あっばんどの (abbandono)
Prima parte
La fredda luce lunare si insinuava nella camera mal illuminata della ragazza, creando così giochi di luce intricati e misteriosi. Essi si muovevano in sintonia, come se qualcuno o qualcosa stesse muovendo quei raggi di luna, sottili e taglienti. Sembravano le ragnatele del sogno.......
Ah, ma chi poteva prenderla in giro! Hanako si rigirò debolmente per l'ennesima volta sul suo futon. Non riusciva a dormire, sia per la febbre che la stava devastando, sia per un sogno. Era sempre lo stesso.
Ogni notte si ritrovava su una collina scura, priva di vegetazione o di qualsiasi altra forma di vita. Il cielo era più scuro del solito e faceva molto freddo. Il vento-nel sogno- la flaggelava e la torturava, per sadismo. Hanako si difendeva dalle raffiche della Borea, avvolgendosi con le braccia flessuose. Aveva il kimono strappato in molte parti. L'obi pendeva verso il basso, le maniche lunghe dell'abito sembravano un'opera d'arte asimmetrica e indecifrabile, per come erano state distrutte. Il suo chignon era scomposto, ogni ciocca di capelli sfuggiva al tentativo della ragazza di sistemare la sua acconciatura. Ogni dettaglio della sua persona era rovinato, come la sua anima.
Nel suo sogno, cercava qualcuno che la aiutasse, che la confortasse e che la tenesse al sicuro. Ma non vi era nessuno, se non una pagoda minacciosa e abbandonata da tempo. La ragazza, febbricitante più che mai, cercava di raggiungerla a stento, quando sottilissimi fili le tagliarono la strada.
Dovevano essere di un ragno. Oh sì, lo erano! Ma erano diverse. Erano più affilate e avevano un argento particolare. Il sogno proseguiva soltanto con una voce gelida ma allo stesso tempo morbida. Diceva solo: 'Straniero, lascia stare la vita pacifica della mia famiglia...."
Hanako, sussultando, si girava per individuare la fonte della voce, famigliare ma lontana. Alzò gli occhi in alto, ma vide solo un volto cereo e nulla più.
Di nuovo si ritrovava nella sua camera. Quella voce l'aveva terrorizzata, però l'aveva attratta, come se fosse un flauto suonato da un samurai o da un'imperatrice delle vecchie leggende raccontatale dal nonno. Quel timbro basso e severo aveva lacerato l'insicurezza dal cuore di Hanako e l'aveva convinta a cercare colui che le aveva suggerito di andarsene.
La giovane si levò a sedere e osservò le pareti della stanza. Doveva almeno ricordare il volto. Strinse gli occhi, fino a ridurli ad una fessura, ma non vide nulla. La mente, la fronte bruciavano per la malattia e non permettevano ad Hanako di concentrarsi. Stava diventando sempre più debole.
Suo marito non aveva avuto voglia di farla visitare da un dottore. Dopo quella nottata, egli era stato così arrabbiato con lei che per punirla aveva deciso di lasciarla morire. Era terribile! Dover pensare di essere costretta ad essere consumata dalla febbre in una stanza buia la spaventava a morte.
Da bambina aveva sempre avuto paura del buio. Sua madre e suo padre, ogni qualvolta Hanako piangesse, la sgridavano aspramente per il baccano che stava facendo. 'Sei una signorina, dannazione! Non dovresti gridare così tanto!' le ripeteva la madre indignata.
'Se continui a frignare, ti prenderò a frustate!'. Suo padre amava minacciarla in tal modo, anche per le cose più sciocche.
Sebbene la sua anima odiasse coloro che l'avevano generata, Hanako non riusciva a capacitarsi. Perché era nata malata e inutile? Perché non poteva avere un corpo sano e vivace? Che cosa aveva fatto di male? Che peccati aveva commesso nella sua vita precedente?
Tutte queste domande assilavano la mente della giovane, provata dal morbo e dall'agitazione. Non potendo più restare diritta, si sdraiò di nuovo. Nonostante la sua debolezza, le sue orecchie captarono una conversazione tra Fujimaro Maeda, il barone a cui i suoi genitori avevano dato in sposa e il medico, il signor Naragaki.
"Non sopporto più la sua vista. Non voglio più sentire i suoi lamenti e le sue richieste!" esclamò il signor Maeda, bevendo un'altra tazza di sakè. Il dottore del villaggio, un uomo migherlino dal kimono grigio chiaro, dagli occhi neri e dolci e dal volto emanciato, abbassò le iridi cinti dagli occhiali di metallo.
