π·π ππππππ πππ πππππππ
La giornata aveva avuto inizio in un'alquanto quieta maniera.
Fra il grigiore delle nuvole non si affacciavano tanto i candidi scorci del cielo plumbeo quanto le cieche tenebre preludio di tempesta.
La notte trascorsa non si era dimostrata, con mio sommo rammarico, altrettanto pacifica.
Forzando il pensiero riuscivo a ricordare ben poco: squarci di fulmine, la pelle bagnata dal viscido sentore di un incubo, il niveo lenzuolo che si stringeva attorno alle mie fragili caviglie, gettato indegnamente ai piedi del morbido letto.
Avevo preferito concentrarmi sulla vista chiara del presente, cercando di aggirare l'affannato percorso di nebbia della via silente composta di menzogna e macchie di fervida fantasia.
Speravo che quella giornata si sarebbe rivelata migliore della precedente.
Β«RoseΒ».
Fui delicatamente richiamata all'attenzione dall'accondiscendente voce di mia madre.
Con i suoi penetranti occhi verdi mi scrutava, indugiando sulla soglia, la schiena accostata al duro legno dello stipite. Β«Vorrei parlarti di qualcosa quando torneraiΒ» mi informΓ², pacatamente.
Faci pressione con le dita dietro il tallone, schiena gettata in avanti.
Sentivo le molle del materasso ondeggiare sotto le cosce.
Avvertii il lieve assestamento dello stivale lucido e scuro che mi andava a calzare il piede.
Poi ripetei lo stesso procedimento con quello successivo.
Β«Qualcosa di grave?Β» domandai.
Lo sguardo era rivolto al venato parquet. Non sapevo se avrei voluto davvero ascoltare la temibile risposta, una volta che mi fosse stata data.
Lei, tuttavia si limitΓ² a scuotere la testa. Un sorriso tranquillo le tese i fini lineamenti. Β«No, noΒ» mi assicurΓ² rapidamente, con un vago e goffo gesto delle mani Β«Niente di preoccupanteΒ».
Annuii.
Lieta della rassicurazione, trovai finalmente l'ardito coraggio di alzarmi in piedi. Spolverai goffamente gli stretti jeans blu che mi fasciavano le gambe.
Β«Va bene, alloraΒ».
Le scoccai un rapido e morbido bacio sulla guancia pallida. Sorrisi brillantemente e scesi le lunghe scale, quasi saltandole a due a due.
Il rapido ticchettio dei tacchi mi seguì nella discesa.
Mia madre mi seguì con lo sguardo. La sua testolina castana di sporse oltre il corridoio, affacciandosi dal pianerottolo del piano superiore. Contrasse le dita sottili attorno alla ringhiera.
Β«Sebastian giΓ ti aspetta?Β» Mi richiamΓ². Guardandomi dall'alto.
Appariva divertita dalla mia fretta.
Mi scandagliΓ² come se fossi il riflesso magrolino della bambina di cui si era sempre presa tanta cura.
SoffiΓ² una risatina.
Β«Ha detto alle dieciΒ» scrollai le spalle, attutendo una risatina nel palmo della mano. Β«E come sai-Β».
Afferrai distrattamente l'ombrello rosa accostato al muro, riconoscendone l'umiditΓ di un uso recente.
Β«Sebastian non Γ¨ mai in ritardoΒ».
Terminammo all'unisono in un coro canzonatorio. Apparentemente mia madre aveva previsto le mie parole. Rotolarono facilmente giΓΉ per la scalinata, rintoccando nei muri beige e arricciandosi nel mio petto.
Si sistemò distrattamente la sbiadita maglietta verde. Le sue unghie erano sempre così curate.
Β«Non fate tardi, lui dovrΓ tornare a casa e noi dobbiamo cenareΒ» mi strizzΓ² l'occhio, le folte ciglia castane ondeggiarono.
Sbuffai, fintamente esasperata.
