𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝐷𝑢𝑒

Il ragazzo, una volta terminate le lezioni, si fiondò fuori dalla porta e si diresse nell'aula di Daisy e Nozomi. Era eccitato e ansioso allo stesso tempo. Che impressione le farò? Riuscirò a farla cadere ai miei piedi? Pensava il ragazzo, correndo affannosamente nel corridoio della grande scuola.
Una volta di fronte alla porta, fece un respiro profondo e l'aprì abbastanza nervoso. Entrò nella stanza e fissò le due ragazze. Daisy era seduta sulla sedia e leggeva chissà quale libro, invece Nozomi stava di fianco a lei e le parlava di qualcosa che lui non riusciva a udire da quella distanza. «Ciao!», disse allegramente, avvicinandosi alle due ragazze. «Ciao Skikon!», rispose sorridente Nozomi. «Nozomi, giusto?»
«Non pensavo ti ricordassi ancora di me!» Era un po' sorpresa, ma anche contenta al tempo stesso. «Come potrei dimenticarmi di una ragazza come te!», disse, fingendo di non essersi davvero dimenticato di lei e poi passò il suo sguardo su Daisy. Aveva dei bellissimi capelli corvini lunghi fino alle caviglie legati in una coda alta, un paio di pantaloncini, una maglietta strappata in stile punk-rock, degli stivali - erano completamente neri, con solo le borchie grigie a fare da contrasto -, degli occhi color nero pece - mancava poco alla pupilla per scomparire. La pelle era così chiara che sembrava quella di un cadavere. Si notavano molto poco le piccole orecchie da lupo sulla testa, essendo di colore nero. La coda nera e folta dondolava lentamente tra le fessure della sedia. Era tutto il contrario di Nozomi insomma. Lei aveva i capelli color magenta - tendente al rosa - con alcune ciocche legate in due piccole codine e il resto dei capelli sciolti, un abitino magenta e delle ballerine del medesimo colore. Perfino i suoi occhi erano magenta e la sua pelle era molto più rosea di quella di Daisy. Si notavano perfettamente le piccole orecchie da gatto e la piccola e sottile coda.
«Tu devi essere Daisy», aggiunse infine. La ragazza non rispose. «Io sono Skikon! Che stai leggendo?» Nuovamente la ragazza non rispose e nella classe regnò il silenzio per qualche momento. «Di poche parole la raga-» Venne interrotto da un forte rumore: era Daisy che aveva chiuso il libro sbattendolo tra le mani. «Non parlo con gli umani. Ora smamma», disse secca e fredda, guardandolo con disprezzo. «Io non sono come gli altri umani... Non sono come quegli spregevoli...», mormorò e uscì dalla stanza di corsa. Nozomi guardava prima nella direzione in cui Skikon era scappato e poi Daisy, come se non sapesse che decisione prendere. Nel frattempo Daisy era tornata a leggere il suo libro come se nulla fosse successo. Alla fine Nozomi decise di seguire Skikon.
«Aspetta! Skikon aspetta!» Era senza fiato, l'aveva rincorso fino all'uscita ed ora non riusciva più a stargli dietro. Skikon, quasi vicino al cancello della scuola, si fermò di colpo. «Che vuoi!», rispose infastidito il ragazzo, sul punto di piangere. Odiava venir paragonato agli altri, a quei bulli. Rimase allibito, però, quando vide Nozomi inchinarsi. «Ti prego perdonala!»
«Perché mai dovrei?», chiese infine, con tono roco e freddo, dopo un momento di silenzio tra i due. «Mi ha paragonato a quelli.» La sua fronte era corrucciata ed aveva abbassato la testa. Il cui volto, poiché il sole stava tramontando, veniva oscurato dalla visiera del cappello. «Non è cattiva. É solo che... Non si fida degli altri, specialmente degli umani... Ti prego perdonala...» Skikon non sapeva che risponderle. La guardava stare ancora inchinata. «Ti prego...», aggiunse in un fil di voce. «Va bene... Ma solo per sta volta», disse sospirando. Subito sul volto della ragazza si formò un grande sorriso. «Grazie! Ora devo andare, Daisy si starà chiedendo che fine avrò fatto. Ci vediamo domani!» Vide la bambina correre via, tornando all'interno dell'edificio. «Sì... A domani...» Non sapeva esattamente a chi l'avesse detto. Si girò e s'incamminò verso casa.
Il giorno dopo e quello dopo ancora, Skikon tornò sempre a salutarle, anche se da Daisy ottenne sempre e solo freddezza e parole pungenti. Come quella volta in cui...

