π•¬π–—π–™π–Š π–Š π–˜π–†π–“π–Œπ–šπ–Š

Avevo sempre amato l'arte profondamente. Non che possedessi un qualche talento particolare, nutrivo per essa una specie di immenso rispetto.

Il pensiero di riuscire a trasmettere, attraverso una propria opera astratta, sentimenti tanto possenti e concreti mi colmava di ammirazione. Essa si rifletteva anche verso gli artisti, fautori di tale fenomeno.

Proprio questi erano i pensieri che si affacciavano nella mia mente. Mi aggiravo, in una, solo apparente, totale tranquillitΓ , fra i corridoi della scuola. Le pareti bianche erano rese vivaci dai brillanti colori di vari dipinti.

Nonostante il mio amore, perΓ², risultavano privi di qualsivoglia interesse nel mio stato d'ansia. Riportava continuamente il filo logico, di quegli stessi pensieri, verso la solita persona.

Sebastian stava supervisionando la zona, cercando di evitare altri pericolosi incidenti, che incidenti in realtΓ  non erano.
Quel giorno mi era parso irrequieto. CiΓ² portava anche me a perpetrare nell'agitazione. Tentavo, invano, di trovare un qualche appiglio che mi avrebbe salvato da quello sprofondare senza fine, riportandomi alla realtΓ .

Sarebbe stato piΓΉ semplice, se ogni immagine non mi avesse riportato alla mente un breve ricordo, di cui lui era il protagonista.
Osservavo un verde bosco rigoglioso e mi tornava alla mente il giorno in cui ero venuta a conoscenza di quella parte del suo essere, che era animale.
Guardavo l'immagine di un ragazzo solitario, disperso fra le voci, avendo perso la propria, e ricordavo lui e la sua totale mancanza di fiducia nell'umanitΓ .

I miei occhi, poi, saettavano sul profilo di un lupo e in me il tormento tornava a bussare, prepotente.
«Rose...» fu il saluto di qualcuno. Michelle Jackson mi comparve di fianco. Era una dolce ragazza dagli occhi color caffè, un meraviglioso sorriso perlaceo a tenderle i lineamenti.

Possedeva un diverso tipo di popolaritΓ . Era famosa per le numerose iniziative a cui partecipava, che andavano sempre a segno.

Β«Allora...Β» mi domandΓ², allargando le braccia, come a circondare, orgogliosa, tutta la sale ben allestita Β«Che ne pensi?Β».
Striscioni, banchi e decorazioni varie facevano sfoggio, in un candido color neve, del buon gusto della ragazza.

Β«Hai scelto il bianco, come temaΒ» constatai, con un sorriso, specchio del suo. L'allegria mi contagiΓ². Michelle si era assunta, senza saperlo, la responsabilitΓ  di mia momentanea distrazione.

Annuì. «Sì!» Affermò. Accompagnò le parole con un movimento del capo in cui i ciuffi castano scuro la seguirono «Ho pensato: oggi ci saranno tanti colori, come faccio a decidere un tema che starà bene con tutto? E poi bum! Illuminazione».
Fece una drammatica pausa: Β«Tela bianca, tema biancoΒ».

Β«Hai avuto una buona ideaΒ» convenni dolcemente, spostando i miei ricci dietro una spalla.
Continuammo a chiacchierare per un po' e riuscii a rilassarmi per qualche minuto.

Non so bene quanto tempo dopo l'inizio del discorso, mi accorsi della presenza di Sebastian in lontananza. Dietro Michelle, mi fece un cenno con il capo, che io restituii.
Β«...Sarebbe stato un disastro, te lo immagini?Β» la ragazza davanti a me terminΓ² il suo discorso, che non ero riuscita a seguire.

«Sì, ne sono sicura» cercai di apparire calma e composta «potresti scusarmi un attimo?».

Lei mi lanciò un'occhiata turbata «Sì» concesse esitante.
Β«Ma va tutto bene?Β» chiese poi. PosΓ² una mano dalla setosa pelle color cioccolato sul mio braccio, in un gesto cortesemente preoccupato.

Annuii e, dopo qualche altra parola, riuscii finalmente a convincerla e raggiunsi Sebastian.
Β«Cosa c'Γ¨ che non va?Β» mi misi immediatamente in allerta, osservando i dintorni con circospezione.

Sebastian stava facendo lo stesso, le iridi argentee saettavano vigili sulla folla. Β«Ce ne occuperemo noiΒ» rispose serio Β«Ma promettimi che farai attenzioneΒ».

Β«Quindi...Β» Riportai lo sguardo su di lui, incredula, mordicchiandomi l'interno della guancia. Β«Mi hai chiamato solo per dirmi che non avevi niente da dirmiΒ» constatai con uno sbuffo seccato.

Annuì disinteressato, facendo per andarsene. Lo fermai, afferrandolo per un polso forte «Stai attento» dissi soltanto. Sperai che ciò che albergava nei miei occhi sarebbe bastato a fargli comprendere quanto davvero intendessi quelle parole.