Β«Un'altra volta Tom?Β» domandai, schioccando le labbra Β«Ma allora sei proprio cottaΒ». Inarcai le ramate sopracciglia in un cenno suggestivo.
Fui ricambiata da un gesto poco cordiale della sua mano.
RonzΓ² un verso di vendetta nel fondo della gola.
Β«Disse colei che questa mattina si Γ¨ svegliata alle prime luci dell'alba, cominciando a fare avanti e indietroΒ».
Si prodigΓ² in un'alquanto fedele imitazione del mio stato d'ansia, saltellando su e giΓΉ per le scale come un folletto particolarmente dispettoso.
I suoi ciuffi castani le erano ricaduti sulla fronte e li tirΓ² indietro, prima di alzare lo sguardo. Denti bianchi splendevano. Β«Correvi per la cucina come se il mondo fosse sul punto di implodereΒ» cantilenΓ².
Le lanciai un'ultima linguaccia, fingendo che non avesse appena vinto la discussione e scappai verso la mia via d'uscita, il cortile.
Percepii distrattamente la sua voce richiamarmi, dietro la schiena mentre sbattevo violentemente la porta.
Finsi che le mie orecchie fossero rosse solamente per l'aria gelida e tagliente che mi mozzò il fiato nel cortile e non per l'imbarazzo. «Sono tua madre non puoi liquidarmi così!» suonava indignata.
Schiacciai le spalle contro il mogano del portoncino, sentendo il pizzicore dell'umidità ghiacciarmi la schiena. La maglia si inumidì.
Mi concessi i pochi secondi di una breve risata. Poi ripartii tranquilla.
Mi assicurai di avere il mio soffice cappotto nero stretto sottobraccio.
Lo avevo afferrato al volo, nella foga.
Le giornate avevano preso a farsi sempre piΓΉ gelide mentre il mese di Ottobre giungeva alla sua conclusione.
Oltrepassai il gelido cancello di metallo e mi osservai attorno.
Non mi sorpresi di vedere la macchina scura di Sebastian, roboante.
Rapida mi gettai, senza troppe cerimonie, al posto del passeggero.
Un tonfo, la portiera che si chiudeva alle mie spalle. Gemetti di sollievo.
Ricciolo rossi folti come una criniera mi riscaldavano il collo, dondolando sulle clavicole.
Sfregai le mani tra loro, alla ricerca di un caldo attrito.
Piccole e candide nuvolette sfuggivano alle mie morbide labbra, arrossate dal freddo invernale.
Β«Ti saresti potuta infilare il cappotto, piuttosto che tenerlo sottobraccio, non Γ¨ un accessorioΒ».
Mi concessi di alzare lo sguardo dal cruscotto, arricciando il naso.
Lo fissai, gli occhi vacui e le labbra tremolanti, rilasciando un po' di tensione in un respiro pesante.
Stirai la schiena contro il sedile, le spalle intorpidite.
Le sue dita scattarono in avanti, quasi arricciate per il fastidio.
SibilΓ² tra i denti, premendo sui comandi per regolare l'aria calda nella macchina.
Sentii ogni muscolo del mio corpo contrarsi in gratitudine.
La mia testa ricadde all'indietro contro il sedile. Aspirai un fiotto d'aria con la bocca. Parve che una bomba di calore mi fosse scoppiata sotto la pelle.
Β«GrazieΒ». La parola mi rotolΓ² sulla lingua quasi involontariamente.
Lo scrutai fra le ciglia, stringendomi timidamente nelle spalle.
La sua schiena era rigida contro il sedile e le sue dita sottili battevano un ritmo ipnotizzante quanto a malapena udibile sul volante.
L'altra mano era ferma sul cambio, mollemente poggiata a cinque dita dalla mia coscia.
Inghiottì tra i denti.
Strofinai le iridi sui suoi zigomi, studiando l'ombra delle ciglia scure e la curva dei riccioli corvini che istigavano i miei polpastrelli.
Β«Siamo a Sylva, in OttobreΒ».
