Capitolo 2
Y/N'S POV:
Il giorno seguente Lisa e io siamo d’accordo per pranzare insieme in un locale non molto distante dal ponte Mapo Bridge. Quando si lavora da casa è necessario di tanto in tanto vestirsi in modo decente e mettere il naso fuori, pena il serio rischio di trasformarsi nel nostro comune amico Seokjin. Che, ora che ci faccio caso, sarà anche eccentrico e con un gusto discutibile in fatto di abbigliamento, ma è riuscito comunque nell’impresa di trovare un esemplare maschile decente. Un pizzico giovane per i miei gusti, ma ben sopra la media dei tristi trentenni/quarantenni su cui sto inciampando. Forse il segreto della felicità sta nel portarsi a letto un ventenne, mi viene da ragionare.
Come al solito Lisa arriva di corsa da Nish Nush, ristorante senza pretese ma molto frequentato, specie dalla fauna fuggita da Yeongdeungpo per la pausa. Dopo essere uscita con più di qualche esemplare di homo finanziarius, posso affermare con assoluta certezza che la categoria è più fumo che sostanza: li vedi sempre su di giri, drogati di adrenalina e di vittorie, e dai per scontato che abbiano la stessa voglia di risultare i migliori anche tra le lenzuola e invece… sorpresa, vanno così di fretta che l’esperienza sarà piuttosto deludente.
La mia amica e io facciamo una capatina in questo locale quando abbiamo voglia di mangiare cibo israeliano/arabo e quando vogliamo prendere un po’ ispirazione dagli uomini in giacca e cravatta. Voglio dire, a distanza, senza doverci interagire, non sono poi così male…
Optiamo per i nostri falafel d’ordinanza e passiamo agli argomenti che ci stanno più a cuore: i libri e gli uomini. Per quel che mi riguarda in questo preciso ordine, ma ho il sospetto che per Lisa le cose siano in parte cambiate da quando fa coppia fissa con il signor premio Pulitzer Jeon Jungkook. Bell’uomo, ego spropositato: un sacco di lavoro, secondo il mio modesto parere. Mi ha sorpreso non poco che la mia amica si sia potuta innamorare di qualcuno di così contorto. Confesso, tuttavia, che mi paiono molto felici e quindi cerco di non esagerare con le critiche. Personalmente ritengo che scegliersi uno scrittore come compagno di vita, quando lo si è a propria volta, sia al limite della follia, ma in fin dei conti non ho verificato in prima persona. Ah, no, in effetti ci potrebbero essere accoppiate peggiori: per esempio, se una scrittrice di libri erotici si fidanzasse con un prete. Intendo, uno di quelli a cui è concesso sposarsi. Perché sarò anche estrema, ma non così tanto da voler ricreare Uccelli di rovo. Gli anni Ottanta sono solo un lontano ricordo. E a ragione: quelle terribili spalline enormi stavano di merda a tutti.
«Allora, cosa mi racconti?», mi domanda Lisa dopo che il cameriere ha ritirato i nostri menu. «Com’è andato l’appuntamento di ieri sera con il contabile?». Quasi intuendo l’esito della mia serata, ride prima ancora di aver sentito uscire dalla mia bocca il racconto delle mie tristi vicende. In effetti mi aveva avvertito che un contabile non sarebbe stata la giusta scelta per una come me. Era stata saggia, ma io ormai ero così disperata da aver voluto rischiare.
«Male, e tu lo sai…».
Sorride, probabilmente fiera di aver azzeccato la previsione. «Era solo esperienza personale: i contabili sono un grosso no, Y/n».
«Sì, sì… anch’io avevo dei seri dubbi. Ma questa città non pullula esattamente di esemplari interessanti…», mi lamento.
«Otto milioni di persone», mi ricorda crudele.
«Di cui quattro milioni uomini. Per quel che mi riguarda, quattro milioni di esemplari estremamente deludenti».
«Insomma, un fiasco totale. Sex appeal pari a zero?»
«Magari… molto sotto lo zero! Ormai sono arrivata al punto in cui considererei lo zero quasi accettabile. Voglio dire, uno zero non è il tipo d’uomo a cui salteresti mai addosso, ma che non troveresti repellente…». Avevo quasi deciso di non parlare a Lisa di Hoseok e della mia misera figura, dal momento che la confusione regna ancora sovrana su quell’episodio e la nottata non ha attutito la strana sensazione con cui sono tornata a casa, ma poi decido altrimenti e prendo coraggio per raccontarle del mio strano incontro. «A proposito, ho conosciuto una persona ieri sera».
