Mentre percorrevo il lungo corridoio, diretta nuovamente verso la fonte di quella musica tonante, che diveniva più persistente mano a mano che mi avvicinavo, non potevo fare a meno di chiedermi se avrei dovuto rispettare la promessa fatta a Sebastian oppure no.

Certamente non avevo alcuna voglia di ritrovarmi in qualche altro guaio, tuttavia, allo stesso tempo, trovavo orribile anche solo l'affacciarsi alla mia mente l'idea di abbandonare i miei amici, dall'incontenibile forza, in mezzo alla folla proprio quando erano attanagliati da tutta quell'ira malsana.

Sospettavo che a Sebastian non sarebbe importato molto se avessero preso a pugni qualche povero innocente, eppure io non riuscivo in nessun modo ad abbandonarmi allo stesso disinteresse.

«Rose...» fu Erika a raggiungermi, immediatamente sulle mie labbra si dipinse un tenue sorriso, almeno non mi sarei dovuta preoccupare anche per lei, rispose timidamente, una fossetta che andava a spaccarle la soffice gota .

«Scusami» borbottò, sistemandosi i capelli che si erano del tutto dispersi alla rinfusa «Non mi sono accorta che fossi uscita, i ragazzi si sono messi a litigare, e mi sono unita» terminò maliziosamente.

«Fa nulla» risposi pacatamente «Sebastian ha detto che troverà la soluzione, a quanto pare sono stati avvelenati con l'Aconito, è un...» mi interruppe candidamente, annuendo con fervore.

«Lo so, lo so» biascicò, evidentemente preoccupata «Chi è che non sa cosa sia l'Aconito?» Chiese retorica, sbuffando una risatina nell'aria, mi sentii punta sul vivo, ma decisi di evitare qualunque genere di altra discussione.

«Già» borbottai imbarazzata, portandomi i soffici capelli ramati dietro la spalla «Comunque...» mi affrettai a dirottare il poco idoneo discorso «Cosa pensi che dovremmo fare? Non ho neppure la più pallida idea di dove sia andato Sebastian» esclamai, esasperata.

«Io sì» emisi un urletto acuto di cui, per numerosi anni a venire, sarei stata molto poco fiera, portandomi una mano pallida al petto, il cuore che risuonava frenetico, mentre congiungevo lo sguardo con quello smeraldino di Katrina.

Aveva la schiena pressata contro la parete, gli occhi vitrei, mi pareva sempre che in lei qualcuno avesse premuto un qualche tasto di spegnimento «Quel brutto idiota. Gli avevo appena detto di non...» si autocensurò, portando una piccola mano alle labbra.

«Sei stata avvelenata anche tu» ne dedussi rapidamente, oltre il placido oblio, infatti, mentre si ricongiungeva a noi, potei scorgere nelle sue iridi ghiacciate delle ombre malcelate.

«Mi pare anche ovvio» si limitò a scattare, per poi lanciarmi uno sguardo che pareva attraversare totalmente il conflitto tra dispiaciuto e seccato, mi limitai a scrollare le spalle, sarebbe stato meglio se fosse stata così furiosa ogni singolo giorno della sua vita, almeno non si sarebbe dovuta tappare la bocca di fronte a chi avesse osato anche solo tentare di ferirla.

«E ti pareva...» proseguì, quasi distrattamente «Vorrei tanto sapere cosa diresti tu sotto l'effetto di un veleno del genere, probabilmente qualcosa di stupefacente e dolce, sorprendendo il mondo con la tua purezza persistente» spalancò i grandi occhi lussureggianti, come se non fosse stata lei stessa a parlare.

Tutta la situazione era già abbastanza inquietante per i miei gusti, non avevo certo bisogno che ci si mettesse anche lei con un disturbo dissociativo dell'identità.

Mi limitai a lanciarle un rapido occhiolino, mostrandole che la sua affermazione non mi aveva neppure scalfita, il che era assolutamente vero, piuttosto ero intenta a domandarmi perché sembrassero tutti pensare che io fossi tanto pura.

«Credi che dovremmo raggiungerlo?» Mi prodigai, tuttavia, a domandarle, la vidi chiaramente mordersi la lingua, ingoiando un ulteriore molto probabile insulto, rimasi in attesa della sua risposta, che non tardò ad arrivare.

«No» ribattè decisa «Sicuramente è in equilibrio precario, ma la nostra presenza non aiuterebbe affatto, solo lui può fare... quello» chiarì, fui io, allora, a mordermi la lingua, nessun dolore poteva essere minimamente paragonabile a quello che avvertivo quando lei parlava di Sebastian come se lo conoscesse meglio di me, perché forse era così e averne la conferma sarebbe stato troppo «Non che avrebbe dovuto, in primis» borbottò poi la ragazza, scrutandomi attentamente.

