54: Las Vegas.


Parcheggio la vecchia macchina che avevo preso a noleggio sul ciglio della strada, e scrivo velocemente cosa potrei fare in questi otto giorni prima di tornare a San Diego, da Tyler. Ci siamo dati questo tempo per permettere a Tyler di passare del tempo con suo padre, di fargli passare al meglio la morte di sua madre e a me per permettermi di chiarire tutti i pensieri che adesso sbattono tra di loro nella mia scatola cranica, che non è mai stata così affollata. Appena scendo, vedo alla porta del condominio dove si trova il mio appartamento una donna dai capelli legati, i vestiti puliti e di classe, le ballerine nere e una borsetta strinta sotto il braccio. Lilian. Inghiottisco tutta la saliva che mi è rimasta, e cammino con passi pesanti alla porta, con le chiavi che quasi mi tagliano il palmo della mano, serrato in un pugno che vorrei tanto tirare a lei e al suo nuovo maritino perfetto. -Che vuoi?- le domando, facendola sobbalzare. -Eleanor! Hai un minuto?- sbuffo:-Per te, no. Quindi fai in fretta- sorride imbarazzata e cerca di spiegarsi:-Mi ha fatto piacere rivederti ieri sera, con il tuo amico... Tyler, giusto? Beh, volevo solo parlare un po' con te, perché mi dispiace che tutto quello che avevamo si è distrutto perché adesso amo tuo padre- scuoto la testa. -Non abbiamo mai avuto nulla, Lilian. Tu mi stavi vicina perché ti pagavano per farlo, e io ero talmente disperata da non capirlo. Cercavo qualcosa che nessuno di voi poteva darmi, perchè nessuno voleva. Se Tyler non mi avesse aiutata a cambiare, adesso ti avrei sputato in faccia e mi sarei rinchiusa in camera, ma non sono più la Eleanor che conoscevi- non sa cosa rispondere, perciò continuo il mio monologo, che non è dalla me di adesso, ma viene detto direttamente dalla Eleanor del liceo, timida, sola e isolata:-Non voglio più sentire neanche parlare di te e Jonathan, di te o di Johnathan, e di certo non voglio più vedervi. Spero che viviate una vita infelice tanto quanto lo è stata la mia, e spero che il dolore che state provando nei miei confronti diventi vero, e non solo una smorfia nel viso per far finta che ti interessi. Lilian, di me non te ne frega un cazzo, lo so, e adesso sono pronta a lasciarvi tutti alle spalle, come voi avete provato a fare con me da quanto ho cominciato a viaggiare per gli Stati Uniti. Smettila con i convenevoli, so che sei qui per tentare di farmi diventare di nuovo la figlia perfetta che non hai mai avuto, per vedermi sorridere e dirvi belle parole, ma tutte le parole belle sono solo per Tyler, l'unico che ha cercato di farmi vedere la vita dal mio punto di vista, non dal suo. Perciò, se adesso vuoi scusarmi...- infilo le chiavi nella porta, e dal riflesso del vetro vedo Lilian triste, vuota, come lo sono stata io per tanto, tanto tempo. Apro la porta e mi ci infilo poco prima che un'artiglio di quella povera stronza mi raggiunga, per poi camminare verso l'ascensore e salutarla con la mano mentre le porte si chiudono e l'aria fredda esce dai miei polmoni, permettendomi di respirare normalmente. Sono di nuovo io.
Dopo una lunga doccia calda, faccio le valigie e mi fermo in un bar per cercare di mangiare. Il mio stomaco brontola mentre ordino un'insalata, e quel rumore non è mai stato così bello. Mangio con calma, bevo un po' d'acqua e poi mi metto a cercare sul telefono i voli aerei più economici, dato che non posso permettermi né la Russia né il Canada, al momento: Las Vegas è la meta più promettente, e il Nevada sembra chiamarmi, perciò mi affretto a restituire la macchina a noleggio e a prendere il primo volo disponibile. Mentre aspetto all'aeroporto, comincio a scaricarmi delle canzoni nuove, e poi mi metto a disegnare l'enorme vetrata che si scaglia di fronte a me e a tutti gli altri, che non la ammirano abbastanza: davanti a essa ritraggo Tyler, con le sue spalle grosse, il fisico che sembra più asciutto di quello che è in realtà, quando ero andata a prenderlo. I tatuaggi sono complicati, perciò non glieli disegno, ma mi concentro sul viso, talmente bello da far invidia a un modello greco, e gli decoro quegli occhi chiari mettendogli i suoi occhiali da lettura, tondi e in vecchio stile. Chissà cosa starà facendo, cosa starà pensando, chissà se gli manco quanto lui manca a me in questo momento. Finalmente annunciano il mio volo, perciò metto tutto distrattatamente nello zaino e mi avvio al gate d'imbarco.
Durante il volo ascolto varie canzoni guardando fuori dal finestrino, e mentre "The Light" mi rimbomba nelle orecchie e penso solo a rilassarmi, la ragazza seduta di fianco a me fa cadere il suo caffè sui miei pantaloni, scottandomi la coscia. -Cazz...- impreco, e lei comincia a scusarsi:-Oddio, scusa! Come sono distratta! Vieni, ti aiuto a pulirti- e mi accompagna in bagno. Mentre tento di strusciare, inutilmente, il caffè dalla gamba, chiedo alla ragazza:-Non è che avresti un paio di pantaloni da prestarmi? Questi sono irrecuperabili- lei risponde subito:-Arrivo! Aspettami- e intanto mi sfilo i miei pantaloni, osservando la scottatura: nulla di grave, ma frizza. Ci passo sopra dell'acqua fredda, quando sento bussare alla porta. Un esile braccio scuro e tatuato mi passa uno zaino, e la voce della solita ragazza mi dice:-Non ho nulla di meglio, spero ti basti- ma in effetti, basta e avanza. Mi infilo gli shorts di cotone nero, che sono meglio di nulla, poi prendo un sacchetto di ghiaccio istantaneo che trovo nello zaino e lo appoggio sulla coscia, sentendo subito sollievo. -Come ti chiami?- chiede la ragazza:-Eleanor- le rispondo mentre lavo la macchia di caffè con del bagnoschiuma. -Scusami ancora, Eleanor. Io sono Arleene, piacere di conoscerti, anche se il modo non è dei migliori- Arleene? Quella Arleene? "Davvero? E che cazzo!"

Da qui inizia la nuova parte della storia, sperando che sia quella più positiva. Spero vi piaccia, grazie del sostegno che mi date a ogni capitolo!

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