Capotolo 7

HOSEOK'S POV:

I signori Choi mi incrociano quando sono appena uscito di casa per incamminarmi verso la parrocchia. Hanno una strana faccia, non esattamente allegra, e dal momento che li ho invitati come ospiti questa sera al corso prematrimoniale per parlare della vita a due – speravo in positivo – mi sento in dovere di riprendere in mano le chiavi e riaprire la porta.

«Stavate cercando me?», chiedo con tatto.

«Ci chiedevamo se avesse un minuto», conferma il signor Choi con volto teso.

«Certo. Ci accomodiamo un attimo?». Riapro il portone e gli faccio segno di seguirmi.

Prendono posto sul divano che nell’ultimo periodo ha visto più persone del lettino di uno psicologo quotato. La signora Choi tiene lo sguardo basso e le mani incrociate. Sto iniziando ad avere una brutta sensazione…

«Ditemi», li esorto a parlare, visto che l’orologio al mio polso mi ricorda che il tempo scorre implacabile e arrivare troppo in ritardo al corso sarebbe molto poco opportuno. Darebbe adito a padre Yoongi di lamentarsi con mezza parrocchia. Se posso, evito di autoinfliggermi simili punizioni.

«Ecco, ci spiace disturbarla», esordisce il marito. «Ma non sapevamo con chi parlarne…».

«Ma certo. Io sono sempre a disposizione», li rassicuro.

«Sono giorni che litighiamo su un tema difficile. E a noi non capita mai di litigare», racconta. «La questione le sembrerà un po’ strana…».

«La questione è sciocca», borbotta la moglie, che finora era rimasta in silenzio. «Sei tu che stai ingigantendo la cosa».

«Perdonami se sono rimasto sconvolto», le fa lui.

«Addirittura, sconvolto!», ripete la moglie seccata. «Sono solo dei romanzi!».

«Solo? Solo? Se sono solo dei romanzi, perché non ne mostri uno al reverendo?».

Osservo prima uno e poi l’altra senza capire granché. Libri? Stiamo parlando di libri? Perché ci siamo ridotti a perdere tempo a litigare sulle scelte di lettura in un momento storico in cui al limite il problema che affligge la società è che nessuno legge più niente? «Scusatemi», mi sento in dovere di intervenire, «ma di che libri si tratta?».

Il marito lancia un’occhiata di sfida alla moglie. «Ora voglio proprio vedere cosa risponderai».

«Per favore, Byung-chan, cerchiamo di non esagerare». Apre la grossa borsa che aveva posato accanto a sé e ne tira fuori un libro con una copertina nera e fucsia. Me lo porge inspirando profondamente. «Questo è uno dei romanzi in questione».

Non sapendo bene cosa fare, prendo il libro che mi viene porto e lo scruto meglio. L’autrice è una tale Y/n L., solo una lettera al posto del cognome, immagino per motivi di marketing e per risultare più misteriosa. La copertina è piuttosto minimalista, con qualche piuma che cade dall’alto e un titolo che non so bene come interpretare: «Sette giorni con te».

«Lo sa che tipo di romanzo è questo?», mi interroga il signor Choi.

«Un romanzo d’amore?», tiro a indovinare.

«Sì, ma non il classico romanzo d’amore che ci si aspetterebbe che legga una donna che si presume conoscere… no… questo è un romanzo erotico!».

Dalla sua espressione paonazza ho motivo di credere che il signor Choi non approvi questo genere di letture. Sua moglie mi pare mortificata, e senza alcun motivo, per quel che mi riguarda. «Be’, signor Choi, non ho letto il libro e non posso esprimermi, ma personalmente non sono prevenuto a priori contro certi romanzi. Credo che tutti insegnino qualcosa o rispondano a specifiche curiosità…». Ho volutamente utilizzato la massima diplomazia possibile, perché questa vita mi ha insegnato che la sensibilità altrui non è mai da prendere sotto gamba.

