5: Cuts.
Esco di nuovo dalla mia camera, e stavolta vedo Shaq con una maglietta indosso:-Ehi Ele- mi saluta con un sorriso a trentadue denti. Sorrido leggermente e scendo le scale, mentre vedo Logan intento a cambiare i canali alla televisione, probabilmente non sapendo nemmeno cosa guardare. Bevo un bicchiere d'acqua e chiedo se possono prestarmi le chiavi dell'auto: prendo il telefono, le sigarette e lascio questa casa avvolta nella pigrizia pomeridiana. Fuori, una leggera pioggia cade, lasciando piccoli segni sparsi per terra, e tutti sono già muniti di ombrello o impermeabile. Io mi sistemo il cappuccio della felpa in testa, prendo la macchina e mi aggiro per San Diego, diretta a Carlsbad, una spiaggia dell'Alta California. Il mio intento principale è di immortalare quante più cose interessanti dei posti che visito con la mia Polaroid, e, quando troverò una casa, di appenderle dappertutto; infatti, una delle due valigie che porto è colma di quelle piccole foto accuratamente divise in base ai luoghi visitati. Alla spiaggia non c'è un'anima: parcheggio vicino alla spiaggia di sabbia grigia, e osservo le onde che si schiantano con forza sulla costa, mentre nel cielo le nuvole si fondono e si ricreano e la pioggia è solo un piccolo scroscio nella mia mente. Faccio una foto alle onde che si infrangono nella piccola foce che si avvicina pericolosamente alla strada che fiancheggia quello splendore di spiaggia, e mi imbatto in un gruppo di ragazzi che, con le loro tavole da surf, stanno attraversando la strada per poi correre nella spiaggia. Mi guardano con mille domande in quelle teste vuote e pien edi presunzione, e uno di loro parla di me ad alta voce:-Ehi, chi è quella sirena dispersa?- scherza, e io rido amaramente. -Prego,"Fanculo" è da quella parte- gli rispondo indicando la strada che hanno appena attraversato, concentrandomi sulla Polaroid e sulla foto appena sputata, che adesso è una macchia d'inchiostro scuro. -Stronza, la tipa- mi dice sempre quel ragazzo, poi si affianca alla combriccola di coglioni e non mi parlano più: meglio così. Faccio qualche foto alle loro tavole variopinte che piantano nella sabbia mentre si mettono le tute termiche, poi vanno a largo e tentano di domare qualche onda selvaggia e libera, cadendo molte volte. La pioggia cessa lasciando il posto ad un Sole arancione, che sostituisce l'atmosfera triste di questo pomeriggio, e finalmente conosco la California per com'è: spiagge immacolate, mare scuro e spumeggiante, e un Sole caldo e rassicurante. Scatto qualche ultima foto e le lascio asciugare sui sedili posteriori della Jeep mentre torno a casa, con "Okay" a tutto volume. Fumo una sigaretta con tutta tranquillità e torno a casa, deserta: dove cazzo sono finiti quelle due sottospecie di uomini? Trovo un bigliettino sulla penisola della cucina da parte di Logan:"Siamo a cena, torniamo tardi".
Prendo gli ingredienti per un panino, che mi mangio in camera mentre faccio ulteriormente asciugare le foto, che poi riunisco un una piccola scatola con scritto, nella mia calligrafia incomprensibile, "San Diego", mi metto una canottiera e un paio di shorts, girando in casa come un fantasma, con poche luci accese e il silenzio totale: il mio ambiente preferito. Entro in bagno, e prendo quel piccolo pezzo di metallo che reincarna tutti i momenti in cui sono voluta sparire dalla realtà e incontrare quel buio accogliente che tutti disprezzano, la morte. Io non ho mai sottovalutato la lametta: so che, se dovessi incidere nel punto corretto, morirei adesso, durante il mio ultimo viaggio, senza nessuna casa e nessuna persona cara che piangerebbe per me. Al mio funerale di sicuro verrà Lilian e qualche ragazza del liceo con cui ho fatto le ripetizioni di matematica, e appena la mia bella bara di mogano scura sarà poggiata al suolo, sene andranno e continueranno le loro vite: si sentiranno in dovere di esserci per colmare la mancanza di mio padre e il vuoto che mi circonda, ma appena le funzioni obbligatorie verranno finite, torneranno nelle loro vite profumate e luminose. Io resterei un piccolo ricordo che, dopo un paio di anni, sfumerà nel niente, perché io sono niente. Prendo la lametta, e osservo le mie braccia: scelgo una ferita quasi guarita, e con la mano tremante ci passo sopra. Sento la mia pelle fredda a contatto con il metallo scadente della lametta, e un pizzicore si espande per la ferita, senza farmi veramente male ma facendomi sentire presente, ancora cosciente con il mondo reale. Poi, il sangue, caldo e viscoso, scende sul braccio e forma una piccola chiazza nel lavandino, che osservo incapace di fare niente se non continuare a tagliarmi finché quella chiazza non scenderà per i tubi idraulici. So perfettamente che non dovrei farlo, che ho una vita davanti, che sono giovane, ma perché dovrei rimanere in vita? C'è qualcuno che ha bisogno di me? Qualcosa che mi sta aspettando? Che mi arrivi un segnale, di qualsiasi tipo. Voglio una scena degna di un film drammatico, dove i protagonisti, attraverso degli avvenimenti che accadono quando si guardano intorno, capiscono che devono fare quella determinata cosa a cui stavano pensando. Io adesso aspetto solo un segnale che bramo con tutta me stessa, aspettando il fatidico momento, che sembra non venire mai, che mi dica"abbandonati": durante le poche ore di sonno, durante un tragitto in auto, mentre cammino; voglio sapere quando sarà il momento di morire. Perché io sto prendendo in giro la morte, tagliandomi e vomitando come una dannata, ma finora la morte non mi degna di uno sguardo, tenendo quella luce che ho dentro di me flebile, ma presente. -Ti aspetto!- grido tra le pareti del bagno, mentre i miei tagli finisco di sanguinare e il sangue nel lavandino si mescola all'acqua corrente, che spazza via anche questo tentativo tra le sue grinfie. Non so come sono iniziati questi tentativi di suicidio, ma so per certo che sarà difficile abbandonare l'abitudine.
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