«Giusto, giusto» batté le mani Erika, con fare comicamente insolito, probabilmente percependo la tensione che agitava l'aria fra noi e decidendo di mettervi fine, si schiarì la gola «La situazione là dentro era contenibile» mi informò gentilmente «Nonostante tutto sembrano ancora coscienti di non dover uscire allo scoperto, in qualche modo sembrano capaci di trattenersi» esitò, incerta «ma tutto dipende da quanto tempo Sebastian impiegherà».

Non potei fare a meno di immaginarlo intrattenersi per la strada ad osservare le candide nuvole poiché, quando ci eravamo lasciati, non mi era affatto parso molto frenetico «Non conterei su una velocità soprannaturale, ecco» mi limitai a borbottare, sospirando pesantemente, lasciai cade le fragili braccia lungo i fianchi sottili, guadagnando due sguardi perplessi e verdeggianti.

«Oh be'» canticchiò Erika, con fare pericolosamente predatorio, estrasse dalla tasca il suo cellulare, prendendo a battere sui tasti in un ticchettio sonoro «Questo è un problema facile da risolvere» mi porse il piccolo strumento gentilmente «Il numero è già digitato, devi solo premere il pulsante di chiamata, digli di sbrigarsi» mi comandò, prepotente.

«Tu credi che basterebbe semplicemente una chiamata da parte mia per farlo correre alla velocità della luce?» Domandai incredula, delle soffici ciocche ramate che mi scivolavano sul viso.

Le due ragazze si scambiarono uno sguardo carico di sottintesi, poi si rivolsero nuovamente a me «Sì!» affermarono in coro, piuttosto sicure.

Ci fu un lampo lieve negli occhi di Katrina, mentre proseguiva «Sì» ripetè, lievemente più inviperita «Usa quella tua dolce vocina Rose devi solo dire "Oh, Sebastian, sono tanto, tanto preoccupata, potresti fare un pochino più rapidamente?"» imitò la mia voce in maniera odiosamente perfetta, posando una mano sul fianco «Lui sarà subito disposto anche a lanciarsi sotto una macchina» terminato quel breve discorso battè le palpebre più volte, le ciglia scure e vibranti, poco sotto la frangia, indietreggiò, intimorita «sta peggiorando, Rose» mi rivolse uno sguardo torvo e contrito «mi dispiace così tanto».

Sembrava terribilmente terrorizzata e non volevo peggiorare la situazione con dell'ingiustificato rancore, perdere il controllo di sé stessi doveva essere terrificante, se fosse accaduto a me non avevo idea di come mi sarei comportata, cercai di tendere le soffici labbra in un sorriso rassicurante, che risultò una smorfia un po' spiacevole, tuttavia quella scenetta fu sufficiente a convincermi a chiamare.

Dall'altro capo il ragazzo rispose dopo due soli squilli, che mi parvero un secolo «Stai bene?» un modo un po' peculiare di salutare, ma gli si addiceva alquanto.

«Sì, solo che...» indugiai qualche secondo «La situazione sta peggiorando» rivelai infine, poco estasica, avvertendo lo sguardo incoraggiante delle mie due compagne di avventura.

«Cosa?» Stava mantenendo una tonalità volutamente bassa, non abbastanza da arrivare ad essere un sussurro, tuttavia comunque non molto forte «Non sei con loro vero?» domandò, chiaramente ansioso «Sei nello studio?» insistette «Dio, Rose, perché mi devi far sempre dannare?».

«Aspetta, quella è Rose? Posso parlarci, io...» Una voce femminile, piuttosto lontana, modificata dall'elettricità statica del cellulare, mi raggiunse flebilmente, perdendosi poi in un mugugno indistinto, come se qualcuno avesse arginato le sue parole con la mano.

Rizzai la schiena «Chi era?» Domandai, più astiosa di quanto volessi essere, il cuore che batteva a mille, sapevo che Katrina riusciva a sentire la totalità della conversazione, mentre Erika solamente la metà, tuttavia parevano aver compreso entrambe cosa stesse accadendo.

«Nessuno» scattò Sebastian, molto più teso di quanto l'avessi mai udito essere «Che stavi dicendo?» Se preferiva che gli facessi pressione con quello che lui amava definire «Il mio livello odiosamente alto di empatia» piuttosto che rispondere, la situazione si dimostrava abbastanza grave.

Stavo per insistere, ma Erika mi fece un cenno di diniego con il capo, ricordandomi in un labile sussurro che non era il momento per le scenate di gelosia, non che la mia, comunque, potesse essere classificata tale.