La moglie solleva incredula lo sguardo; mi sembra così sollevata che pare volermi baciare. Tenderei a sconsigliarlo, visto come ha reagito suo marito a un banale romanzo. «Apri bene le orecchie, Byung-chan, ascolta il reverendo: è solo un romanzo d’amore», gli ripete vittoriosa.

«No che non lo è!», insiste l’altro. «Reverendo, mi deve fare un favore personale: lo deve leggere. E solo a quel punto potremo parlarne. Perché io l’ho fatto, dalla prima all’ultima pagina, e ne sono rimasto sconvolto», esclama teatrale.

«Addirittura», sbuffa la moglie. «Guarda, mio caro, che tu sei fortunato: la trasgressione che mi garantisce questo genere di letture mi basta e avanza. È solo finzione letteraria, mica vita vera!».

«Io non riesco proprio a capire perché una donna felicemente sposata abbia bisogno di evasione letteraria e di trasgressione». Da come pronuncia l’ultima parola, si intuisce che la cosa lo offende personalmente.

La signora Choi alza gli occhi al cielo. «Io e te siamo sposati da ventitré anni!», gli ricorda. «Ogni tanto serve poter evadere un po’ dalla quotidianità».

«Mi stai dicendo che non sei contenta della tua vita?»

«Ti sto dicendo esattamente l’opposto, uomo ostinato!».

«Ok, ok, credo di aver capito a sufficienza…», intervengo a placare gli animi agitati. «Facciamo così: leggerò questo romanzo», mi offro, non sapendo bene cos’altro dire. «E poi ne parleremo con cognizione di causa. E ora, cosa ne dite se ci dimentichiamo per qualche ora delle difficili questioni letterarie e ci concentriamo sulle nostre coppie di sposini?». Sono indeciso se rimandarli a casa o trascinarli al corso nonostante tutto, ma rispediti indietro non farebbero altro che continuare con il litigio, perciò forse è meglio tenerli sotto la mia custodia. In presenza di altre coppie saranno costretti a darsi una regolata.

Marito e moglie si scambiano un’occhiata di diffidenza reciproca ma acconsentono alla tregua, con mio sommo piacere.

Appoggio il libro dalla copertina enigmatica sul tavolino prima di abbandonare la stanza; una parte di me è curiosa di scoprire cosa abbia fatto tanto indignare il signor Choi.

Più invecchio e più mi rendo conto che è la mancanza di empatia a renderci intransigenti. E l’intransigenza, quasi in ogni aspetto della vita, non è mai la carta vincente.

◦•●◉✿✿◉●•◦

Il corso prematrimoniale che inizia oggi prevede la partecipazione di dieci coppie molto eterogenee per età: per lo più sono coppie di trentenni, età oggi considerata ideale dalla società per pronunciare il “per sempre”, con qualche simpatica eccezione sia in un senso che nell’altro. Abbiamo infatti due ragazzi che hanno da poco superato i vent’anni, desiderosi di sposarsi, e poi abbiamo Jin-young e Taeyeon, la cui storia ci ricorda che l’amore non ha età. Sono palesemente un romantico e mi fa piacere che anche persone non più giovanissime trovino la forza di innamorarsi e di voler costruire una vita insieme.

Entro nella grande sala prenotata per il corso trascinandomi dietro i coniugi Choi, espressioni tumultuose sui volti ma bocche ben cucite, e osservo i partecipanti che si stanno a mano a mano presentando e chiacchierano tra loro. L’occhiata che lancio alle persone presenti è molto veloce – in verità sono già concentrato a riflettere su come inserire la testimonianza dei Choi in modo che non possano nuocere né a loro stessi né al prossimo – ma sono costretto a bloccarmi e tornare indietro perché qualcosa è riuscito a catturare la mia attenzione pure in questo momento di caos. Più che qualcosa, qualcuno. A quanto pare Taeyeon si è presentata questa sera accompagnata non dal promesso sposo, ma dalla figlia.