Sorrise. Β«TranquillaΒ» ribattΓ© con arroganza Β«Sei tu quella che deve stare attentaΒ». Alzai gli occhi al cielo.

Β«Io sono qui, a scuola, scommetto che non succederΓ  niente di interessanteΒ» proruppi infastidita, lasciandolo andare con rammarico.
Lui mi lasciò lì. Anche se ero conscia che lo avrei rivisto al massimo dopo poche ore, avvertii la forte mancanza di quella parte di me.

Tornai da Michelle e intrapresi discorsi con piΓΉ persone possibili.
La mia anima, tuttavia, si stava struggendo, corrotta dalla tortura psicologica che era restare all'oscuro di ciΓ² che stava avvenendo fra le ombre, al di fuori del mio campo visivo.

Non capivo come qualcuno potesse pensare fosse positivo, per me, non sapere nulla.
Avevo percorso gli stessi tratti di strada, come minimo, una ventina di volte e la noia iniziava a farsi sentire, quando Erika si avvicinΓ² a me.

Mi chiamΓ², appariva abbastanza scossa. Β«Ho sentito un rumore vicino al mio banco, ho paura, puoi venire a controllare assieme a me?Β» Chiese poi timidamente, arricciandosi attorno al dito una sua stessa morbida ciocca bionda.

Accolsi l'idea senza remore. Nonostante Sebastian mi avesse esplicitamente detto di prestare attenzione, non mi aveva proibito di andare ad ammirare lo stand di una mia amica.
Non desideravo essere una principessa, rinchiusa in una lussuosa stanza al piano piΓΉ alto di una torre.

Ci dirigemmo verso la postazione con apparente calma. Passando lo sguardo su alcuni disegni di Erika, per qualche ragione, a me ignota, i ricordi degli incubi che qualche sera prima avevano turbato il mio sonno sfilarono nuovamente, prepotenti, fra i miei pensieri.

Un tanto improvviso, quanto violento, colpo alla porta lì vicina, che dava sul retro della scuola, mi fece sobbalzare, strappandomi da quell'incantesimo.
Il cuore cominciΓ² a battermi nel petto, ad un ritmo rapido ed incostante.

Β«Credi che dovremmo andare a vedere?Β» Propose Erika, mordendosi il labbro rosa, in agitazione.

Scossi la testa ferocemente. Β«No!Β» ribattei, forse un po' troppo brusca, ma non trovavo affatto quell'idea intelligente.

«Ma...» Esitò lei «Se ci fossero i ragazzi lì dentro?». Si strinse nelle pallide e fragili braccia.

A quel punto mi convinsi.

Posai una mano sulla gelida maniglia di metallo e, dopo un nervoso respiro profondo, la aprii lentamente. Solo uno spiraglio, eppure, non appena una mia Converse fece capolino all'interno, mi sentii trascinata dentro, con forza sovrumana.
Trascinata in un incubo, composto di dolore e terrore, dal quale non sapevo se sarei riuscita a fuggire.
La porta si serrΓ² alle mie spalle con uno schiocco.

Avvertii la serratura scattare. Attraverso la foschia di panico, la soffusa voce di Erika, intrecciata al terrore, mi raggiunse. Mi stava chiamando, ma i miei sensi sembravano essersi fusi, tramutati in una cacofonia di miste sensazioni.

L'alito raschiante del mio aggressore mi sfiorava il viso, in pesanti soffi che lasciavano le sue labbra. Era gelido come le braccia della morte.
Le sue dita si chiusero in una morsa possente attorno alla pelle calda del mio collo, impedendo ai miei polmoni di svolgere le loro principali funzioni.

I capillari sembravano andare a fuoco, desiderando scoppiare, sotto la mia pelle lattea.
Tastai con le dita la superficie della mensola del freddo scaffale, contro cui la mia schiena era pressata, alla ricerca di una possibile arma. Rantoli disperati sfuggivano al mio controllo.

Poi cessai di sentire.

I muscoli cessarono di tendersi, in una dolorosa ricerca di una via di fuga, inesistente, da quella presa assassina.
Le mie palpebre stavano per calare, forse per sempre, conducendomi verso l'oblio del torbido pozzo di riposo eterno, quando quell'essere mi fu strappato di dosso, con potente furia.

L'ossigeno affiorΓ² nuovamente nel mio petto, come una pressione improvvisa. Mi ritrovai ad annaspare, piegata in due, fra violenti conati di vomito.

La luce tornΓ² a inondare la stanza, la speranza, gli occhi brucianti di lacrime volsi lo sguardo alla porta malconcia. Sulla soglia stava Erika, impalata, le dita pallide ancora poste sull'interruttore.

Con le zanne lunghe e il viso contorto, non umano, l'essere tentΓ² nuovamente di gettarsi su di me. Gli occhi erano rossi, lo stesso cremisi del sangue.

