𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝑄𝑢𝑎𝑡𝑡𝑟𝑜
«È da ore che camminiamo. Si può sapere cos'è questa "cosa divertente" di cui parlavi?», chiese Daisy sbuffando. «La sto ancora cercando», rispose Skikon guardandosi intorno. Infine la vide. Una torre dell'orologio in lontananza. Ecco il divertimento che stava cercando. «Trovato», disse in un fil di voce. «Chi arriva ultimo alla torre è un pesce lesso!» Partì in quarta - senza nemmeno aspettare il via -, seguito da Daisy, che, a sua volta, era seguita da Nozomi, che urlava Non è giusto così! a squarcia gola.
Corsero a più non posso. Daisy salì, con un salto, sul tetto di una casa alla destra di Skikon che correva per la strada. Cercando di evitare le persone e passando sotto i carri. Sentì la gente rimproverarlo, ma la ignorò ridendo. Nozomi invece correva sui tetti delle case alla sinistra del ragazzo. Tutti e tre correvano più veloci che potevano, con Skikon che sembrava in testa al gruppo. Dopo varie capriole, schivate e salti mortali tra un tetto e l'altro, arrivarono alla torre. Il primo fu Skikon, seguito da Daisy e Nozomi. «È stato... Pazzesco!», gridò Skikon, ancora con l'affanno della corsa. Non aveva mai corso così veloce in vita sua. Adorava la sua nuova vita, si sentiva come resuscitato, come se fosse stato salvato dall'oscurità. Era quella la sua vera vita. Era quella la libertà che aveva sempre desiderato.
Guardavano il panorama mozzafiato dinnanzi a loro, con il vento tra i capelli. «Che ne dite se ci buttiamo da qua?»
«Sei pazzo? Potresti farti davvero ma-», ma Daisy non finì la frase, che Skikon si era già buttato giù. Dopo qualche minuto di caduta, fece una capriola, atterrando in piedi ancora elettrizzato e pieno di adrenalina. Daisy allora prese il suo esempio e si buttò facendo varie capriole nell'aria e atterrando, anche lei, in piedi. «È così che si atterra», disse con una posa fiera e spostandosi i capelli, facendo ridere Skikon. Nozomi era indecisa se buttarsi o meno. «Cosa stai aspettando? Se non ti muovi, vengo là con un salto e giuro che ti butto giù di peso», disse Daisy, sogghignando. «S-sai che soffro di vertigini...»
«Datti una cazzo di mossa e falla finita di essere una neko fifona!»
«Dai Nozomi, non aver paura, in caso ti prendo io!», disse Skikon, ignorando la lupetta accanto a lui che sogghignava ancora divertita. Dopo un momento di indecisione e riluttanza, Nozomi si buttò, mettendo le mani sulla gonna corta per non farla alzare e atterrando in piedi. «Visto? Ci voleva tanto?»
«Dai Daisy, smettila di prenderla in giro», ridacchiò il ragazzo, mentre Nozomi metteva il broncio.
La giornata passò con loro che si divertirono a sfidarsi nel bosco. Non doveva più rimanere indietro. Non doveva più pregare ogni giorno che tutto quello fosse solo un incubo. Non doveva più sperare d'incontrare qualcuno che davvero lo volesse accanto. Finalmente aveva una famiglia che lo desiderava per quello che era e, soprattutto, finalmente aveva la vita che sperava di ottenere. Essere un umano per lui era strano, non era normale. Ora quelle sensazioni non gli appartennero più e poté essere sé stesso in tutto e per tutto. Non poteva sapere, però, che il giorno dopo avrebbe iniziato ad odiare del tutto la razza umana. Sapeva che non tutti erano cattivi e non tutti li vedevano solo come mostri. Sapeva che gli umani che vivevano a palazzo con loro, non erano cattivi e li apprezzavano per ciò che erano, ma non poteva rimuovere quell'odio tanto rancoroso che lo avrebbe perseguitato per il resto della sua vita.
Il giorno dopo, a scuola, stava mangiando da solo nell'atrio della scuola, seduto su di una panchina. Daisy era finita nuovamente dalla preside e Nozomi le era rimasta vicina per paura di ciò che Daisy avrebbe potuto fare in un impeto di rabbia dopo il duro confronto con l'insegnate di motoria durante una lezione nella palestra scoperta. In realtà non ricordava se gli avvenimenti andarono realmente così, l'unica certezza era che lui, in quel momento, era da solo e le due ragazze non vi erano. In un attimo si ritrovò scaraventato contro il terreno da dietro. «L'umano è diventato un mostro succhia sangue», disse il capo dei bulli, mentre loro ridevano. «Che cazzo vuoi ancora, Ron.»