"Mio signore, Hanako è gravemente malata e potrebbe rischiare la morte. Se dovesse cedere, la sua stirpe cadrebbe nel disonore. Senza un figlio, nessuna famiglia nobile è riuscita a resistere." Sussurrò l'uomo con la sua vocetta melliflua. Maeda era l'opposto del signor Naragaki. Corpulento, col collo taurino, gli occhi grigi e austeri, il doppio mento pronto a cadere dal viso grosso. Aveva grossi piedi, anche. Dopo la notizia del dottore, il barone sussultò.
"Che cosa?!" Ululò.
Hanako si coprì le labbra con entrambe le mani. Stava per morire! E nessuno glielo aveva detto! Gettò il suo viso nel cuscino, per non far sentire i suoi singhiozzi.
"Morirà, mio signore, e se dovesse accadere, si scatenerebbe lo scandalo." Riprese l'ometto, prima di infilare nella mandibola un altro pezzo di tonno.
"Questo non dovrà succedere!" Urlò il signor Maeda, facendo sbattere un pugno sul tavolo. Per poco tutte le pietanze-persino le focaccine dolci, amate dal nobile- svolazzarono verso il soffitto di legno.
"Dovrò curarla, ma il suo stato di salute non me lo consentirà, mio signore....." sussurrò il piccolo medico.
Fujimaro bevve altro liquore e si mise a riflettere. Se avesse lasciato morire Hanako, la vergogna si sarebbe abbattuta su di lui. Un erede era essenziale per mantenere il suo controllo su tutto il villaggietto in cui era stato costretto a vivere. D'altro canto, curare la ragazza, avrebbe anche provocato le risa altrui. Sarebbe stato così lo zimbello di tutta la nobiltà.
Nessun uomo doveva assistere le donne malate, soprattutto quelle sterili. Ah, ci aveva provato molte volte con Hanako ad avere un figlio, ma era inutile. Il suo corpo era fragile ed era un peso per Fujimaro e per i suoi capricci sessuali ed economici.
"La abbandonerò sul monte Natagumo! Non voglio che muoia in questa casa. Mi viene da vomitare, ogni volta che la ossservo!" Sentenziò il barone, senza nessuna emozione.
Naragaki impallidì e si strozzò con la zuppa di pesce per la paura.
"Mio signore, il monte Natagumo è pericoloso. Vi vivono dei demoni malvagi! È sicuro di voler abbandonare sua moglie lì?!" Esclamò l'omino.
"Ne sono sicuro. Che crepi lì tra denti aguzzi e spiriti maligni." Replicò il signor Maeda con freddezza.
"Lei è un folle! Si dice che chi osi andare su quel monte, verrà ucciso da una famiglia composta soltanto da ragni." Lo avvertì il medico, piagniucolando.
Maeda si alzò ritto e schiaffeggiò l'uomo.
"Taccia! Se voglio abbandonare Hanako sulla montagna, che resti lì!" Urlò.
La ragazza, sentendo tutto, gridò impaurita. Volevano abbandonarla. Tra i demoni e gli spiriti malvagi. Che fine orribile, oh, che fine orribile! Doveva ribellarsi! Non poteva andarsene da questo mondo divorata da un demone!
Avrebbe reagito. Si alzò a stento dal suo giaciglio e, barcollando, raggiunse la porta scorrevole. Ma, improvvisamente, il medico le apparve di fronte. Era in lacrime.
"Hanako-chan, deve venire con me." mormorò. La ragazza era troppo debole per divincolarsi, eppure piangeva.
"Dottore, la prego.....no...." mormorava. Il medico, scuro in volto, la trascinava fuori dalla casa. Sebbene provasse a fare un tentativo di evasione, la febbre sottometteva la ragazza, rendendola inerme.
La fronte pulsava, le cellule del suo corpo tremavano, non riusciva a ragionare. Non capiva dove stessero andando. La visuale della giovane le permetteva di scorgere la sagoma di una collinetta scura.
Voci diverse si confondevano nel suo cervello delirante. La facevano urlare, la facevano piangere e le provocavano gemiti.
L'omino la trascinò tristemente all'ingresso del monte, per farla morire.
Nota autrice:
Salve ragazzi e ragazze! Scusate se questo capitolo mi è venuto lungo, ma ho avuto tante cose da dire! Tranquilli, questo capitolo sarà diviso in due parti. Questa è la prima parte. La seconda spero che sia decente :,)
Comunque, bye💞
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