57: I smell trouble.


I tre giorni seguenti, tranne le ore in cui Arleene era dovuta andare a ritirare il diploma del suo corso di regia, sono stata sballottata come una pallina in un flipper di colori, gente stravagante e odori... diversi. Las Vegas è una specie di scatola misteriosa, nella quale non sai mai cosa trovare e nella quale i pregiudizi sono futili se non inesistenti. Sono stata in tanti posti, ma nessuno di essi mi aveva sentire estranea tanto quanto Las Vegas: per quanto le persone potessero essere amichevoli con me, ho sempre sentito difficile sentirmi a mio agio in questo ambiente, che non è frettoloso come New York ma neanche calmo come Miami. Arleene conosce benissimo il posto, e in tre giorni mi porta in tutti quegli angoli in cui posso avere una veduta introspettiva della città: le strade del ghetto, i coffee shop, i ristoranti a cinque stelle, le saune pubbliche, i negozi di vendita dell'usato, perfino i posti in cui lavorano le prostitute, e l'attrazione più caratteristica, i casinò. Quelli mi piacciono particolarmente, ed è una sensazione che sento appena ci metto piede: ambiente elegante, sui toni del rosso scuro e dell'oro, con un'odore che aleggia nell'aria che sa di Borboun, che bevo pochi minuti dopo insieme ad Arleene, dato che è riuscita a prenderne due bicchieri da un cameriere che corrava silenzioso tra la folla, decorata da vestiti eleganti e firmati. Mentre bevo controvoglia, la mano di Arleene si posa sul mio mento e mi fa alzare la testa, facendomi mozzare il fiato e perdere la parola: al centro di alcuni pannelli rossi illuminati soffusamente, un'enorme spirale dorata e scintillante si erge sulle nostre teste con una delicatezza incredibile per un'opera talmente grande e maestosa, e sembra muoversi mentre le pietre da cui è composta luccicano sotto le molteplici luci del casinò, contornata da catene di sfere trasparenti che sembrano bolle, pronte a scoppiare e a dare ancora più sfarzo al casinò. -Benvenuta al Lucky Dragon!- dice ad alta voce Arleene, per cercare di farsi strada tra le voci e tra le mie constatazioni su ciò che sto vedendo, che sono troppe e tutte mi urlano in testa, febbricitanti. Le persone che frequentano il casinò sono un perfetto riassunto di tutta la popolazione che vive a Las Vegas: ci sono i tipi più svariati, dai ricconi in giacca e cravatta, ai boss di qualche ghetto, ai senzatetto che tentano la poca fortuna che hanno in tasca, e i curiosi, come me e Arleene, che si aggirano leggeri e senza dare troppo nell'occhio tra i tavoli. Eppure, anche se è un posto in cui non è consigliato entrare, questo casinò mi sta facendo sentire più "a casa" rispetto ad altri posti visitati: l'atmosfera mi ricorda quella della Chimera, il locale in cui lavorava Madison, e mi sento sicura mentre cammino tra un tavolo di poker e l'altro, mentre Arleene fa la cosa che le riesce meglio: parlare. Mi fa piacere sentire la sua bella voce e vedere la sua espressione mutare ad ogni frase, ma le mie orecchie sono attente solo alle risate e al gergo che usano i giocatori tra di loro, che mi ammalia perché è una cosa a me sconosciuta. Cammino quando con il naso per aria, quando con lo sguardo focalizzato sulle partite in corso, intenta ad imprimere con gli occhi ogni secondo passato in questo posto mistico e affascinante: vedo le persone giocare a biliardo, altre a poker, altre ancora a giochi che non riconosco e che ho sete di scoprire, anche se Arleene non mi lascia il tempo di chiedere a nessuna faccia losca che sta giocando, contornata da collane e gel per capelli. "Gerald..." scaccio quel ricordo e lui, e rallento il passo, ritornando ad essere la ragazza curiosa che ero fino a due secondi fa. Passata l'area delle persone ricche e dei giochi sconosciuti, arriviamo in una parte del locale più nascosta, dalle luci soffuse, dove migliaia di macchine per il gioco d'azzardo portano via ogni centesimo delle persone che vi si siedono davanti. -Proviamone una, Eleanor- mi dice Arleene, e prima che possa ribattere, mi fa sedere su un comodo sedile un po' sudaticcio e di velluto. -Allora, metti i soldi qui e poi, quando ti senti pronta, spingi questa leva. Se usciranno tre 7, hai vinto dieci volte la somma giocata. Se usciranno tre cesti d'uva, hai vinto cinque volte la somma giocata. Se usciranno tre monete, hai vinto tre volte la somma giocata. Altrimenti, perdi tutto- mi porge una banconota da venti, ne metto un'altra uguale, e prima di spingere Arleene mi dice:-Facciamo a metà, eh?- e io le rispondo, allegra a causa del Borboun:-Tanto perdiamo, con la fortuna che ho!- e spingo la leva. Le tre barre girano talmente velocemente che vedo solo un fascio di colori misti tra il blu e il nero, ma appena si fermano su tre 7 Arleene mi abbraccia e mi stritola in una morsa oppressiva. -Che culo!! Brava Eleanor!- e prendiamo i soldi, che escono dalla macchinetta veloci. Sorrido e mi intasco i 400 dollari, che mi fanno sentire un pochino più accetta in questo posto.