SchioccΓ² i denti in una smorfia.
Stava chiaramente giudicando la mia sconsideratezza. GonfiΓ² il petto di sdegno represso. Β«Fa freddo fuori, la mattinaΒ».
Avvicinai le mani alle piccole ventole e tirai su con il naso, molto probabilmente arrossato dal freddo.
Β«Lo soΒ» roteai gli occhi, trovandolo eccessivo Β«SarΓ² pure nata in Virginia, ma ti ricordo che vivo qui da quando ho memoriaΒ». Lo fulminai con un'occhiata laterale dalle marine tonalitΓ .
E poi, lui chiaramente non aveva avvertito affatto il cambio di temperatura. l'unica differenza degna di nota nel suo modo di vestire stava nella maglia nera.
Era stata, infatti, cambiata in una a maniche lunghe, per pura discrezione, ne ero certa.
Β«Grazie, papΓ Β».
Marcai particolarmente l'ultima parola e fui ripagata da uno sguardo vagamente esasperato.
Mi contorsi leggermente sul sedile, lasciandomi tuttavia scivolare il cappotto lungo le spalle e contraendo le dita dentro le maniche.
Β«Non ho avuto tempo, comunqueΒ» terminai poi, su una nota lievemente piΓΉ cordiale.
Β«PerchΓ©?Β» Mi domandΓ², vagamente interessato, rigirando il volante in modo da uscire dal parcheggio.
Il rumoreggiare soffuso del motore mi conferiva una calma quasi rassicurante.
Al contrario gli occhi di Sebastian parevano, come al solito, profondi baratri di metallo.
Il grigio era terso e affilato come quel triste cielo, privo dei colori delle giornate di sole.
Β«Non ha importanzaΒ» sventolai la mano in aria, uno sbuffo di corrente calda arricciato attorno alle dita.
Non avevo intenzione di parlargli della piccola parentesi con mia madre. Poi riportai immediatamente i polsi fra le pieghe del caldo cotone della tasca.
Si volse brevemente verso di me.
I suoi occhi grigi mi graffiarono come lame nelle ossa. SembrΓ² capire che qualcosa mi aveva turbato.
Le pupille mi puntarono.
AlzΓ² ulteriormente la temperatura, i lineamenti definiti in un'espressione comicamente corrucciata.
Ora sembrava piΓΉ di stare in una sauna che dentro una macchina Fiat.
Β«PiΓΉ che altro vorrei sapere-Β» richiesi la sua attenzione, distogliendolo dall'arcano mistero che pareva essere per lui il freddo esterno.
Β«PerchΓ© diavolo oggi ti Γ¨ venuta la brillante idea di andare al Luna Park?Β». Scossi la testa, totalmente incredula.
«Sono perplessa» ammisi timidamente, scrollando le spalle sottili, accostate allo schienale del sedile. «Non vuoi mai fare cose così-» mi affaticai per un attimo alla ricerca di un termine migliore, ma fui costretta ad arrendermi «normali».
ArricciΓ² le labbra in un'espressione leggermente offesa, mentre girava una curva particolarmente contorta.
Β«Io faccio cose normaliΒ» sbuffΓ², sporgendo il labbro inferiore in avanti.
PortΓ² poi una mano al petto in un gesto di scherno. Β«SpessoΒ» aggiunse in un soffio. InarcΓ² un sopracciglio, le iridi danzanti fra la ghiaia della strada attraverso il parabrezza, il cipiglio della mia fronte e lo specchietto retrovisore.
Β«Davvero?Β» lo rimbeccai.
Affondai i denti nel labbro inferiore, ci stavamo fermando, con un lieve stridore di freni, in un parcheggio.
Spinsi testardamente il mento in fuori, intrecciando le dita nelle tasche.
Β«E con chi?Β» chiesi. Β«Con me no di certoΒ». Le mie proteste perΓ² vennero rapidamente zittite.
