96: Envy.


La casa del padre di Tyler, contrariamente a come avevo pensato, è piuttosto lontana dalla macelleria, talmente a Sud da farmi confondere per un attimo quando imbocchiamo l'uscita per Orange. Usciamo dalla città e Tyler fa imboccare abilmente la macchina in una strada di campagna, ma dopo poche miglia giriamo prendendo una strada sterrata e raggiungendo la casa del padre, una piccola casa indipendente tra gli alberi scuri, illuminata da lampioni neri dalle luci calde. Il cancello si apre e Tyler parcheggia il suo suv vicino ad una vecchia Chevrolet beige. Scendiamo, e ammiro la fortezza di Christof White: la casa è in mattoni scuri e il giardino che la circonda è piccolo, ma caratterizzato da un laghetto e da molte piante tagliate ad arte. Intravedo una piccola serra sulla destra, fiancheggiata da un orto e da una siepe profumata che costeggia il muro. -Quando c'era mamma questo posto era pieno di rose. Poi mio padre le ha tolte tutte e le ha messe nella serra- mi spiega Tyler, aggiungendo, orgoglioso del lavoro di suo padre:-Dopo cena ti ci porto- annuisco curiosa e raggiungiamo la porta. Bussiamo leggermente, e il padre di Tyler ci apre sorridente, facendo uscire nell'aria autunnale un profumo d'arrosto squisito:-Ecco i miei ragazzi preferiti. Entrate- quando entro, mi sento investita dal profumo di carne e rosmarino: l'aria che respiro sembra quasi festiva, e tutta la casa risplende per l'occasione, facendo sembrare gli spazi piccoli più grandi e luminosi. -Ciao Eleanor. Sei incantevole, come sempre- do due baci sulle guance del padre di Christof mentre ridacchio per la sua pronuncia del mio nome, che evidenzia la L e la R. -Mentre finisco di cucinare, le fai fare un giro?- chiede a Tyler, che dopo averlo salutato annuisce. -Vieni- mi invita, e io gli sorrido felice mentre prendo con dolcezza la mano che mi offre. La casa si sviluppa su tre piani: nel primo ci sono una piccola cucina, un salotto pieno di libri e di legna da bruciare, un camino enorme che divide le due stanze e un ripostiglio pieno di strumenti per pulire. Salendo le scale a chiocciola, si raggiunge il secondo piano, nel quale vi sono le camere dei genitori di Tyler e la sua cameretta, con un bagno e uno studio nel mezzo. Tyler non mi mostra la veranda, che si può raggiungere solo tramite una scala a pioli, dato che l'unico accesso è una botola nel corridoio, ma mi spiega che è dove lui giocava da piccolo, indisturbato e immerso nel suo mondo. Appena finisce di mostrarmi camera sua, che è minimale e praticamente vuota, suo padre ci chiama:-Lavatevi le mani e venite, che il polpettone è pronto!- ci urla, e io sorrido, invidiosa di quello che ha avuto Tyler, una famiglia. Mentre mi lavo le mani e guardo il mio ragazzo dallo specchio, divento improvvisamente triste: quanto avrei voluto trascorrere le cene così, riuniti tutti insieme sullo stesso tavolo! Avremmo mangiato tutti i manicaretti che sapeva preparare mia madre, mentre mio padre avrebbe parlato della sua azienda che spicca alle stelle e io poi avrei mangiato in silenzio, con un peluche tra le gambe e la voglia di finire tutto in fretta per poi poter mangiare il gelato. Dopo pranzo, avrei aiutato mia madre a pulire e poi ci saremmo sdraiate sull'erba del giardino, e lei mi avrebbe accarezzato i capelli mentre io avrei analizzato un fiorellino strappato dal prato. Oppure, se fosse stato inverno, ci saremmo tutti riuniti al caminetto, mia madre a leggere, io a giocare con delle bambole e mio padre a scrivere delle mail ai suoi clienti.

E invece no.

Nulla di questo è accaduto, nemmeno una volta, e la felicità più grande che abbia mai provato in famiglia è stata quando i miei nonni, i genitori di mia madre, erano ancora vivi e per Natale ci portavano un tacchino ripieno preso al supermercato. Pranzavamo sotto la luce a neon della cucina di mia madre, senza riscaldamento e senza parlare di niente, per poi aprire quei due regali che mi trovavo sotto l'albero, che erano rispettivamente dei miei nonni e di mio padre. Quello di mio padre lo buttavo sempre nel cestino, senza neanche aprirlo, e da quando avevo quattro anni mia madre cominciò a raccoglierlo di nascosto e a venderne il contenuto. -Che succede?- mi chiede Tyler, fermandomi fuori dal bagno, notando quel velo di tristezza che non mi fa godere come vorrei l'attimo. -Sono invidiosa di te e della tua famiglia. Non ho mai sentito così tanto calore, così tanto affetto- gli spiego, senza piangere ma sentendomi soffocata dall'angoscia. -D'ora in poi, quel che è rimasto della mia famiglia sarà anche tuo. Per Natale verremo qui, e pranzeremo tutti insieme. Poi tu disegnerai in giardino e io studierò in soggiorno, mentre mio padre poterà le piante. Non pensare al passato, ma immaginati il futuro- lo guardo e sospiro, abbracciandolo. -Grazie. Teniamoci liberi, questo Natale- e lui risponde all'abbraccio stringendomi. -Siete cascati nel cesso, per caso? Skol'ko vremeni vam nuzhno, chtoby priyti syuda?!- urla il padre di Tyler, includendo una frase in russo che non capisco. -Arriviamo! Ne govori po russki!- gli risponde Tyler, facendomi intuire che conosce perfettamente il russo; "beh, che ti aspettavi?". -Che hai detto?- gli chiedo divertita, e lui mi dice:-Che non deve parlare russo, vozlyublennaya- mormora accarezzando quelle parole che non capisco, facendomi arrossire:-Che hai detto?!- ripeto, e lui dice soddisfatto:-Che non deve parlare russo, dolcezza- e sento del vapore uscirmi dalle orecchie, dato che non ho più superficie per arrossire. Lascio quel velo di tristezza nel minuscolo bagno della casa di Christof, abbandonandolo sul ripiano di ceramica del lavandino dato che non ne posso più di rovinarmi la vita con i miei pensieri.