Skikon era seduto sulla sedia di fianco a Daisy, con il mento appoggiato sulle braccia. «Cosa leggi oggi di bello?» La ragazza non rispose, come sempre d'altronde. Skikon sospirò e guardò fuori dalla finestra. Nozomi era al banco affianco a finire i compiti per il giorno dopo, quando sentì Daisy rispondergli. «Perché sei così insistente?», chiese la ragazza esasperata. «Non ho un motivo in realtà, semplicemente non mi arrendo facilmente!» Appoggiò il mento alla mano e sorrise alla ragazza che lo guardava allibita. «Quelli come te non hanno senso...», disse infine e si rimise a leggere.

Un giorno però, mentre Skikon si recava nell'aula delle ragazze, durante la ricreazione, assistette ad una scena.
«Perché non torni da dove sei venuta, kyuketsuki?», disse il capo dei bulli, spingendo via la ragazza che fino a poco prima teneva per i capelli. La bambina urlò per l'urto e cominciò a piangere. Nel mentre i bulli la pestavano e le tiravano calci. «I kyuketsuki non sono ammessi qui!», aggiunse infine. Prima di poter dire o fare qualcos'altro, Skikon gli tirò un pugno in piena faccia, all'altezza del mento, ferendosi alle nocche per quanto dura era la sua faccia - quasi quanto quella di un tronco. «Non si trattano così le ragazze», disse ai tre in tono freddo. Il suo sguardo era diverso, incazzato nero, e si poteva benissimo notare la voglia di pestarli a sangue. Daisy arrivò di corsa ad aiutare Nozomi come ogni santo giorno ormai, ma si bloccò quando vide Skikon in piedi di fronte ai bulli. «Adesso stai dalla parte dei kyuketsuki? Hai tradito la tua specie! Non sei più degno di definirti un umano!», disse il bullo, asciugandosi il sangue dal labbro inferiore e alzandosi da terra. «Traditore», sottolineò in tono schifato. «Preferisco venir ripudiato dalla mia stessa specie che ferire una ragazza indifesa!» Si mise in posizione d'attacco, come a prepararsi per una rissa. «Quindi? Te ne vai o vuoi il doppio?» Gli fece una risatina di scherno. Gli facevano schifo le persone come lui. «Per questa volta ti lasciamo stare, ma la prossima non la passi liscia!» I tre bulli scapparono via e Skikon aiutò Nozomi ad alzarsi. «Stai bene?», chiese, controllando se avesse qualche graffio o altro, ma ogni ferita sembrava già essersi rimarginata. La ragazza si asciugò le poche lacrime rimaste e annuì. «Perché l'hai fatto? Perché l'hai aiutata?» Daisy aveva assistito a tutta la scena, ma prima di quel momento non era intervenuta. «Te l'ho detto. Non sono come loro», disse semplicemente, sorridendole. «Hai detto di chiamarti Skikon, giusto?»
«Hai... Perché?», inclinò la testa leggermente di lato, non capendo dove volesse arrivare. «Ti darò una chance, ma solo perché hai difeso Nozomi. Se scopro che in realtà l'hai fatto solo per avvicinarti a noi... Ti spaccherò la testa.» Il ragazzo rise di gusto, divertito dalla minaccia. «Va bene!» Finalmente i suoi sforzi erano stati riconosciuti. Finalmente aveva fatto amicizia con la perfida e gelida vampira che tutti temevano.

