50: Crumble.
-Gerald?-mi chiede Tyler mentre si toglie la camicia che aveva indossato, rimanendo in canottiera. La vista del suo corpo, come avevo già constatato, non mi dà noia né disgusto, e sono grata al mio stomaco per tenere tutte le cose che ho assaggiato dentro il mio corpo; -Sta bene, da quel che so. Si sta preparando per gli esami di conferma che ci saranno a Dicembre, in più tra poco andrà a New Orleans, quindi sì, Gerald è ancora tra noi...- gli dico, riferendomi al fatto che non ha più fatto cazzate, da quanto so. -Noi?- chiede Tyler con un sorrisetto, e io arrossisco leggermente, per quanto lo permetta il poco sangue che ho in circolo:-Nel senso che è ancora vivo- e lui scuote di nuovo la testa, non facendomi capire il senso con cui ha recepito la frase, e mi arrendo. -A lavoro?- chiedo a Tyler per riparare il silenzio che ho fatto calare, e lui risponde, grattandosi la schiena:-Ci vado ancora. Ehm... Posso cambiarmi?- chiede titubante, inconsapevole della reazione che posso avere; annuisco e mentre sto per girarmi verso il bagno, gli chiedo con mani e voce tremanti:-Posso vedere i tuoi tatuaggi?- alludendo alla schiena, da cui si intravedono mille disegni, e si toglie la canottiera, mostrandomi la sua schiena, grande e guizzante. Tre linee nere, dritte e scure scorrono dalla nuca fino all'elastico dei pantaloni, mentre ai lati mille ritratti, scritte, disegni, linee e paesaggi mi mostrano un'intera opera d'arte. Scorro con gli occhi e con le dita su ogni tatuaggio, senza un colore se non quello della pelle leggermente dorato, e mi soffermo su un albero morto che sorge in un campo di tombe, ammirandolo come se mi avesse ispirata, e sento qualcosa, nella mia mente meccanica, scattare. Sento un meccanismo bloccato riprendere a funzionare, sento delle emozioni in circolo che prima erano congelate dalla solitudine, sento... Tyler.
La sua presenza, tutta.
Il suo odore, che è simile a quello dei fiori di ciliegio, dolciastro ma dal retrogusto amaro, riempie la stanza facendomi sentire come sotto un albero di ciliegie, e se chiudo gli occhi posso vedere l'erba che lo circonda, il cielo che lo sovrasta e il Sole che lo bacia. I suoi riccioli selvaggi decorano le pareti dei muri con ombre curvilinee dovute alla luce della Luna e della piccola lampada sul comodino, che si infrangono contro la sua armatura, facendolo brillare di luce propria. Le sue ciglia, che intravedo appena dal mio punto di vista, accarezzano gli zigomi dolcemente, mentre il suo respiro diventa il ritmo della mia melodia e le labbra tremano ad ogni esalazione. Le braccia ricadono senza forze, esauste, lungo il suo torso, anch'esse tatuate ma meno violentemente della schiena, le vene rialzate che sembrano pulsare violentemente sotto i miei occhi ingenui e le mani che si torturano le pellicine vicino alle unghie, infliggendosi dolore per non cadere nel suo baratro personale. La finestra che fa risplendere tutte le luci di Washington e la luna grigiastra illuminano la sua schiena lateralmente, mettendo in evidenzia tutti i suoi muscoli e le incisioni sulla pelle, facendo prendere vita ad ogni singolo tatuaggio, facendo parlare l'uomo che urla con un cartello in mano, facendo percepire lo scroscio della pioggia che cade su un ombrello stilizzato, facendo sentire il suono della crepa che si rompe, disegnata sulla spalla destra. Mentre osservo a fondo una scritta, "crumble", scritta vicino all'attaccatura dei capelli come se fosse stata incisa da una macchina da scrivere direttamente sulla pelle, mi rendo conto che ho sbagliato non solo qualcosa, bensì ho sbagliato tutto, e sono un completo disastro; che mia madre, se fosse in vita, mi avrebbe ammazzata dagli schiaffi e dalle parole, che non mi merito quello che mi è rimasto, non mi merito neanche il dolore. Mi hanno distrutta, mi sono distrutta, e quest'uomo sta cercando di raccogliere tutti i piccoli, minuscoli e insignificanti pezzi che sono a terra, cercando tra la sabbia, tra le terra, tra le radici, fregandosene delle parole più futili, ascoltando solo quelle dette dopo averci pensato, dopo aver riflettuto sul peso che esse vogliono avere e possono avere. Scavando nel fondo del terreno se ne frega delle unghie sanguinanti, delle dita piene di cicatrici, del cervello ormai impazzito, mentre tenta di ricordarsi cosa deve salvare e cosa no, e anche lui si sta distruggendo, solo che non ha nessuno che cerca i suoi pezzi. Nessuno si sta inginocchiando al suolo per tentare di riparare i danni, e io non sono esclusa da queste persone. Eppure lui è tranquillo: non è felice, non è contento, neanche triste o arrabbiato, è semplicemente indifferente, rimane se stesso. Nessuno lo aiuta a ripararsi? Rimarrà rotto, mentre i suoi cocci sbatteranno all'interno della sua armatura ad ogni passo verso i suoi obiettivi, verso la sua morte.
E sospiro, cercando di rispondere finalmente a ciò che mi diceva Gerald, di rispondere al silenzio che gli avevo dato con tanta nonchalance. Non mi volevo impegnare con lui perché il mio subconscio aveva già capito che lui non avrebbe raccolto i miei pezzi, che lui non avrebbe scavato e non si sarebbe rotto le unghie per poi incollare il mio mosaico, perché è troppo orgoglioso, troppo pieno di confidenza che quel cazzo di "G-Eazy" gli ha dato per farlo. Per quanto potessimo provarci, entrambi siamo troppo simili per aiutarci a vicenda, siamo come due magneti opposti: ci attraiamo a vicenda e ci schiantiamo l'uno contro l'altro. La distruzione è un bello spettacolo, ma dopo restano le macerie, e nessuno dei due adesso è in grado di ricostruirci sopra e ricreare la città che c'era prima, di ricreare la vita nella desolazione.
Tyler, invece, è già pronto con la planimetria della prima casa.
La sua tempesta è tutto tranne che distruttiva.
Da qui in poi è tutto in discesa. Godetevi il viaggio, a presto.
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