Le gambe mi conducono da loro senza che io me ne renda conto. «Buonasera a tutti», saluto. Le due donne stanno facendo amicizia con i più giovani del corso, nemmeno a farlo apposta, e sono in compagnia di Jihyo, mia collega insieme a Tae.

«Reverendo…», mi saluta Y/n, notando il mio avvicinamento. Questa sera si è vestita interamente di nero: un paio di strettissimi jeans e una maglietta molto semplice ma d’effetto. Se l’altra volta con il vestito floreale pareva quasi un personaggio fiabesco, oggi il suo intento mi pare molto meno conciliante. O forse sono solo io che sto leggendo chissà quali significati reconditi nelle sue scelte di abbigliamento, che potrebbero benissimo essere del tutto casuali. Sono donne, notoriamente chi le capisce è bravo.

«Y/n, hai deciso di sposarti anche tu?», ironizzo.

Taeyeon scoppia a ridere. «Mia figlia non è il tipo».

«Nella vita si cambia», le ricorda Jihyo con tono benevolo. Lei lo sa meglio di chiunque altro: ha avuto un’adolescenza molto burrascosa e traumatica e probabilmente mai nella vita avrebbe immaginato di prendere i voti e crearsi una sua famiglia felice, eppure è successo. Jihyo e suo marito Kang Daniel sono una coppia adorabile da prendere a esempio, tra l’altro.

«Sì, ma solo fino a un certo punto», interviene la diretta interessata. «Un leone che nasce leone non muore gazzella».

«Esempio interessante e, sono certo, non casuale», mi permetto di commentare, guadagnando un po’ di tempo per chiarirmi le idee. Non immaginavo di rivederla tanto presto e ora sono alle prese con una strana contentezza che non so bene come interpretare. Negli ultimi anni ho sempre fatto grande attenzione a essere sincero con me stesso, brutalmente sincero quando serve, e in virtù di questo amore per la franchezza non posso esimermi dal notare che Lee Y/n non mi è del tutto indifferente. Non lo è stata dal primo istante, a dire il vero.

«La rassicuro, reverendo, non sono qui per azzannare prede ma ho solo accompagnato mia madre. Il fidanzato è assente per lavoro e lei aveva paura di venire da sola».

Taeyeon arrossisce come un peperone, presa alla sprovvista da una simile risposta. «Reverendo Hoseok, non è che avessi paura…», balbetta la donna a disagio.

Trattengo un sorriso. Y/n non ha ancora finito di tirare colpi mancini, a quanto pare. «Tranquilla, Taeyeon, lo so che Y/n sta scherzando», mi affretto a rassicurarla. «In fin dei conti qui siamo tra amici. E poi ha fatto bene a portare sua figlia; più siamo e meglio è».

«Ama le ammucchiate, padre Hope?», si informa Y/n con un candore decisamente irrealistico.

A Jihyo scappa una sonora risata.

«Si dà il caso che sì, mi piacciono enormemente. Amo poter riunire le persone», replico impegnandomi affinché il mio sorriso rimanga sempre lo stesso.

Lei mi lancia un’occhiata che pare quasi un volersi complimentare per la risposta. «Sì, hai l’aria di quello che è gentile con tutti…», conviene.

«Sono certo che tu lo intenda come un complimento». Che sia un bene o meno – sospetto di no – Lee Y/n mi fa uno strano effetto, e infatti Jihyo mi lancia un’occhiata confusa.

«Ma certo», si affretta a confermare Y/n. È una palese provocazione, ma sapientemente travestita.

Faccio un bel respiro imponendomi di lasciar perdere; nulla di buono potrebbe mai venire fuori da questa storia. Che poi storia non è – è stato solo un episodio, niente di più. «Vogliamo accomodarci?», mi rivolgo a tutti i presenti.

Pochi attimi e tutti hanno preso posto sulle sedie che abbiamo preparato per l’occasione; i coniugi Choi si sono accomodati sul vecchio divano di padre Yoongi. Decisamente orribile, ancora più brutto di quanto ricordassi. Scopriranno presto che è anche molto più scomodo di quello che sembra.