Dopo quel giorno i tre s'incontravano sempre all'uscita dalla scuola e andavano in giro fino a tarda sera. A volte si fermavano a guardare le stelle e parlare delle varie costellazioni. Altre volte semplicemente giocavano nel bosco e tornavano a casa spesso sporchi di terra e fango, con i rimproveri di Daisy e Rubino in sottofondo. Come uno di quei tanti giorni.

«Quella è Orione», disse Skikon puntando il dito verso la costellazione. «Wow! Certo che ne sai molto di stelle!» Il ragazzo ridacchiò alle parole dell'amica. «Ammetto che l'astronomia mi ha sempre affascinato.» Daisy, che fino ad allora non aveva aperto bocca, puntò il dito verso il cielo. «Quello è Sagittario. Pesci. Acquario. Poi c'è anche Andromeda, Aquila e anche...» Continuò ad elencarle tutte per un po', con Skikon che la fissava meravigliato e con un leggero rossore in volto. La ragazza si alzò e si mise a sedere sull'erba verde - piena di camelie - del piccolo boschetto. «Certo che ne conosci davvero tante...», disse sorpreso il ragazzo. «Studio. Tanto studio.» Skikon e Nozomi si guardarono per un attimo, scoppiarono a ridere subito dopo. «Dovevo immaginarlo!»
«Comunque... Voi che volete fare una volta diventate grandi?», aggiunse infine il biondino. «Io vorrei essere una stilista di moda! Era il sogno di mia madre, voglio poterlo realizzare per lei.» Guardò in basso, per un attimo, in un punto indefinito, per poi fissare il ragazzo. «Disegni degli abiti stupendi! Sono certo che si avvererà.» Le sorrise dolcemente e lei annuì. «Anche se non sono ancora ai livelli di mia madre», ridacchiò, leggermente imbarazzata. «Tu invece, Daisy?», chiese alla ragazza incuriosito. «Cantante», rispose semplicemente. «E tu?», infine aggiunse. «Io voglio diventare il miglior chitarrista che sia mai esistito!» Fece un grande sorriso e si mise in posizione fiera mentre fingeva di avere una chitarra tra le mani e suonarla. «Lo vedremo», disse Daisy in tono e sguardo di sfida e Skikon lo mantenne accennando un sorrisetto. Dopo un'altra mezz'ora abbondante di chiacchierata, Skikon accompagnò le ragazze a casa, prendendosi una strigliata da Daisy e Rubino appena sorpassata la porta. «Si può sapere dove siete stati?», chiese Daisy ai bambini. «Non è questa l'ora di tornare», aggiunse Rubino all'affermazione dell'amica. I ragazzi dopo un po' si guardarono, sorrisero e corsero su per le scale andando verso la stanza di Daisy. Aprirono la porta, entrarono, la chiusero - sbattendola - dietro di sé e la bloccarono con la grande scrivania. Si buttarono sul letto e si misero a ridere, mentre Daisy urlava Aprite! Aprite immediatamente! dall'altra parte della porta. Dopo una lunga attesa, le urla cessarono e Nozomi fu la prima ad iniziare la conversazione. «Cantate qualcosa? Vi preeeeego...» I due si guardarono e annuirono, iniziando a suonarle e cantarle una canzone, come ormai era consono fare. Una volta terminata la canzone Skikon le guardò. «Vorrei poter restare, ma ora devo proprio andare.»
«Tranquillo, ci vediamo domani», disse Daisy e Nozomi annuì. Il ragazzo uscì sul balconcino e si buttò. Le ragazze corsero immediatamente fuori, ma di lui non vi era già più traccia, si potevano solo vedere le impronte fresche sull'erba. «Certo che è davvero agile, per essere un umano...», commentò Nozomi. «Pensa se diventasse un vampiro...», aggiunse Daisy, in tono spezzato e poi andarono nelle proprie bare a dormire.

***

I giorni passavano e i ragazzi si sentivano sempre più uniti. Passarono l'intero inverno a giocare insieme. Poi però, con l'inizio della scuola, tutto cambiò.

