42: It's almost the end.
Ormaibè diventata quasi una routine. Mi sveglio, mai tra le sue braccia, spesso dalla parte opposta del letto, e lo guardo: i capelli scompigliati sono riversi sul cuscino come vernice colata, gli occhi sono chiusi e le ciglia disegnando ombre sugli zigomi, le labbra sono screpolate come l'opera "Cretto grande bianco" di Alberto Burri, il respiro esce dal naso in vortici immaginari simili a "Notte stellata" di Van Gogh. Mi alzo senza svegliarlo, già vestita, ed esco da casa sua, perché so meglio di lui che deve studiare, e che devo allontanarmi da lui per cercare di soffrire meno, dato che tra poco me ne vado. Cammino fino a casa mia, anche se il tragitto è lungo: incontro quasi sempre Rich mentre si allena e corre, copiosamente sudato sotto la solita canottiera grigia e i pantaloncini. A casa, spesso disegno o parlo con Logan e Shaq di tutto, di niente, di qualcosa che mi scordo subito dopo, e poi mi taglio. Già, perché la mia depressione ha bisogno della sua fascia oraria, che ha sostituito il pranzo. Nel pomeriggio, spesso esco con la macchina e saluto San Diego, e la notte busso alla sua porta, trovandola sempre aperta. Lo guardo studiare, leggo i suoi appunti su un mucchio di cose che non conosco, ascolto la musica, e poi, dopo un leggero bacio, che spesso non accade con naturalezza, dormiamo insieme, o sul divano o nel suo letto, che profuma terribilmente di Gerald. Ma una notte, questa routine non si conclude come le altre, perché i fulmini minacciano la nostra pace apparente con violenza.
-Hai finito?- gli chiedo, dopo due ore di studio sull'economia degli anni '20. Annuisce e chiude il libro con un tonfo, poi mi chiede:-Dopodomani te ne vai?- e lo guardo con uno sguardo interrogativo, come a chiedergli se scherza oppure no. -Mi sembra ovvio- dico senza rispondergli, e lui sospira, mangiandosi le parole che voleva dirmi. -Che succede?- chiedo, cercando di capire cosa lo fa sembrare così dubbioso. -Certe volte non ti capisco- quanto odio questa frase. La odio con tutto il mio cuore, e la rabbia che era montata per quella domanda scontata aumenta insieme alla mia voglia di vomitare. Questa frase viene spesso detta da persone che tentano di diventare più intime, e cercano di tenerti vicina a loro e, contemporaneamente, di avvicinarsi a te. Ha un significato preciso: è simile a "ma perché non fai come tutti?", o "perché lo fai?". Ed ecco perché la odio, perché io non sono come tutti e, di conseguenza, non faccio quello che fanno tutti. -Cosa?- chiedo, respirando lentamente e cercando di vedere la domanda di Gerald sotto un'altra luce, una luce nuova. -Perché non resti?- e a quel punto, non ci vedo più. Tutto si ricopre di una patina opaca, e mi viene da strapparmi i capelli, fare casino, distruggere tutto. Perché ti rendi conto che la persona che credevi ti capisse non riesce a comprendere neanche il significato più banale di una tua azione, che hai già tentato di spiegare. -Ma vuoi scherzare?- gli domando, acida come la bile che sale. Scuote la testa, e si alza, vedendomi in piedi: ecco, le gambe iniziano ad agire per conto loro, o la mia mente si è già sconnessa, vedendo persa la partita in partenza. -Allora non mi ascolti: quale delle due, Gerald?- chiedo di nuovo, aggrappandomi con le unghie al vecchio tavolo del suo soggiorno, che si è vestito di colori spenti e scuri. -Ti ascolto, ma guardati, guardaci: tu ti stai autodistruggendo a ritmo dei secondi che mancano alla tua partenza, e io sono qui, a studiare e a vederti spegnere ogni giorno di più. Non ti dico di restare qui, ma vieni a vivere con me e mia madre vicino alla Loyola! Immaginati tutti i giorni insieme, a fare quello che vogliamo e dire quello che vogliamo, insieme, e magari potremo anche sorridere senza vedere la parte negativa- scuoto la testa mentre il mio viso si deforma, mentre la mia percezione si deforma, mentre l'amore che nutrivo con i suoi baci si deforma. Il fuoco dentro di me si spegne con una secchiata di acqua fredda chiamata "realtà", e lo fisso cercando di fermare il rossore alle guance, il tremolio alle dita, i vortici nel mio stomaco vuoto. -Non capisci un cazzo, Gerald. Non capisci un cazzo- ripeto con odio, con disprezzo, con le speranze spezzate come teneri rametti appena cresciuti, e lo guardo: mi ricorda il capitano di una nave, bellissima e nuova di zecca, che sta vedendo affondare sotto i suoi piedi durante una tempesta viola che minaccia l'equilibrio della sua vita. -Sono fatta così, okay? Non voglio affezionarmi a niente, non voglio conoscere nessuna strada, non voglio ricordare nessun volto. Voglio solo vivere dei bei momenti e finirli per mia madre, ecco cosa voglio fare! E non puoi rovinare tutto solo perché mi vuoi!