98: Suitable.


Le mie dita sembrano percorse da continue scariche elettriche mentre mi sistemo i braccialetti al polso, che tintinnano e calmano per una frazione di secondo l'adrenalina, che scorre come un fiume in piena dentro di me. Mi sistemo il girocollo beige, che mi è sempre sembrato troppo elegante ma che adesso calza a pennello per l'occasione, e mi scruto allo specchio: i capelli sono più gonfi del solito e le loro consuete onde sembrano affogare nella marea, ma il sorriso che rivolgo al mio riflesso mi rilassa, leggermente. Prendo il telefono mentre raggiungo la penisola della cucina, vedendo Tyler con la mano appoggiata alla maniglia, nervoso quanto me:-Si parte?- chiede, gli occhi più grigi del solito. Annuisco, avvolta da un fascio di nervi, e camminiamo svelti alla macchina. Durante il tragitto, la radio rimane spenta e la guida di Tyler si fa precisa e calibrata, non spiccicando parola ma appoggiando qualche volta la mano sul mio ginocchio, che muovo nervosamente; mi faccio lasciare di fronte al negozio Sullivan, e mentre Tyler cerca un parcheggio per la macchina, che nel pomeriggio scarseggia sempre, io faccio un paio di respiri profondi, conficcando le mie unghie nei palmi delle mani per togliermi l'ansia di dosso. Dovrò sembrare naturale, sicura di me e alla mano, ma questo è il mio primo colloquio di lavoro e tengo davvero tanto a questo impiego. Appena varco la porta a vetri, la campanella risuona delicata, fendendo l'aria che sa di plastica: intorno a me, delle fini colonne in muratura espongono in bella vista ogni tipo di montatura, e gli specchi, appesi qua e là lungo le pareti del negozietto, rendono l'atmosfera dai colori scuri e contrastanti magica. Le luci sono sistemate a regola d'arte, illuminando la stanza di un bianco caldo e soffuso, e quando mi ritrovo di fronte al bancone, di marmo rosso, una donna bionda di mezza età mi sorride, curiosa dell'espressione che mi dipinge il volto:-Buon pomeriggio. Desidera?- mi chiede, abbassando la testa e facendomi vedere meglio gli occhi azzurri, che prima erano nascosti da degli occhiali da vista viola. -Ho un colloquio di lavoro per le 16 con il signor Lemans- il volto segnato dagli anni si illumina, e la signora chiama Jonathan Lemans a gran voce. Un signore più anziano di lei, dal viso solcato dalle rughe ma la barba ben curata, esce da una piccola stanzina, presumo il ripostiglio o il magazzino, e si presenta, dicendo poi:-Lei dev'essere Eleanor Pierce. Prego, mi segua- mi conduce in quel labirinto di specchi che è il corridoio che collega l'ingresso, che si occupa di ottica, alla seconda stanza, che per me è come tornare in quel negozietto anonimo, in cui ero stata una volta a comprare la carta per la Polaroid. I lati sono sormontati da vetrine, che espongono obiettivi dalle caratteristiche più disparate, macchine cinematografiche, macchine fotografiche e videocamere di ogni genere e budget. Al centro, addossato alla parete, un bancone di legno dipinto di verde scuro si staglia nella angusta stanza, e Jonathan lo circumnaviga attraversando una porticina stretta. -Allora... Ecco i fogli prestampati; se puoi, portameli già domani. Siccome sul tuo curriculum hai scritto che fai un corso d'arte nel pomeriggio, ti ho messo i turni di mattina: si comincia alle sette e mezza e si finisce all'una e mezza, anche se spesso chiudiamo un'ora prima. Se hai bisogno di un giorno libero, di ferie o di quant'altro, devi avvisare almeno due giorni prima. Se vuoi cambiare i turni dimmelo adesso, perché dovrò modificare i fogli e stamparli di nuovo- guardo i documenti che distribuisce sul banco, non poco confusa. -Ma... Non vuole chiedermi nulla? Non vuole assicurarsi che svolga il mio lavoro... correttamente?- sorride, mostrando le guance paffute e un rossore genuino. -Il tuo curriculum è ottimo, la tua email è stata molto esaustiva e mi piace sia la tua attitudine, curiosa, sia il tuo sguardo, indagatore. Si vede che non è la prima volta che vedi queste cose. E poi, mi serve un visino giovane, altrimenti non entrerà nessuno a comprare- ridacchio debolmente alla sua battuta, incredula. -Che c'è? Devi chiedermi qualcosa?- domanda serio: vuole capire se sono sulla sua stessa lunghezza d'onda, o se ritardo a capire l'approccio che ha voluto usare con me. -Due, in realtà: come devo chiamarla? E quando comincio?- la sua risata risuona piacevole nella piccola stanza, e la sua risposta è chiara e allegra:-Jonathan. Inizi la mattina del 13- annuisco, lo ringrazio ed esco dal negozio ancor prima che Tyler sia riuscito a trovare un parcheggio. Gli occhi mi diventano lucidi per un attimo, e guardo il cielo azzurro sperando che mia madre, ovunque si trovi adesso, possa vedermi. Sono ancora qui, e sto vivendo per entrambe.