«Oh, andiamo! Sai benissimo cosa voglio! Vendetta», disse e, in un impeto di rabbia, iniziò a picchiare di brutto Skikon. Voleva difendersi, fare qualsiasi cosa, ma il corpo gli faceva troppo male. I bulli erano più forti di quel che pensasse. In quel momento, dal nulla, comparve Daisy che, con un pugno talmente forte, scaraventò Ron contro la recinzione della scuola, rompendola. «È arrivata Daisy! Andiamocene!», disse uno dei bulli. Presero l'amico e se la diedero a gambe. Tutti temevano Daisy nella scuola. In quel momento Skikon era lievemente arrossito e la fissava incredulo. «Stai bene?», gli chiese allungandogli la mano. Lui continuava a fissarla e, ancora rosso, scosse la testa rispondendo freneticamente un si e prendendole la mano aiutandosi ad alzarsi. In quel momento qualcosa era scattato dentro di lui. Qualcosa che ancora non sapeva come identificare. Qualcosa che non l'avrebbe mai più abbandonato e che avrebbe portato con sé fin dentro la tomba. Nel frattempo arrivò Nozomi che fissava Skikon fissare Daisy, rosso. Capì subito cosa stava succedendo e sogghignò, Skikon arrossì pesantemente, mentre Daisy non capiva che stesse succedendo.
I giorni passarono e Skikon guardava Daisy da "lontano", tenendo nascosti i suoi sentimenti per l'amica. Un giorno Nozomi, mentre lei e Skikon erano da soli, glielo chiese. «Perché non glielo dici?»
«Dirle cosa?»
«Oh, andiamo! Si vede lontano un miglio che ti piace Daisy!» Skikon arrossì all'affermazione. Le piaceva? Possibile? Eppure non la conosceva quasi per niente, anche se era da ormai un anno e mezzo che si conoscevano. «Davvero non te ne sei accorto...?» Lui annuì lentamente e Nozomi fece un facepalm. «Beh? Che aspetti?»
«Non è troppo presto? E poi... Se non le piacessi?»
«Non potrai mai saperlo, se non glielo dici!» Nozomi aveva ragione, ma aveva paura di un ennesimo rifiuto. Specialmente non credeva che sarebbe riuscito a mandarlo giù facilmente se proveniente da lei. Si fece lo stesso convincere dall'amica. «A Daisy piacciono le rose nere», gli aveva detto e lui ne aveva comprata una. Quelle nere, stranamente, non appassivano.
Quel pomeriggio, si fece avanti. La vide seduta in un prato di gigli bianchi che leggeva, come sempre, un libro. Fece un respiro profondo e le si avvicinò. «Hey...» Daisy alzò lo sguardo e vide l'amico che guardava le sue scarpe, leggermente imbarazzato. «Hey», rispose. «Qualcosa non va?», aggiunse. Lui scosse la testa frettolosamente. «Daisy... Ecco io... Tieni!» Le mise la rosa davanti agli occhi, ancora imbarazzato. «Q-questa è per te!» La ragazza la prese e l'annusò sorridendo. Lui s'incantò a fissarla. «Grazie... È bellissima... Come facevi a sapere che adoro le rose nere?» Lui ridacchiò e si grattò una guancia imbarazzato e nervoso. «Hi-mi-tsu.» Lei lo guardò titubante, ma non ci fece tanto caso e tornò a guardare la bellissima rosa. Lui spostò lo sguardo nuovamente su di lei e, ancora rosso e balbettando, la chiamò. «Daisy... Ecco io... Io...» Lei lo guardò, non capendo dove volesse arrivare. Lui la fissò in quei bellissimi occhi nero pece e sentì mancargli un battito. Battito? Da quando aveva i battiti? Non capiva, ma non concluse la frase come avrebbe voluto. «Sono contento che ti piaccia.» C'era una nota di delusione nella sua voce e sperò vivamente che lei non se ne fosse accorta. «Ora devo andare. Ci vediamo dopo!» Corse via. Il petto gli faceva male, ma corse lo stesso via. Aveva appena perso la sua opportunità. Opportunità che un giorno si sarebbe pentito di non aver sfruttato. Nozomi lo fermò prendendolo per il braccio. Era rimasta nascosta dietro un cespuglio tutto il tempo a fissarli. «Perché non gliel'hai detto?» Lui si girò lentamente e lei vide la delusione nei suoi occhi, capendo. «Merita di meglio... Lei merita di meglio...» Fu l'unica cosa che le disse prima di andarsene. Nozomi l'aveva già capito ancor prima che lui lo dicesse, ma non voleva che le cose finissero così. Di certo, però, non poteva intromettersi con la decisione che aveva preso. Così vide il suo amico andar via e lei sentì la tristezza impossessarsi di lei. Lei, che credeva nell'amore. Lei, che era la speranza. Lei, che vedeva il bene in tutto. In quel momento si sentì spezzata ancora una volta.
Skikon, dopo essersi allontanato abbastanza dalle due, tirò un pugno ad un albero, imprecando subito dopo per l'idea idiota. Guardò la mano. Stava sanguinando. Si appoggiò all'albero e si coprì gli occhi con il braccio. «Sono proprio un'idiota...», sussurrò a sé stesso, sentendosi inadeguato anche in quell'occasione. Le sue ansie e le sue paure avevano nuovamente preso possesso di lui e i dubbi ora lo assalivano. Lui li aveva ascoltati per l'ennesima volta. Si sentì nuovamente inutile e idiota.
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