Dopo aver cenato sotto la luce di un tiepido lampadario e con un favoloso polpettone accuratamente preparato da Christof, con la migliore carne della sua macelleria, per smaltire la cena aiuto il padre di Tyler a sparecchiare e poi mi faccio portare dal mio ragazzo alla piccola serra di rose del padre. Appena fa scorrere la porta dell'entrata, delle luci neon gialle illuminano lo stretto corridoio che divide le due file di piante. Spalanco leggermente la bocca, stupita, quando vedo quante piante di rose sono stipate in questa piccola serra, tutte ben accudite e potate alla perfezione:-Ti piace, moya lyubov?- mi chiede Tyler, parlando in russo come ha fatto alcune volte questa serata. -Sai che devi tradurlo, per me- mi spiego sorridendo e amando sempre di più il suo accento russo, che rende la sua voce ancora più profonda e sexy. -Moya lyubov vuol dire amore mio, e abituati a questo soprannome, dato che dirlo in inglese mi infastidisce- arrossisco come una scolaretta ma ridacchio:-Come mai ti dà fastidio?- e lui alza le spalle, rispondendo:-Non lo so, ma non suona bene come moya lyubov- ci sono tante cose che non conosco di Tyler. Chissà se è vissuto in Russia o se suo padre gli ha insegnato la lingua. Chissà se invece il russo gliel'ha insegnato sua madre, e inizia a parlarlo solamente adesso in mia presenza perché siamo nella casa in cui lei è vissuta, e in cui il suo ricordo marchia con amore le rose che ci circondano. -Anche a me piace di più moya lyubov- lui mi bacia il capo con delicatezza, come se potessi rompermi, dicendo:-Lo hai detto anche con la pronunica giusta. Brava, lyubov- cammina lentamente per il corridoio, mostrandomi tutte le rose mentre il mio naso si riempie di quell'odore zuccherino e simile al miele, ma più fruttato e primaverile. Siamo appena entrati nel mese di settembre, ma queste rose sembrano appena sbocciate e mi trasportano ai giorni di marzo. -Mia madre era ossessionata con le sue rose. Non le ho mai chiesto perché, ma le custodiva come se fossero un tesoro. Voleva che, una volta morta, le bruciassimo tutte, ma mio padre non ce l'ha fatta e ha bruciato solo quelle blu, le sue preferite. Le altre le ha tenute qui, e quando capita ne crea delle altre dai boccioli, che stacca e inserisce in vasi vuoti. Adesso siamo circondati, ma mi ricordano mia madre e voglio pensare, per quanto assurdo, che parlando a queste rose possa in qualche modo farmi sentire da lei...- Tyler mi parla con un tono dolce, incredibilmente dolce, e intanto poggia un braccio sulle mie spalle mentre cerca di proteggerci dal dolore che gli sta pungendo la schiena, gli occhi e il cuore. -Sia io che mio padre siamo diventati ossessionati da questa serra, e lui si prende cura di queste rose come avremmo dovuto entrambi fare con mia madre... Lei era riservata, cocciuta, indipendente, e si teneva tutto dentro... Se solo l'avessimo aiutata prima, forse non avrebbe deciso di finire la sua vita così...- scuoto la testa, fermandomi e facendo fermare anche Tyler. -Non pensare mai a quello che sarebbe potuto accadere. Te lo dico per esperienza; per quanto tu possa sognare, i tuoi sogni non cambieranno i fatti neanche di una virgola, ma anzi, ti renderanno ancora più consapevole di aver commesso uno sbaglio e ti faranno odiare te stesso. Invece devi sapere che hai fatto uno sbaglio solo per assumerti le tue colpe, le tue conseguenze e andare avanti con quella conoscenza ben impressa in mente... Vedrai che ti sentirai meglio, e non avrai da pensare a suicidarti come ho fatto io per quasi tutta la mia vita- Tyler mi sorride:-Hai... completamente ragione. A mia madre saresti piaciuta- mi prende il viso tra le sue mani dolci e decise, e mi bacia leggermente. Non approfondisco il bacio perché sento che non è il luogo appropriato, dato il confessionario di Tyler, e lo abbraccio di nuovo appena le nostre bocche si dividono. Appena lo faccio, sentiamo uno scricchiolio e ci giriamo di scatto: un ramo particolarmente grande si è appena rotto perché c'erano troppi fiori sopra, e adesso pende a mezz'aria, strusciando pigramente sul terreno battuto. Tyler prende un tronchesino che si trova nella cassetta degli attrezzi e recide il ramo, per poi mettere un liquido blu scuro sul fusto, ora corto e spoglio. Mi porge l'enorme ramo dritto, pieno di foglie seghettate e rose rosse, grandi e profumate, umide e ancora più accese sotto questa luce calda. -Ti meriteresti tutta questa serra, moya lyubov- risponde Tyler, dandomi il segnale che adesso posso approfondire il bacio, e così faccio. La sua lingua è prepotente sulla mia e mi lascia a bocca aperta quando mi morde il labbro inferiore:-Adesso andiamo a casa, che più ti vedo così, più non riesco a pensare ad altro-.

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