▼ONE SHOT: Froste
A Shawn capitava spesso di sognare di perdere Aiden. L'idea della morte del fratello era stranamente sempre stata dentro di lui, come un'ombra minacciosa, letteralmente una fobia senza un apparente fondamento. I due gemelli erano stati insieme per più di quindici anni, sempre uniti dalla nascita nel bene e nel male.
E si sa, tra gemelli c'è sempre quel collegamento che, nei momenti più cruciali, rende la loro mente un'unica entità, in grado di farli agire e reagire simultaneamente come una sola persona.
Era questo che li rendeva invincibili nel gioco del calcio, la mente e il braccio, la ragione e l'impulsività in due corpi diversi, ma legati in modo indivisibile da una catena dotata di una forza superiore.
Ed era così che quella sera di otto anni prima, mentre rincasavano da una partita appena vinta, si erano salvati dalla catastrofe.
"Attento, papà" avevano gridato in coro, come se una sentinella li avesse avvertiti del pericolo. Il signor Froste aveva inchiodato la macchina, fermandosi dietro un grosso pino: la valanga li travolse comunque, ma il grosso tronco ancorato saldamente a terra aveva fatto loro da scudo, attutendo la forza della neve. All'arrivo dei soccorsi erano sommersi, svenuti e con qualche livido, ma vivi.
Eppure quella sensazione si faceva spesso strada nella mente del giovane dell'Hokkaido. Il costante presentimento che suo fratello non dovesse essere lì, o che ci fosse solo per un caso fortuito; un privilegio che gli era stato concesso dall'alto. Come se il destino fosse stato forzato per concedergli di vivere.
Si svegliava spesso in preda al panico, sudato e in lacrime, con i brividi lungo la schiena. "L'ho sognato di nuovo, tu non c'eri, ed io ero da solo! Come se tu fossi sparito molto tempo prima...". E Aiden lo consolava, perché era suo fratello e il suo compagno di vita e non poteva lasciarlo ridotto così, ma non capiva il motivo di tanta angoscia. A volte poteva andare avanti anche per ore prima di calmarsi. "È come se qualcuno me lo dicesse, che sono solo fortunato, perché tu sei ancora qui!", gli aveva gridato una volta, in lacrime.
Il giovane Shawn Froste si alzò dalla panchina coperta di neve, sprofondando nella sciarpa di suo fratello. Fantasticava spesso seduto lì, con lo sguardo assente ma vigile, di uno che ha paura della sua stessa ombra, sul fatto che magari la sua era stata solo semplice sfortuna. "Oh Aiden, se solo fossi ancora qui".
La bilancia non era più stata in equilibrio da otto anni.
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Ok, è un po' triste. Solo un po'...
Avevo un'idea iniziale, ma poi ho deciso di fare una cosa diversa. E ne è uscito un finale che credo abbia due interpretazioni:
1) Shawn si è immaginato tutto, seduto sulla panchina
2) Lo Shawn di Ares e lo Shawn della dimensione di IE sono quasi collegati: lo Shawn di Ares avverte il dolore dell'altro e il fatto che non ci sia anche un corrispondente Aiden dall'altra parte. Molto metafisico, ma è la scelta che preferisco, in quanto era questa l'idea iniziale per 'sta shot.
Detto ciò...
rispetto a quella delle ragazze questa ammetto che mi piace.
E per chi a quest'ora è ancora sveglio: buonanotte.
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