«Un caloroso benvenuto a tutti i nostri promessi sposi, ai nostri già sposi e anche agli accompagnatori». Gli sguardi dei presenti sono su di me, per ovvi motivi, ma quello di Y/n mi pare avere un peso differente. «Ci troviamo qui oggi per discutere un po’ di cosa sia il matrimonio e cosa sia giusto aspettarsi dal matrimonio, dell’importanza della coppia e del dialogo, specie nei momenti difficili. Ma parleremo anche di spiritualità coniugale, dell’esperienza di diventare genitori e così via. Vi dico subito che non ci sono domande scomode o tabù. Siamo qui tra amici e ogni forma di scambio di opinioni è fortemente incoraggiata».

I presenti annuiscono, ma li vedo ancora piuttosto timorosi. Ecco perché faccio fare un giro di presentazioni, in modo che inizino a familiarizzare tra di loro. Spendiamo poi qualche minuto in più perché ogni coppia possa avere l’opportunità di raccontare la propria storia. Si scoprono sempre tanti piccoli dettagli caratteriali da come le persone raccontano la propria storia d’amore; è un test migliore di quello psicologico, per quel che mi riguarda.

Quando è il turno di Taeyeon, la osservo esitare. Lancia un’occhiata alla figlia, che bonariamente la spinge a parlare. «Su, mamma, non essere timida. L’importante è che tu non dica che non sai come nascono i bambini», la prende in giro.

Y/n ha un’ottima presenza scenica, come avevo intuito già la prima sera, e infatti tutti gli altri scoppiano a ridere. Inclusi i coniugi Choi, incredibile ma vero.

«Buonasera a tutti, il mio nome è Taeyeon e questa è mia figlia Y/n, che ho trascinato quasi contro la sua volontà per supporto psicologico dal momento che il mio futuro marito è via per lavoro. Vi confesso che le parole “futuro marito” mi incutono ancora tantissimo terrore, e infatti, nonostante io non sia più giovanissima, questo sarà per me il primo matrimonio. Jin-young e io ci siamo conosciuti a una mostra al MOMA, ed è stato quasi un colpo di fulmine. Non mi era mai accaduto prima in vita mia», confessa con molto candore. «Perciò, nonostante io non sia mai stata il tipo di persona che un giorno si sarebbe immaginata sposata, eccoci qui».

Y/n rimane stranamente in silenzio dopo le parole della madre. Niente battute d’effetto, niente uscite provocatorie. Forse è rimasta colpita anche lei dalle parole di Taeyeon.

«E ora andiamo subito dritti al punto centrale: che cosa è il matrimonio?», chiedo ai presenti. Il mio intento è quello di stimolare una vivace discussione per rendere la serata divertente, oltre che utile.

Per un po’ il silenzio è l’unica cosa che si ode; nessuno ha abbastanza coraggio da lanciarsi per primo.

«Una punizione che la gente ama autoinfliggersi?», sento pronunciare a una voce impertinente. Non fingerò di non sapere a chi appartenga. Qualcuno ride, altri si indignano a bassa voce.

«Interessante punto di vista. E perché?», le chiedo voltandomi dalla sua parte.

«Perché l’essere umano ama farsi del male, ama sottoporsi a continue prove, e non sopporta di stare da solo, per qualche strano motivo. Anzi, no, in verità non è strano: chi è debole non riesce a reggere da solo sé stesso, perciò chiede a un altro di portare con lui il proprio peso», mi risponde. Taeyeon dà una gomitata alla figlia, ma Y/n pare non farci caso. «Perciò, per rispondere alla domanda, reverendo, io penso che il matrimonio sia solo una grande illusione. Non a caso qualcuno la definisce una favola all’inizio, nel senso che è effimero come certi racconti…».

Ho l’impressione che siano tutti in attesa di una mia risposta, e non posso sottrarmi. «Mmm, un po’ cupo come modo di vedere non solo il matrimonio ma anche l’amore», le faccio notare.