Qualcosa oltre il parabrezza catturΓ² la mia attenzione.
Sentii la mascella allentarsi e gettai il busto in avanti, quasi schiacciando il naso contro il vetro appannato per vedere meglio fuori. Davanti alla mia vista si ergeva un cartello rosso.
Era probabilmente stato riverniciato da poco. Su di esso svettava l'immagine di un criceto, le zampe intrecciate in una specie di jetΓ©. Indossava un piccolo tutΓΉ rosa antico.
Mio malgrado fui costretta a nascondere la genuina risata che mi si stava gonfiando nel cuore.
Non cedetti.
Premetti i piedi sulla tappezzeria, mordicchiando il labbro inferiore.
I miei occhi dovevano essere spalancati quasi al punto da occupare tutto il viso, marcati da ciglia rosse.
Sbuffai, incrociando le braccia e gettando nuovamente la schiena contro il sedile nero. Β«Fammi un esempioΒ».
Β«Portarmi qui non valeΒ» canticchiai in aggiunta, anticipando quella che sarebbe stata la sua risposta.
AlzΓ² gli occhi al cielo, borbottando qualcosa su streghe e ingiustizie.
Le sue labbra erano tese in una silenziosa risata, risposta di una battuta che non potevo comprendere.
BoccheggiΓ² per qualche secondo alla ricerca di una risposta adeguata.
Dopo una manciata di minuti gli scoccai una pacca sulla spalla.
Sbuffando una risata divertita, aprii lo sportello, misi i piedi sull'asfalto e scappai all'interno del parco.
In una rapida occhiata dietro la spalla, mentre attraversavo l'alto cancello in ferro battuto, potei notare una risata sgorgare calda dalle sue perfette labbra.
I suoi passi rintoccare sui mattoncini acciottolati di bianco e rosa.
Il mio cuore si scaldΓ² di conseguenza, come se vi avesse soffiato sopra, stringendolo fra le mani, accarezzandolo con la punta delle dita.
Quella giornata era appena divenuta piΓΉ interessante di quanto mai avessi osato sperare: una sua genuina risata valeva piΓΉ di mille miei rancori e miliardi di mie gioie piΓΉ liete.
------------------------------------------------------------------------------------
π ππ‘π’π°π°π¬ π°π¬π©π¬ πͺπ’!
π±πππππππππ π πππππππππ π πππππ πππππππ π πππππππ, πππππ£π£πππ π πππππ£π£πππ! πΎπ, πππππ.
π΄πππππ πππ, ππ ππππ πππππ£π£πππ πππππ ππ πππππ π ππππ, πππ ππππ π πππππ πππππ, ππ ππππππ ππππππππ ππ πππππ ππ πππππ, πππππππ πππππ ππππππππ πππ ππππ£π£π ππ ππππππ£π£ππππ, ππ ππ ππππππππ πΜ π΅πΎπ½π³π°πΌπ΄π½ππ°π»π΄ πππ ππππππ ππππππ π πππ... πππ ππππππ£ππππ! ππππ π πππππππππ ππ ππ ππππππππ ππ ππ' ππ ππππ, πππ ππ πππππππ? π·π πππππππ π'ππππππππ, ππππππππππ πππππππ ππ ππ' π'ππ£ππππ πππ π ππππ πππ πππππ πππππ ( Λ Β³Λ)β₯οΈ
π²ππππππππππ ππππππ ππππππ ππ πππππ π'πππππππ, ππ ππππππππ ππππππππ ππππΜ ππππππππππ πππππ ππππ πππ ππππππ π’ππ’!
πΆπππππππππ ππππππΜ πππ ππ ππ πππππππ πππΜ! πΎππ!
πππππππ ππ ππππππππππ.
π
π ππππππ ππ ππππ-πππππππππ-ππππ-ππππππ-πππππππ...
ππππ, ππππ (β’Μα΄β’Μ)Ω
BαΊ‘n Δang Δα»c truyα»n trΓͺn: AzTruyen.Top