Era la solita mattina d'estate e Skikon era come sempre in ritardo. Fece colazione in fretta, rispettando l'unica regola Non parlare con la fotografia della sorella e uscì di corsa di casa. Quel giorno si era guardato allo specchio per un po' prima di decidersi a mettere il suo berretto preferito, questo gli aveva fatto perdere tempo prezioso.
Una volta al cancello - aperto abbastanza da far, addirittura, entrare un immenso elefante - si colpì con le mani la faccia e corse verso Daisy e Nozomi - che parlavano del più e del meno -, buttandosi addosso da dietro, posizionando le braccia intorno al collo delle due e gridando Ohayo! a pieni polmoni. Nozomi rideva sorpresa, mentre Daisy accennò solo un piccolo sorriso. Quell'anno era diverso, era nuovo. Aveva passato l'inverno con le due amiche e per la prima volta - dopo tanto tempo - non si sentiva più solo, ma non aveva lo stesso smesso di odiarsi. Una volta guardato il tabellone, che avrebbe fatto sapere in che classe sarebbero capitati, entrarono in classe. Quest'anno erano capitati tutti e tre nella stessa classe – anche se, in realtà, Skikon aveva un anno in meno delle due. L'ennesima maestra iniziò la lezione e, nella sua seconda ora, fece fare un compito a sorpresa alla classe. Alla fine del compito si sentì un gran Ding dong dong ding Dong ding ding dong e la maestra strappò i fogli dalle mani degli alunni, lanciò un'occhiataccia a Daisy e si girò. «Domani vi porterò i risultati», disse secca, uscendo dall'aula. Arrivato il pomeriggio i ragazzi decisero di passare a guardare il mare, presero le loro cose e corsero fuori dalla scuola.

Come ormai era consono fare, Nozomi si fermò di colpo a guardare la bambina che rideva e scherzava con i suoi genitori. Daisy e Skikon si fermarono, vedendo che Nozomi la stava fissando. «A chi servono dei genitori? Fin quando saremo insieme, non avremo bisogno di nessuno, nemmeno dei grandi.» Protese il braccio in avanti. «Rimarremo insieme per sempre», aggiunse, accennando un sorriso. Le due ragazze si guardarono per un attimo e poi misero le loro mani sulla sua e gridarono tutti insieme Uno per tutti e tutti per uno! Alzarono le braccia al cielo e si misero a correre ridendo, giocando a a chi arriva primo. Dopo aver passato il resto del pomeriggio in spiaggia, si salutarono e se ne andarono ognuno per la sua strada.
Skikon, mentre camminava verso la strada di casa, ricordò benissimo come, l'anno prima, avesse fatto sapere alle due che sarebbe voluto diventare un vampiro e di come le amiche avessero reagito al riguardo, specialmente Daisy. Non riusciva a smettere di pensare a quanto gli sembrasse esagerata la sua reazione. «Tu non puoi capire. Siamo dei mostri! Dei mostri succhia sangue! Essere un vampiro non è poi così bello... Non siamo nemmeno vivi e poi non voglio privarti della tua anima.» Quelle parole continuavano a risuonare nella sua testa. Ancora e ancora, come se ormai fossero diventate parte integrante del suo essere. Il ragazzo aveva deciso, avrebbe chiesto a Daisy il motivo per il quale odiasse così tanto essere un vampiro.
Il giorno dopo, come promesso dalla maestra, i bambini ricevettero i voti dei loro compiti. «Mi aspettavo di più da lei, signorina Daisy. Il suo compito ha fatto davvero schifo.» Si rivolse alla classe, che iniziò a ridere schernendo la ragazza, mentre la maestra preparava il righello. Skikon era schifato dal suo atteggiamento, ma sapeva che non poteva intervenire contro un insegnante, quando sentì Daisy - che fino a poco prima teneva i piedi sul banco - sbattere le mani su di esso, quasi rompendolo. «Vorrei che mi mettesse il voto che merito realmente e non un'insufficienza solo perché sono una vampira», disse in tono gelido e di sfida. La maestra indietreggiò leggermente intimorita. «Come osi rivolgerti così a me?! Ti faccio espellere!»
«Ti devo ricordare chi è mia madre?», chiese in tono pacato, ma leggermente più alto di prima e non volendo darle del lei. «Se davvero lo volessi, potrei semplicemente dire a mia madre di eliminarti dalla faccia della Terra. Sarebbe come se non fossi mai esistita», aggiunse, sostenendo il suo sguardo, in tono accusatorio. La maestra non rispose, era come se fosse diventata un cucciolo indifeso che inciampava e cadeva sulla sua stessa coda. Daisy prese il suo zaino e uscì, senza voltarsi, dall'aula. «Daisy aspetta!» Nozomi prese freneticamente le sue cose, fece un inchino all'insegnante e la rincorse, uscendo anche lei dall'aula. «Se loro due se ne vanno, me ne vado anch'io», disse Skikon, alzandosi dalla sedia e prendendo le sue cose. «Dove crede di andare signor Tim?!» Prese Skikon per il braccio - quasi strattonandolo - e facendogli un livido per quanta forza usò. Lui si scostò bruscamente. «Toccami di nuovo e giuro che ti prendo a pugni. Non m'importa più il suo "status sociale". Lascia in pace le mie amiche e smettila di trattarle così.» La maestra indietreggiò e lasciò passare il ragazzo - che fino a poco prima la guardava in lupesco -, che se ne andò dalla classe. «Matte!», gridò alle amiche, che si fermarono. «Sei stata fantastica!», rideva di gusto il ragazzo. «Stai scherzando, vero? È stata una follia! Daisy devi andare a scusarti!», disse impaurita Nozomi. «Neanche per idea. Ha avuto quello che meritava. Così impara a mettersi contro la sottoscritta», disse, spostandosi i capelli dietro la schiena e mettendosi in una posa fiera.