La telefonata che svolgo con la banca è lunga e noiosa, ma quando subentra Tyler, chiedendomi di mettere il vivavoce e assistendomi quando non capivo qualche termine tecnico, riesco a completare il mio obiettivo: finalmente, ho reciso l'ultimo legame che era rimasto con mio padre, e adesso mi sento davvero rinata. I sorrisi che rivolgo a Tyler sono fin troppo solari e sarebbero stati malissimo sul viso bianco cadaverico che aveva la vecchia Eleanor, quella che viveva con Shaq e Logan, che li trattava come degli animaletti fastidiosi. Adesso mi sento terribilmente diversa, ma stare in questo nuovo corpo, che riesce a mangiare e a ridere con sincerità, non mi dispiace. -Ti meriti dei festeggiamenti come si devono- mi dice Tyler, mentre finiamo di vedere un episodio di "Altered Carbon", una serie tv futuristica che abbiamo iniziato a vedere insieme ogni volta che lui terminava i turni in ospedale. -Mi basta stare qui, godermi un bel tè caldo in tua compagnia e procrastinare- la sua risata è limpida e meravigliosa, e una ciocca castana dei suoi capelli mi stuzzica la fronte. -Suoni come una vecchietta dolorante. Hai ventidue anni e degli amici stupendi, perché non sfruttare entrambe le cose?- lo guardo alzando un sopracciglio, chiedendomi da quando lui ha voglia di divertirsi così tanto. -Quando dovrai lavorare ti pentirai della decisione che stai per fare. Dai, solo un bicchiere alla Chimera e poi torniamo a casa. Hai raggiunto davvero un grande traguardo- sa benissimo che non ho la capacità di resistere a quegli occhi meravigliosi che ha, incorniciati così bene dalle folte ciglia scure. -Solo uno!- gli dico, facendolo ridere.

Mi sudano la schiena, il collo, le ginocchia. Struscio il gomito contro qualcosa, o qualcuno, ma mi è tutto così distante. L'unica cosa che invece mi è estremamente vicina, è il corpo di Tyler, che si scatena in mezzo alle persone. Intorno a noi intravedo anche Logan, Shaq, Rich e Marylin. Madison, stranamente, non c'è. Alzo le braccia, che finiscono sulle spalle di Tyler, e sorrido, sentendomi la testa vuota e gli occhi più grandi del solito: incanalano le luci della pista, colorata e dai toni violacei, e sembrano proiettare le diverse sfumature del colore del tuono di Tyler. Le mani che lui mi appoggia sui fianchi mi fanno capire che io, come lui, mi sto scatenando. Chissà quanti Long Island ho bevuto, o se ho bevuto altro. O se ho fatto altro. La mia gola è secca ma piccante, e adesso capisco perché le persone si ubriacano: questa sensazione non è fantastica, ma è gradevole. Non mi permette di controllare bene il mio corpo, ma avere Tyler al mio fianco non lo fa risultare un problema, e non mi divertivo così tanto da talmente tanto tempo che la mia mente ne ha rimosso il ricordo. -Ti avevo detto che ti saresti divertita- mi urla lui con la sua voce bella, profonda e che mi rigira lo stomaco ogni volta. -Divertita? Sono al settimo cielo- gli rispondo, facendo una piroetta e cantando le parole della canzone, anche se non l'ho mai ascoltata prima d'ora. I miei amici ridono e Logan mi passa un cocktail, probabilmente mio: finisco la bevuta, che sa di limone dal retrogusto amaro, e guardo il bicchiere, ormai vuoto. -Era il tuo gin lemon- commenta Rich, vedendomi perplessa. L'ho veramente scolato in un sorso? Ridacchio e alzo il bicchiere in aria, brindando a tutte le vittorie che ho realizzato. Quando, all'età di sedici anni, sentivo che i miei compagni di classe andavano a ballare o andavano a bere per la loro prima volta, io pensavo che fosse una cosa disgustosa, futile e illegale. Ma probabilmente, la pensavo a quel modo perché non avevo ancora trovato le persone giuste con cui divertirmi ed esprimere il mio vero carattere. Non che adesso diventerò una ballerina o un'ubriacona, o che in realtà sono fatta per trascorrere le notte nei locali, ma d'ora in poi, se Tyler o qualcun altro mi inviterà a passare una serata tra alcol e musica, non dubiterò come avevo fatto questa sera. Marylin si tiene una canna tra le labbra sottili, per poi passarla a Shaq; Rich, Tyler e Logan ballano insieme a me, dimostrando la metà della loro età, facendomi ridere e rendendomi esaltata come mai prima d'ora. Non ho mai chiesto il mondo ma non ho mai chiesto neanche questo: eppure, qualcosa mi dice che quel giorno, su quell'aereo, dovevo accettare la proposta che Logan e Shaq mi avevano fatto. Il viaggio a San Diego, in confronto a tutti quelli che ho fatto nella mia vita, di per sé non è eclatante: ma le persone con cui ho viaggiato lo hanno reso irripetibile.

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