«Senti Sebastian...» lo richiamai, mi rispose in un grugnito, segno che mi stava ascoltando «Sono molto preoccupata» mi chiesi se la smorfia, che avevo espresso nell'essere costretta a ripetere le precedenti parole di Katrina, potesse essere intravista fra le pieghe della mia voce «Potresti» sospirai, incredula «fare un po' più rapidamente?».

Dall'altro capo della linea ci fu quasi un intero minuto di silenzio, tanto che per un attimo temetti mi avrebbe chiesto dove fosse andata a finire la mia sanità mentale, ma successivamente fui costretta a ricredermi «Sto arrivando» borbottò gravemente, attaccandomi bruscamente.

Le ragazze mi rivolsero un'occhiata di soddisfatta approvazione.

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𝔈 𝔞𝔡𝔢𝔰𝔰𝔬 𝔰𝔬𝔩𝔬 𝔪𝔢!

𝚂𝚒𝚊𝚖𝚘 𝚐𝚒𝚞𝚗𝚝𝚒 𝚊𝚕 𝚝𝚛𝚎𝚗𝚝𝚎𝚜𝚒𝚖𝚘 𝚌𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 𝚍𝚒 𝚚𝚞𝚎𝚜𝚝𝚊 𝚜𝚝𝚘𝚛𝚒𝚊 𝚎 𝚜𝚒𝚗𝚌𝚎𝚛𝚊𝚖𝚎𝚗𝚝𝚎 𝚍𝚎𝚟𝚘 𝚍𝚒𝚛𝚎 𝚌𝚑𝚎 𝚙𝚎𝚛 𝚖𝚎 𝚎̀ 𝚞𝚗 𝚎𝚗𝚘𝚛𝚖𝚎 𝚝𝚛𝚊𝚐𝚞𝚊𝚛𝚍𝚘, 𝚗𝚘𝚗 𝚌𝚛𝚎𝚍𝚎𝚟𝚘 𝚌𝚑𝚎 𝚜𝚊𝚛𝚎𝚒 𝚛𝚒𝚞𝚜𝚌𝚒𝚝𝚊 𝚊𝚍 𝚊𝚛𝚛𝚒𝚟𝚊𝚛𝚎 𝚌𝚘𝚜𝚒̀ 𝚕𝚘𝚗𝚝𝚊𝚗𝚘, 𝚙𝚎𝚛𝚌𝚒𝚘̀ 𝚚𝚞𝚊𝚝𝚝𝚛𝚘𝚖𝚒𝚕𝚊 𝚐𝚛𝚊𝚣𝚒𝚎 𝚊 𝚝𝚞𝚝𝚝𝚒 𝚟𝚘𝚒.

𝙿.𝚂. 𝚂𝚌𝚞𝚜𝚊𝚝𝚎, 𝚖𝚊 𝚗𝚘𝚗 𝚜𝚘 𝚎𝚜𝚜𝚎𝚛𝚎 𝚜𝚎𝚛𝚒𝚊, 𝚟𝚒 𝚒𝚗𝚏𝚘𝚛𝚖𝚘 𝚌𝚑𝚎 𝚗𝚎𝚕 𝚌𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 𝚙𝚘𝚝𝚛𝚎𝚜𝚝𝚎 𝚝𝚛𝚘𝚟𝚊𝚛𝚎 𝚚𝚞𝚊𝚕𝚌𝚑𝚎 𝙻𝚊𝚝𝚛𝚒𝚗𝚊, 𝚌𝚑𝚎 𝚍𝚎𝚟𝚘 𝚍𝚒𝚛𝚎? 𝙰𝚕 𝚌𝚘𝚛𝚛𝚎𝚝𝚝𝚘𝚛𝚎 𝚗𝚘𝚗 𝚙𝚒𝚊𝚌𝚎 𝙺𝚊𝚝𝚛𝚒𝚗𝚊...

𝙲𝚘𝚖𝚎 𝚜𝚎𝚖𝚙𝚛𝚎 𝚜𝚎 𝚗𝚘𝚝𝚊𝚝𝚎 𝚚𝚞𝚊𝚕𝚌𝚑𝚎 𝚎𝚛𝚛𝚘𝚛𝚎 𝚜𝚎𝚐𝚗𝚊𝚕𝚊𝚝𝚎! 𝙵𝚊𝚝𝚎𝚖𝚒 𝚊𝚖𝚌𝚑𝚎 𝚜𝚊𝚙𝚎𝚛𝚎 𝚒 𝚟𝚘𝚜𝚝𝚛𝚒 𝚙𝚎𝚗𝚜𝚒𝚎𝚛𝚒 𝚜𝚞 𝚝𝚑𝚒𝚜 𝚌𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘, 𝚜𝚎 𝚟𝚒 𝚟𝚊.