Mi sembrΓ² di star ammirando le viscere della morte piΓΉ nera, macchiata del maledetto vermiglio di quella sostanza che per me era morte, per quel volenteroso predatore vita, necessitΓ .
Temetti sarebbe stata l'ultima cosa che avrei visto, ma non fu così.

In un incrocio di figure, ringhi soffusi e rabbia accecante, nella rappresentazione della lotta fra due razze, due esseri inumani si furono addosso.

Ricordo di aver pensato all'ironia di quei colori. Colui che stava per salvarmi la vita appariva nelle sembianze di un animale, una belva dal manto nero come la notte. Colui che stava per sottrarmela un comune essere umano.

Tuttavia, in veritΓ , erano gli occhi il riflesso delle loro avverse anime, e il rosso mortale si stava scontrando con l'argenteo colore delle ali di un angelo.
L'essere oscuro ricadde a terra, ormai inerme, con un tonfo, la testa separata dal corpo privo di volontΓ .

Il lupo si voltΓ² verso di me, sangue brillante colava giΓΉ dal suo muso. Lentamente il liquido parve cominciare a divenire screziato nel nero.
Il lupo fuggì al mio sguardo, come un criminale fugge da un giudice severo. Fuggì da una sentenza che mai avrei rilasciato, non contro quelle argentee pozze di luce.
Ruppe il vetro di quella piccola finestra, che, con un infrangersi di sogni lo avrebbe condotto lontano da me.

Β«Sebastian!Β». Tentai di richiamarlo, un graffiare doloroso delle corde vocali, che accompagnava il mio celato timore.
Volevo seguirlo. Con lui avrei prosperato anche fra le ombre della notte, la luce non contava in sua assenza.

Β«StarΓ  beneΒ» Mi fermΓ² Erika, con quelle parole, che non accettai. Io sapevo che i suoi tormenti sarebbero tornati a ferirlo. Come i vetri di quella finestra, che l'aveva condotto ad una via di uscita inesistente.

Β«Noi abbiamo altri problemiΒ».
Come se quella frase avesse dato il via a una realizzazione comune, studenti, insegnanti e genitori si affollarono, affannati, nella stanza. Erano alla ricerca di spiegazioni e rassicurazioni che non volevo e non potevo offrire.

Quella confusione mi circondΓ², ricordandomi che mai avrei potuto correre alla velocitΓ  a cui correvano i lupi.

--------------------------------------------------------------------------------------------

𝕰 π–†π–‰π–Šπ–˜π–˜π–” π–˜π–”π–‘π–” π–’π–Š!

π–‘π—Žπ—ˆπ—‡π—€π—‚π—ˆπ—‹π—‡π—ˆ 𝖺 π—π—Žπ—π—π—‚ π—π—ˆπ—‚!
𝖦𝗋𝖺𝗓𝗂𝖾 𝗉𝖾𝗋 𝗅𝖺 𝗉𝖺𝗓𝗂𝖾𝗇𝗓𝖺, 𝗂𝗇 π–Όπ—ˆπ—†π—‰π–Ύπ—‡π—Œπ—ˆ π—Šπ—Žπ–Ύπ—Œπ—π—ˆ 𝖾̀ 𝗂𝗅 π—†π—‚π—ˆ π–Όπ–Ίπ—‰π—‚π—π—ˆπ—…π—ˆ π—‰π—‹π–Ύπ–Ώπ–Ύπ—‹π—‚π—π—ˆ, 𝖾̀ π—Œπ—π–Ίπ—π—ˆ π—Žπ—‡ π—‰π–Ίπ—‹π—π—ˆ, π—Œπ–Ύ π—‡π—ˆπ—π–Ίπ—π–Ύ π–Ύπ—‹π—‹π—ˆπ—‹π—‚ π—‡π—ˆπ—‡ π–Ύπ—Œπ—‚π—π–Ίπ—π–Ύ 𝖺 π—Œπ–Ύπ—€π—‡π–Ίπ—…π–Ίπ—‹π—†π–Ύπ—…π—‚, π—‡π—ˆπ—‡ 𝗆𝗂 𝖽𝖺̀ π–Ίπ—…π–Όπ—Žπ—‡ 𝗀𝖾𝗇𝖾𝗋𝖾 𝖽𝗂 π–Ώπ–Ίπ—Œπ—π—‚π–½π—‚π—ˆ, 𝖼𝗁𝖾 𝗇𝖾 π—‰π–Ύπ—‡π—Œπ–Ίπ—π–Ύ? π–±π—ˆπ—Œπ–Ύ 𝗁𝖺 π—‹π–Ίπ—€π—‚π—ˆπ—‡π–Ύ? π–±π—‚π—Žπ—Œπ–Όπ—‚π—‹π–ΊΜ€ 𝗆𝖺𝗂 𝖺 π—‹π–Ίπ—€π—€π—‚π—Žπ—‡π—€π–Ύπ—‹π–Ύ π–²π–Ύπ–»π–Ίπ—Œπ—π—‚π–Ίπ—‡?

BαΊ‘n Δ‘ang đọc truyện trΓͺn: AzTruyen.Top