«Le faccio io una domanda, reverendo: perché, se il matrimonio è questa cosa meravigliosa, secondo lei in così tanti divorziano?». Incrocia le gambe sulla sedia e con lo sguardo mi sfida a risponderle.

«Su una cosa Y/n ha ragione», mi rivolgo alla sala. «In troppi oggi si aspettano rose e fiori dal proprio matrimonio. E quando le aspettative sono poco realistiche, anche una cosa preziosa può arrivare alla rottura. Perciò, per quanto forse questo vi sembrerà un’occasione strana per parlare di fallimenti e aspettative eccessive, in realtà farlo può aiutarvi. Il matrimonio è per sempre perché il sentimento è per sempre. Da non confondere però con qualcosa di fermo, statico, immutabile. In verità le persone cambiano e lo fa anche l’amore. Faremmo un grande errore se non parlassimo anche di questi aspetti». Mi volto infine verso la donna che ha subito voluto sollevare un tema così spinoso e la fisso negli occhi. «Perciò, per tornare al tuo quesito, oggigiorno tanti matrimoni falliscono perché le persone mettono sé stesse sempre al centro di tutto. Viviamo in un’epoca dove la felicità del singolo pare avere più valore di quella della coppia».

«E c’è qualcosa di male a pensare a sé stessi dopo che per secoli le donne hanno dovuto pensare a tutti gli altri?», domanda.

«No, ma l’io non può essere l’inizio e la fine di ogni possibile discorso, la spinta per ogni decisione. Che ci piaccia o meno, per fortuna ci sono cose molto più importanti di noi», cerco di argomentare.

Non credo di averla pienamente convinta, ma l’occhiataccia di avvertimento di Taeyeon la fa desistere dal sollevare ulteriori tematiche scomode. Per inciso, personalmente trovo questo genere di scambi d’opinione sempre molto interessanti e stimolanti, ma come in ogni cosa, c’è un luogo e una platea più adatti di altri.

Il resto dell’incontro scorre senza intoppi, inclusa la testimonianza dei signori Choi, che hanno parlato dell’importanza della comunicazione in una coppia di lungo corso. Erano tesi, inutile negarlo, ma uno avrebbe potuto tranquillamente attribuire la loro rigidità all’essere poco abituati a discutere in pubblico.

O almeno è quello che pensavo, finché, durante un piccolo rinfresco organizzato subito dopo per i partecipanti per andare avanti a socializzare, Y/n non mi si avvicina. «Dove li hai trovati quei due?», mi chiede ironica, indicando con lo sguardo proprio i coniugi Choi. «In certi momenti mi sono parsi nervosetti…».

«Perché, non ti piace il grande amore che dura decenni?», rispondo scherzando a mia volta.

«Per carità: il fatto che io non ci creda, non vuol dire che non possa funzionare per altri. Voglio dire, continuo a dubitare che possa realmente funzionare, ma in certi casi il confine tra il reale e il fittizio è labile», commenta. «Niente alcol da queste parti?». Sta infatti scandagliando critica il tavolo dove abbiamo allestito un piccolo buffet.

«No, ma puoi sempre vivere pericolosamente», la invito. «Succo di mirtillo?». Sollevo la bottiglia, pronto a versare da bere.

Lei sospira rassegnata e allunga il bicchiere. «Non trovi che lo stia già facendo fin troppo? Sono a un corso prematrimoniale, per l’amor del cielo. Per quanto il matrimonio non sia mio, va da sé». Porta il bicchiere con il succo alla bocca, scrutandomi da sopra il bordo.

Le sorrido. «Magari un giorno mi dirai perché sei così contraria…».

«Oh, ma le mie motivazioni sarebbero così numerose da richiedere ore», scherza. O almeno penso. «Però il matrimonio, oltre a essere a mio modesto avviso la tomba dell’amore, è di certo la tomba della trasgressione».

