29: Cellphone.
-John?-lo chiamo come faceva mia mamma. Al ricordo, una lacrima solitaria esce dal mio occhio sinistro, posandosi sul dollaro che stringo tra le dita:-Come... Come va?- mio padre non mi aveva mai chiamata prima d'ora, e non ne capisco il motivo. -Va, Johnathan. Che cazzo te ne frega?- sputo sardonica. Sospira. -Dove sei?- mi chiede, e mi sento pressata. Perché tutto ad un tratto si interessa di tutte queste cose? Mi ha sempre odiata e mi ha sempre dimostrato il suo odio, cosa lo ha fatto cambiare così tanto? -Sono a San Diego. Come va a casa?- voglio finire questa conversazione. Non voglio sentire la sua voce né immaginarmelo seduto alla sua scrivania con il telefono in mano. -Va,Elly. Ti devo dire una cosa- odio quel soprannome, lo odio con tutta me stessa: perché mi ricorda mia madre, e mi ricorda il suo corpo così bello adagiato sulla strada, pieno di sangue, ferite e lividi. Il polmone sfondato dalle costole rotte, lo sterno in mille pezzi, le ginocchia ridotte ad un mucchietto di ossicini incapaci di curarsi da soli, i bei capelli color mogano a coprirle il viso costellato da un sorriso triste, le lacrime che circondano gli occhi privi di vita. -Te ne devo dire prima una io: non chiamarmi Elly perché non sistemerai le cose- sospira di nuovo. -Io e Lilian stiamo insieme...- dice, e poi il silenzio. Sappiamo entrambi che nessuno dei due se n'è andato, perché il mio respiro rotto è sicuramente arrivato anche a lui. -Senti, John, ne riparliamo. Ora un mio amico è nella merda e non ho le forze per reggere una conversazione civile con un uomo che nella mia vita non c'è mai stato come doveva esserci. A presto- aspetto il suo saluto, che arriva in ritardo:-Sono contento che tu abbia degli amici. A presto-e così si chiude la chiamata con mio padre. Appoggio la testa al vetro della macchinetta mentre seleziono del caffè macchiato con tanto, tanto zucchero: qualcuno picchietta sulla mia spalla dopo un paio di minuti. -Ehi- mi chiama, e mi volto verso un infermiere con i capelli castani, che ricadono scomposti in riccioli ai lati del viso, quando due occhi grigi si piantano sui miei, e restiamo un attimo a fissarci. Sembra di immergermi in un temporale, grazie alla luce dei neon che si riflette in quegli occhi dolci e tormentati, mentre la pioggia cade scrosciante dentro le sue pupille. -Che?- chiedo dopo essermi risvegliata da quei pensieri. -Il tuo caffè. È pronto- mi dice, indicando la macchinetta. -Oh- dico soltanto, spostandomi e prendendo con mani tremanti il caffè, caldo e rassicurante. -Scusa, avevo capito che stavi pensando e cercavo di farti tornare nel presente. Sono Tyler- gli stringo la mano, e intravedo dal polso scoperto un tatuaggio. -Eleanor- mi presento bevendo un po' di caffè, che trasporta il liquido bollente dentro di me, rigenerandomi. Tyler prende un tè e, quando è pronto, lo beve in fretta per poi dirigersi verso le scale. Mi lancia uno sguardo carico di fulmini, provocando una sorta di scossa dentro di me, e sale le scale senza fare alcun rumore, come se fosse stato un fantasma dalle parole di ferro. Finisco di bere il caffè, mi lego i capelli in una mezza coda e mi avvio verso la stanza sedici, al primo piano; là, vedo Rich che parla al telefono con qualcuno, deduco sia Madison dai suoi commenti:-Ma sei pazza? No, Mad, non portare nulla...- le dice per poi attaccare. -Quella ragazza mi manderà fuori di testa- commenta guardandomi. -Mi daresti il numero della Loyola?- gli chiedo. Lui annuisce e compone il numero sul mio telefono. -Grazie- sa già cosa farò. -Pronto?- dice una voce femminile dopo un paio di squilli:-Buongiorno, volevo contattarla per comunicarle una cosa riguardo al test che si terrà a Santa Monica tra quattro giorni- la ragazza assimila le informazioni velocemente:-Okay. Cosa vuole dirmi? C'è qualche complicazione?- ci è arrivata benissimo da sola. -Sì. Il mio amico Gerald Earl Gillum, che dovrà tenere il test, si è sentito male, e adesso è in ospedale. C'è modo di poter fare il test un altro giorno, quando starà meglio?- mi mordo l'interno della guancia con nervosismo. -Beh, non si potrebbe... insomma, la nostra è un'Università a numero chiuso, quindi è abbastanza difficile che si aspetti per un solo test. Però, date le circostanze, posso provare ad informare il direttore e sentire che ne pensa. La richiamo appena so qualcosa su questo numero, d'accordo?- annuisco. -Pienamente d'accordo, arrivederci- e chiudo la chiamata, tamburellando le dita contro la plastica della sedia. -Che ha detto?- chiede Rich:-Vedranno che possono fare. Ma non credo che...- sussulto. -Che palle! Proprio adesso Gerald doveva sfondarsi di non so cosa?!- la porta della stanza si apre e... "Chi si rivede!" pensa la mia vocina interiore, sempre pronta a sottolineare le ovvietà.
Questo capitolo non è un granché, ma consideriamolo un capitolo introduttivo, o di transizione. Spero vi piaccia, a presto :)
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