Camminarono fino alla ringhiera, che separava la strada dal mare in tempesta alla loro sinistra, parlottando. «Penso ancora che dovremmo tornare indietro e scusarci...», disse Nozomi per l'ennesima volta, che fino a quel momento stava rimuginando sulla situazione. «Se ci tieni tanto, fallo te.» Daisy si girò di colpo a fissarla. «Non sono la tua babysitter, puoi fare quel che cazzo ti pare», aggiunse infine. «Demo...»
«Daisy, calmati. Nozomi, capisco il tuo punto di vista, ma non ne possiamo più di come si comporta con noi. Ha avuto quello che si meritava, dovresti capire. Siamo stanchi», disse il biondo all'amica. Nozomi non rispose, si limitò solo ad annuire. Lo capiva, eccome se lo capiva. Desiderava da sempre che la gente smettesse di comportarsi male con loro, ma non era coì che si sarebbero sistemate le cose secondo lei.
Dopo aver camminato fino ad un boschetto, i tre si fermarono a fissare il panorama. Daisy e Nozomi erano vicine ad un campo di fiori mentre Skikon era dietro di loro che le fissava. «Posso sapere perché... Odiate essere vampire? Oltre al fatto che vi maltrattano intendo...», disse, in tono flebile, quasi impercettibile. Daisy allora raccolse un tulipano da terra e glielo mostrò. Il fiore appassì quasi subito. «Questo è uno dei motivi... Non abbiamo un'anima, non abbiamo un riflesso, siamo dei morti viventi... Il nostro cuore non batte... Ci nutriamo di sangue per vivere... Non possiamo mangiare il vostro stesso cibo... Siamo immortali... Dei mostri...» La ragazza lo guardò fissa, con occhi stanchi, sottolineando l'ultima parola. «Mi manca il cibo umano», aggiunse, qualche minuto dopo. «Ma essere un vampiro ha anche i suoi vantaggi, no? Sapete volare, avete i poteri fighi. Siete molto più forti.»
«Sono di più le qualità negative che quelle positive», disse, contraddicendolo. Skikon non rispose, non voleva insistere ulteriormente. Vide l'amica addentrarsi nel piccolo campo di fiori e ad ogni suo passaggio i fiori appassivano.