- dico,disperata. -Ma sei stata te a rovinare tutto! Sei tu che mi ha detto che ti piacevo, che mi sei stata accanto, che mi hai aiutato a costruire una relazione simile a quella che c'è tra due fidanzati! E ora te ne vorresti andare? Vuoi finire tutto?- annuisco. -Sì, esatto. Finalmente hai capito!- silenzio. Mi spiego meglio:-Non dico di finirla, anche perché è impossibile, ma mettiamola in pausa finché non ci rivedremo. L'ho già detto, eppure non ti è arrivata al cervello. Beh, lascia che ti ci arrivi adesso: non voglio reciderei fili tra te, Rich, Mad, Shaq e Logan, voglio solo fermare il flusso di energia che ci passa attraverso, per poi attivarlo di nuovo. Sono già cambiata troppo per volere una cosa del genere, e adesso tu mi chiedi addirittura se voglio sacrificare il mio ideale per te? Prima volevo solo andarmene e non tornare più, ora invece voglio ritornare qui e basta- la sua mascella diventa di metallo, il suo viso si squadra alla perfezione e anche i suoi occhi sono rosso rabbia. -Mi sembra di essere più importante degli altri, no? Oppure vorresti dirmi che baci e dormi con Rich, Mad, Shaq e Logan?- chiede provocatorio, mentre la testa mi pulsa e le lacrime fanno finta di uscire. No, non piangerò. Non di nuovo. Lotto contro i dubbi che hanno popolato la mia mente nell'ultimo periodo della mia permanenza a San Diego per non dargli ragione, anche se so che facendo così so solamente provando a me stessa che ho sbagliato a fare quello che ho fatto. -Sei importante, ma non al punto di dover vivere per te!- sbotto, e sembra che le mie parole fossero un proiettile, dato che fa qualche passo indietro, ferito. -E che saremo, noi due? Rimarremo così per sempre? Ci baceremo per sempre? Ci faremo promesse per sempre, per poi dividerci e ritrovarci sempre?- non rispondo, perché non ho la risposta. Ho bisogno di tempo, troppo tempo, per pensare a cosa saremo nel futuro, se vale la pena unire le nostre due vite. Perché non voglio accorgermi tardi di cose cui mi sarei dovuta accorgere prima, non voglio sbagliare di nuovo. Voglio essere sicura, per una volta nella mia vita. Non voglio obbligarmi a fare una vita che non mi sento felice di vivere perché una persona per me importante vuole che io la viva in quel modo. Gerald non è come mio padre, e non si deve neanche permettere di chiedermi di vivere per lui, come vuole lui. Devo deciderlo io, e devo sentirmelo giusto. -Io non ce la faccio più. Mi dispiace, ma anche io, come te, ho dei bisogni. E uno di quelli è sapere adesso cosa faremo insieme. Posso anche lasciarti andare, ma poi voglio stringerti tra le mie braccia più forte di prima, e non lasciarti più- queste parole mi avrebbero colpito, se fossi una ragazza normale. Ma su di me, rimbalzano come palline da tennis: fanno male, ma non troppo. -Non lo so, Gerald, okay? Non so nemmeno se domani respirerò ancora!- sbotto, e gli dico, cercando di calmarmi:-Senti, ci sentiamo. Io ora vado, me ne vado, e ci rivedremo più in là. Buona fortuna con la Loyola, con tua madre, con la tua vita...- dico dopo aver preso il mio zaino e aver raggiunto la porta:-Aspetta! Voglio ancora parlare con te!- dice, mentre io sto camminando a tutta velocità nella pioggia fitta e lui si affaccia alla porta. -Io no.Ciao- lo saluto, e getto lo zaino, pieno di fogli già inzuppati di pioggia, nel cassonetto, per poi mettermi a correre cercando di raggiungere casa, ma finendo solo per arrancare nella pioggia e nel buio del mio cuore. Finalmente quelle nuvole nel cervello sono riuscite a svuotarsi, e le mie lacrime si mescolano alla pioggia, che aumenta e si decora con piccoli tuoni, mentre la tempesta dentro di me si riflette fuori.
Si, i miei dubbi hanno vinto contro di me, e il fuoco dell'amore per Gerald si è totalmente spento.
Questo capitolo è, come suggerisce il titolo, "quasi la fine". Da qui in poi, reggetevi forte. Alla prossima!
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