momento» assicurò il poliziotto, muovendosi a disagio sulla poltrona nera. «Ma deve capire che tre giorni non sono abbastanza per ottenere un mandato di scomparsa. Deve—».
«Aspettare una settimana! Ah! Lei è un pazzo se crede che starò ferma e buona a non fare nulla, mentre voi passate i pomeriggi a grattarvi il culo e ingozzarvi di ciambelle!».
Il commissario arrossì, schiarendosi la voce in imbarazzo: «Non è assolutamente così. Signora—».
Louise proruppe in una risata che di gioioso non aveva nulla: «Ma certo! Se ci tiene a continuare con le sue ridicole scuse, faccia pure! Magari lei non crederà a ciò che sto dicendo, ma se c'è una cosa che so per certo è questa». Si sporse verso l'uomo, che deglutì appena intimorito. «Lei avrà anche un distintivo e un taser da quattro soldi . . . ma è di mia figlia che stiamo parlando, signor commissario, e credo, da madre, di conoscerla molto meglio di quanto voi palle di cioccolato e zuccherini arcobaleno—» il poliziotto nascose di più tra i documenti le ciambelle che aveva sulla scrivania. «—potrete mai fare!». Lo sguardo della donna lanciava saette. «E se non vi date una mossa a fare quel dannato documento del cazzo, allertando tutte le stazioni di polizia della città e della contea, sarò io stessa a prendere provvedimenti!».
I muri parvero tremare sotto quell'affermazione, e il poliziotto si ritrovò completamente terrorizzato, sentendosi insignificante di fronte alla determinazione di lei.
Le assicurò ancora una volta che avrebbe fatto del suo meglio, non sapendo cos'altro dire. Louise si precipitò fuori dalla stanza e dall'edificio come una furia, attraversando di getto la strada, fregandosene dei clacson indignati che l'accolsero, al gesto.
Andò a sbattere contro una ragazza, che esclamò subito con un «Mi scusi!», mentre la donna non ci fece neanche caso. Udì le proteste dell'altra alle sue spalle, ma ignorò anche queste.
Era terribilmente stanca. E la cosa peggiore era che non poteva permetterselo. Non quando sua figlia era chissà dove e in chissà quali condizioni.
Rin era forte — Louise lo sapeva. — Forse la persona più forte che avesse mai conosciuto, e non lo pensava perché era sua madre. Lo sapeva perché era con lei quando urlava in camera ogni volta che i suoi poteri diventavano troppo intensi; lo sapeva perché la vedeva tornare da scuola distrutta, i compagni indifferenti al suo stato e la sua migliore amica sempre più distante; lo sapeva perchè dopo che avevano rotto, Rin aveva passato i mesi successivi scossa dagli incubi.
Quando arrivò a casa, Marie era già in piedi e beveva tranquilla una tazza di caffè. «Mamma!» esclamò Louise. «Quante volte ti ho detto di non bere il caffè! Fa male al tuo colesterolo!».
«Oh, sta zitta» la scacciò l'anziana, continuando a sorseggiare la bevanda. «Un po' di caffeina non ha mai ucciso nessuno. Invece dimmi: com'è andata al dipartimento?».
La donna sbuffò, sfilandosi il cappotto e crollando su una sedia, distrutta: «Al solito. Solo un branco di incompetenti, pigri, idioti, che se ne fregano del resto». Sospirò, portandosi le mani ai capelli, rossi e corti: «Non so più cosa fare, mamma».
«Prima di tutto cambiare il colore di quello smalto. Il verde non è più di moda dalla creazione di Ninjago». Finì la sua tazza, mentre Louise alzava gli occhi al cielo, sempre più frustrata. «Ma se ti può far sentire meglio ho chiamato un aiuto».
Aggrottando le sopracciglia, Louise fece per replicare, ma l'altra la mise subito a tacere con un gesto della mano. «Non importa così, adesso. Vecchi amici. Piuttosto, dobbiamo darci una mossa a sistemare casa, saranno qui fra poco».