Dopo aver bevuto altri due bicchieri di liquore, decidiamo di tornare a casa perché domattina, alle 11, arriva Markus, e dopo un pranzo tutti insieme dovrò andarmene e lasciare i fidanzati da soli; perciò, mentre Arleene guida verso casa più lenta del solito, decido di chiamare Rich per potermi organizzare per San Diego. -Ele!- risponde Rich con il suo accento quasi incomprensibile. -Ciao. Senti, domani pomeriggio avresti da fare?- lui rimane un attimo spiazzato dalla domanda, poi risponde:-Non credo, perché?- il suo tono un po' mi insospettisce, ma faccio finta di niente mentre osservo le banconote legate dall'elastico di Arleene, rosa e con i brillantini:-Volevo tornare e passare a casa tua. Sai, volevo fare una sorta di sorpresa sia a Tyler che a Gerald, dato che non sanno che ritornerò domani...- Rich cambia tono e mi dice:-Ah, Ele, senti... Mi ha appena detto Madison che è successo un casino con la Chimera e che per i prossimi giorni hanno bisogno di un'aiuto... Perciò domani sarò occupato... Non è che verresti tra tre, quattro giorni al massimo?- incredula, gli dico:-Se è per le chiavi, puoi anche nasconderle e dirmi dove le hai messe. Tanto per entrare in casa tua mi bastano quelle... Vorrei davvero tornare prima- cerco di fargli capire l'urgenza che ho nelle mie parole, ma Rich è inamovibile. -No, non si può fare. Inoltre, Gerald è occupato e Tyler pure, con la morte della madre e poi il padre che ha bisogno di aiuto... Ci sentiamo, ti richiamo io- e chiude la chiamata senza aspettare nessuna risposta. La mia mano impugna il telefono, e guardo lo schermo nero mentre nella mente mi passa un lampo: "perché non lo distruggi? Questi cazzo di aggeggi complicano la vita a te e a tutti", ma poi penso che non ha senso distruggere un telefono solamente perché ti hanno attaccato in faccia, per quanto frustrante sia. Questo problema alla Chimera, però, mi puzza di bruciato, perciò decido di chiamare Tyler appena arrivo a casa. -Ciao- risponde, nel solito tono di Tyler, che mi fa andare in un'immenso brodo di giuggiole:-Ciao. Senti, sai mica nulla riguardo un "problema alla Chimera"?- e lui ride sommessamente:-Nessun problema, fila tutto liscio come l'olio. Te l'ha detto Rich, giusto?- e appena confermo la sua teoria, Tyler sa già di che si tratta. -Vuoi andare a dormire o vuoi ascoltare tutta la faccenda, dall'inizio?- mi sdraio sul materasso, appoggio comodamente la testa sul cuscino e gli dico:-Sono tutta orecchie- e si scalda la voce prima di cominciare:-Allora, è cominciato tutto il giorno stesso in cui sei partita, a quanto pare...- e comincia a raccontare la storia di come lui e Gerald hanno fatto a botte.

Beh, al prossimo capitolo!

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