Il succo di mirtillo ha lasciato una macchia di colore scuro sopra il suo labbro. La tentazione di ripulirgliela io stesso è sorprendentemente potente; sono costretto a impedirmi di alzare la mano.

«E la trasgressione è per te molto importante», desumo. Il mio tono non è di condanna, lo giuro, ma di sincera curiosità. Interessarmi all’umanità e a come ragiona è sempre stata una mia passione, che mi ha portato anche a questa scelta di vita.

«Mettiamola così: dove voi vedete peccato, io vedo invece una spinta positiva a non volersi accontentare», mi risponde dopo essersi presa qualche attimo per soppesare le parole.

«Voi? Voi chi?», le chiedo fingendo di voltarmi in cerca di chissà chi. Trovo Jihyo, nemmeno a farlo apposta.

«Voi vestiti di nero».

«Allora, noi vestiti di nero», replico indicando il suo stesso abbigliamento. Sono felice in modo quasi infantile che mi abbia servito una risposta così facile. «Mi sembra che ci assomigliamo più di quanto possa sembrare…».

«Sembrate presi da una discussione interessante», si unisce la mia collega. Non mi sfugge la sua occhiata interrogativa. Sì, sto decisamente dedicando troppo tempo a una sola persona, l’unica che è qui senza una vera motivazione, tra l’altro.

«Si parlava di quanto i diversi siano in verità simili», sintetizzo.

Y/n scuote la testa. «Non è così semplice…».

«Non è mai semplice», commenta Jihyo. «È questo il bello».

«A maggior ragione in questo caso specifico in cui si parlava di trasgressione», le svela Y/n, lanciandomi un’occhiata provocatoria. Forse in cuor suo sperava in un certo senso di ottenere una reazione scandalizzata, ma qui siamo tutti meno scontati di quanto si può immaginare.

Jihyo si volta verso di me e sbatte gli occhi ancora più divertita. «Oh, ma davvero? E cosa avete concluso?»

«Ancora niente. Eravamo solo agli inizi della discussione», le faccio presente.

«Sì, be’, temo di dovervi interrompere perché i signori Choi ci tenevano a salutarti. Stanno andando via», mi avverte. Cosa di cui mi sarei accorto anche da solo, se non mi fossi fatto prendere così tanto da Y/n. «Cara, credo che tu abbia del succo sopra il labbro», l’avverte subito dopo.

Y/n si passa una mano sul viso e cancella la piccola macchia che tanto mi aveva colpito. «Incidenti che con lo champagne non capitano mai», scherza.

«Vado a salutare i signori Choi un attimo», mi scuso allontanandomi e lasciando Y/n alle cure di Jihyo.

Al mio ritorno, dopo aver stretto la mano ad altre numerose persone, anche Taeyeon e la figlia stanno per lasciare la sala. «Reverendo, grazie di tutto, è stata una serata molto interessante», mi si rivolge Taeyeon riconoscente. Per me fin troppo, a voler essere sinceri.

«Ha visto, Taeyeon, non mangiamo le promesse spose», mi permetto una battuta.

Lei mi sorride. «Immaginavo, ma sa, padre, ho passato così tanti anni a sentirmi un pesce fuor d’acqua, che certi timori sono più forti di me. Le persone raramente fanno uno sforzo per accettare qualcuno diverso da loro».

Interessante riflessione. Mi chiedo quanto questo suo modo di vedere abbia indirettamente influito anche su Y/n. «Qui siamo tutti strani, se può farla sentire meglio. E lo intendo nel senso più positivo possibile. Alla prossima. Venga pure accompagnata, se Jin-young sarà ancora fuori», la invito.

«Oh, la prossima settimana sarà di nuovo a Seoul», mi rassicura.

Il mio primo pensiero è piuttosto imbarazzante da confessare: Che peccato. Deve essere una serata strana, questa.

«Y/n, è sempre un piacere», la saluto porgendole la mano.