«Mamma».
«Figlia» replicò sarcastica Marie, prendendo il suo bastone e sistemandosi la crocchia di capelli bianchi sulla testa. «Potrai anche pensare che i racconti su Uchū siano frutto della mia fantasia, ma sai benissimo che sono reali. Hai sposato uno dei suoi Maestri degli Elementi! Perciò non rifilarmi la storia della vecchia pazza, perché ormai non ti crede più nessuno!».
In quel momento, l'unica cosa che venne in mente a Louise — a parte Rin, ovviamente — fu che sapeva di per certo da chi aveva preso.
Le mani le tremavano, ma annuì comunque. «Sì, okay, va bene. Hai ragione».
«Ovvio che ho ragione!» esclamò la più anziana. «Ora alza le chiappe e aiutami a spostare l'aspirapolvere!».
•°. [𖦹] ༄
Quando, due ore dopo avevano finito, Louise era sicura di star per svenire di stanchezza.
«Vai a riposarti un po'» propose Marie, sistemando su un vassoio delle piccole tazzine da thè. «Hai un aspetto orribile».
«Grazie, mamma» sospirò quella. «Ma non ci riuscirei comunque. A dormire, intendo. Resto ad aiutarti» si sedette, versandosi un po' del thè che aveva preparato la madre.
«Testarda come un mulo» borbottò l'anziana, unendosi a lei. «Prima o poi crollerai, non puoi andare avanti così».
«Devo» mormorò Louise. «Rin non vorrebbe che mollassi».
«Ma non vorrebbe neanche che morissi di stanchezza!» esclamò Marie, sbattendo il suo bastone sul pavimento. «Non si tratta di mollare, razza di idiota che non sei altro, si tratta di non crollare come un burattino, magari in mezzo alla strada, venendo poi investita da qualche tir». Prese anche lei un tazza di thè. «Questi miei vecchi amici sono persone responsabili e abili, fidati, sapranno cosa fare».
La donna storse il naso, gli occhi nocciola puntati sul liquido verdastro dentro la tazzina e i ciuffi di capelli rossi che le ricadevano sul naso. Avrebbe dovuto fidarsi di alcune persone che non aveva mai visto in vita sua? Per quanto ne sapeva potevano essere dei delinquenti, e anche se sua madre continuava ad assicurarle che li conosceva . . . non poteva permettersi alcuno sbaglio. Non quando ad essere in gioco era Rin.
Il campanello suonò.
«Devono essere loro!» disse Marie. «Vai ad aprire la porta, non farli aspettare».
Louise non aveva la minima intenzione di aprire la porta, ma l'occhiata euforica di sua madre non le lasciò altra scelta. Si alzò, trascinandosi fino all'ingresso.
Girò la maniglia e aprì.
Si trovò davanti due vecchi e una ragazzina che non poteva avere più di sedicianni. Louise aggrottò la fronte: «Mamma, sei sicura siano loro?». Si era aspettata un detective, le forze dell'ordine, o comunque qualcuno che non fosse . . . questo.
«Piacere di conoscerla, signora Lancaster» la salutò educato l'uomo, la lunga barba bianca che quasi toccava terra e una bastone di bambù in una mano. «Il mio nome è Wu» si presentò con un leggero inchino. «E credo che vostra madre ci abbia chiamato».
—— angolo autrice!
non pensavate che avrei rinunciato a raccontare anche cosa succede a ninjago city? vi presento louise e marie Callighan! avranno entrambe un ruolo molto importante, così come lo avrà il padre defunto di rin.
quindi, stay tuned.
a parte questo, il capitolo è molto corto perché serviva per introdurre questo arco narrativo.
nel prossimo torniamo sull'isola da rin :)
alla prossima!
ricordate di votare, commentare e condividere!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top