Quel giorno si salutarono verso sera tarda e Skikon, come al solito, si diresse a casa più in fretta possibile. Una volta davanti alla porta, fece come sempre un respiro profondo e aprì la porta. Appena l'aprì con la mano destra, accennò un Tadaima quasi impercettibile, ma alla vista della madre di fronte a lui, si bloccò subito. Il suo sguardo cadde subito sul coltello che aveva in mano. «Okaasan... Perché hai un coltello...?» Aveva paura, aveva davvero tanta paura. «Perché... Perché torni sempre tardi...»
«Okaasan...?», disse in un fil di voce, ma la madre sembrava non sentirlo. «Sono stanca del tuo comportamento... Stanca... Dovresti solo morire...» Skikon fece per scappare, ma la madre lo prese per i capelli e lo buttò a terra. Aveva sempre dovuto sopportare gli abusi e gli stupri da parte della madre, ma non era mai arrivata a tanto. La donna stava per pugnalarlo, ma Skikon, con la mano, prese a stento e freneticamente il vaso che si trovava sul comodino dietro di lui e colpì la madre alla testa che perse l'equilibrio. La prese per le braccia e si mise a cavalcioni su di lei, iniziando a pugnalarla. La pugnalò venti volte, anche se era già morta. Una volta ripreso da quella strana trance data dalla paura, si alzò lentamente facendo scivolare il coltello dalle mani e guardandosele. Era scioccato. Aveva le mani e i vestiti sporchi di sangue, in più esso era schizzato anche sul muro e attorno al corpo della donna, ora, vi era una pozzanghera di un rosso denso e scuro. Non sapeva cos'avesse appena fatto. Si lasciò scivolare contro il muro - tremante -, portò le ginocchia al petto e seppellì la testa. Restò così per cinque giorni di fila, senza muoversi di un centimetro. Poi al tramonto del quinto giorno, alzò la testa, si guardò intorno e si alzò di scatto. Iniziò a scavare una tomba proprio di fronte alla porta di casa, abbastanza profonda da non far notare a nessuno che ci fosse un corpo. Trascinò il corpo della madre fino alla tomba e la buttò dentro, pulì la striscia di sangue lasciata dal corpo e tornò in casa. Lavò il coltello, le mani e il suo volto, mise i suoi abiti nella lavatrice, si mise abiti puliti e pulì da cima a fondo l'intera stanza.

Uscito di casa, si mise a cercare un lavoro. Non voleva finire in riformatorio, non voleva che finisse in carcere o in qualsiasi altro luogo. Nessuno sarebbe venuto a conoscenza di questo piccolo incidente. Inoltre doveva per forza iniziare a lavorare per sopravvivere.
Mentre camminava, vide un volantino con scritto Cercasi cameriere e entrò in fretta nel piccolo neko cafè. «Scusi, ho letto il volantino. Vorrei poter lavorare qui», disse piano il ragazzo. La ragazza dietro al bancone si guardò intorno, non capendo da dove provenisse la voce. «Sono quaggiù.»
«Oh, scusami, non ti avevo visto. Non sei un po' troppo piccolo per lavorare? Quanti anni hai?»
«Sei, ma ho bisogno di questo lavoro», disse soltanto. «Va bene. Ti daremo questo giorno di prova, ma se non sei portato, per favore non chieda di venir assunto.»
«Va bene, non la deluderò.» Si mise l'outfit da butler e si mise a servire i tavoli. Aveva due vassoi nelle mani, uno in testa e uno lo teneva con la punta del piede. «Ecco a lei, signore!» Lanciò uno dei vassoi che aveva in mano, che atterrò senza far cadere niente, sul tavolo. Fece lo stesso con l'altro vassoio nell'altra mano, lanciò in aria quello che teneva con il piede, lo prese con la mano e lanciò anche gli ultimi due. Tutti battevano le mani per la sua bravura, lo adoravano e lo trovavano adorabile e carino. Sei assunto!, disse la ragazza e Skikon saltò di gioia urlando un Yatta!.

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