Lei l’afferra e stringe con vigore. È un suo tratto distintivo questo voler sempre apparire forte. «Tu sei una persona molto strana», mi dice abbassando la voce in modo che solo io possa sentirla.

Annuisco con una certa soddisfazione. «Credo che lo prenderò come un complimento. Alla prossima».

«Non ci sarà una prossima volta», precisa con fin troppo ardore.

«Chissà…». In fin dei conti continuiamo a inciampare uno sull’altra.

«Fammi indovinare: le strade del signore sono infinite», mi prende in giro. La battuta è oggettivamente buona.

«Vedi? Lo ammetti anche tu». Una volta che siamo rimasti soli, Jihyo mi si avvicina per sistemare il tavolo del rinfresco.

«Posso dire qualcosa?», domanda con un tatto che non è da lei. In genere chiede e basta.

«Ovviamente», rispondo ridendo, perché so bene dove andrà a parare.

«Non fa per te», mi avverte incupendosi.

Non provo nemmeno a fingere di non capire di chi stia parlando. Anche perché tutte le altre donne presenti sono o in procinto di sposarsi o già sposate. «Non fa per me», le faccio eco.

«Però ti piace…».

«A me piacciono tutti», la rassicuro.

«Non così», insiste, seccata dal mio modo di fare. «Lei ti piace come donna».

«Anche perché sarebbe oggettivamente difficile farmela piacere come uomo…». Scherzare in questo momento è una potente arma di difesa e Jihyo, che mi conosce, lo comprende.

Sospira rassegnata. «E va bene, lasciamo perdere. Ma fai attenzione», si raccomanda.

«Conosci qualcuno più attento di me con le donne?»

«No. Ed è questo il problema. Ti ho sempre visto tenerle a una cortese distanza. Ti confesso: ci stavamo domandando se tu non fossi…».

Scoppio a ridere come un matto. «Attratto dagli uomini?».

L’espressione di Jihyo è quella di una donna colpevole. «Diciamo disinteressato alle donne, ecco…», cerca di salvarsi in qualche modo.

«Non lo sono, invece. Ma quando si è un reverendo, non ci si può permettere chissà quali errori, non trovi? Non posso mettermi a uscire con donne a caso, come fanno oggi quasi tutti. Ero in attesa di trovare una persona che davvero mi colpisse in un modo particolare».

«Hai parlato al passato», mi avverte Jihyo con volto cupo.

La osservo senza comprendere.

«Hai detto “ero in attesa”, come se ora non lo fossi più», sottolinea.

Per un attimo rimango di sasso. Ha ragione: ho sul serio parlato al passato. «È stato un piccolo lapsus: sono ancora in attesa. Ti sembra che stia uscendo con qualcuno?». Sempre appellarsi ai fatti, quando le parole iniziano a diventare troppo scivolose.

«No», ammette malvolentieri. «Ma ci stai pensando, sebbene non sia ancora pronto ad ammetterlo».

«Tu dici?»

«Dico che è ora di andare a dormire. Domani sarà una giornata piena. Tanto sono tutte giornate piene», ride di sé stessa. «Buonanotte, Hope, sogni d’oro ma non sognare donne poco adatte a te!», mi saluta.

Una volta che sono rientrato a casa, non avendo ancora sonno nonostante l’ora tarda, mi fermo un attimo in sala, dove avevo appoggiato il romanzo che tanto aveva fatto litigare i signori Choi. Lo rigiro tra le mani con una certa curiosità; la trama è molto breve, segno che non si vuole svelare troppo al lettore. È per puro caso che l’occhio mi cade sulla quarta di copertina in fondo al tomo, dove ci sono tre righe di biografia dell’autrice e la foto.

«Che mi venga un colpo!», pronuncio ad alta voce, nonostante non ci sia nessuno in casa. «Ciao, Y/n L., è un vero piacere. Vediamo un po’ cosa scrivi».

Non dirò a che ora sia poi andato a letto. Saperlo non aiuterebbe nessuno.

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