Lisa solleva lo sguardo e mi scruta con attenzione. In effetti, non è il tipo di frase con cui sono solita esordire. «Un uomo? Mentre eri a un appuntamento con un altro?», ride.
«Lascia perdere il mio appuntamento ufficiale. È stato così poco degno di nota che non voglio sprecare nemmeno un minuto in più a disquisirne. Passiamo piuttosto a Hoseok».
«Bel nome», mi stuzzica.
«E anche bell’uomo. Mi pareva fosse sinceramente interessato, e per miracolo lo ero anch’io. Ero davvero, davvero interessata». Non ho motivo di mentire alla mia amica.
«E invece?», chiede Lisa curiosa.
«E invece pare che di questi tempi non sia più nemmeno in grado di intuire se un uomo prova un reale interesse perché, mentre eravamo seduti al bar e ho allungato una mano, a lui per poco non è venuto un colpo. Anzi, ora che ci penso, non posso escludere che non si sia verificato…».
La mia amica prima sgrana gli occhi e poi scoppia a ridere sonoramente. La sua risata è così spudorata che diverse persone si voltano per controllarci. Sì, sì, siamo solo due pazze che si divertono… «L’hai palpeggiato?», chiede conferma avvicinandosi e abbassando il tono della voce. La sua espressione è un misto di incredulità e diletto.
«Perché, non si fa con chi ti lancia certi segnali?», domando sulla difensiva.
«Be’, dipende dall’uomo, immagino…», mi risponde tornando diplomatica.
«Dici che sono stata troppo sfacciata? Il fatto è che si tratta di un test: non mi interessano uomini timorosi che non sanno stare al gioco. Non so cosa farmene di esemplari simili. Di certo non sarebbero in grado di reggere altro…», sentenzio cupa.
«Per altro intendi la tua carriera?», chiede conferma.
«Anche», è il massimo che sono disposta a confessare.
«Be’, se Hoseok non ha passato il tuo test e si è agitato…».
«Non solo, è arrossito! Pensavo non arrossisse più nessuno di questi tempi! Cielo, Lisa, era rosso come un peperone e imbarazzato all’inverosimile», sospiro ancora addolorata.
«Magari è solo timido», azzarda Lisa.
«Un trentenne di bell’aspetto a Seoul? E dove diavolo è stato negli ultimi anni? In seminario?», domando sarcastica.
«Ne dubito. In ogni caso, ti stavo facendo notare che stai sprecando parecchio tempo a pensare a un uomo che non ha nemmeno passato il tuo test». Lisa è una maestra a far sembrare fortuite frasi invece ben studiate. Grande stratega, la mia amica. Vorrei che mi insegnasse un po’ della sua arte.
«Dannazione, lo so…», concordo.
«Evidentemente era davvero un bel tipo».
«Sì, era intrigante senza sforzarsi affatto di sembrarlo. Spontaneo. Divertente. Insomma, prometteva davvero bene, e poi invece è andato in crisi perché l’ho toccato e ho parlato di sesso. Deve essere di qualche strana setta». È da ieri sera che ci rifletto e in tutta sincerità mi pare la spiegazione più plausibile.
«Quindi, ricapitolando, quelli che sono in grado di comprenderci sono gay. Quelli attraenti sono vuoti come botti dopo l’imbottigliamento. Quelli che sanno fare soldi non hanno la più pallida idea di come si faccia altro… Periodo di vacche magre…», riassume con il suo solito senso pratico.
«Magrissime, cara. Sono quasi arrivata a comprendere perché hai deciso di tenerti il signor Jeon. O perché Seokjin si sia messo a uscire con i ragazzini. È la mancanza di alternative. Uno è costretto ad accontentarsi».
Lisa ride ma segue con attenzione il mio discorso. «Che nel tuo caso avrebbe potuto essere questo misterioso Hoseok, se solo non l’avessi fatto scappare… Pentita?».
Il tarlo del dubbio non mi ha ancora abbandonato, a essere sinceri. In genere non mi pento mai di nulla. È una mia saggia regola di vita. Abbraccio anche i miei errori. Però… Hoseok… «Mmm, non lo so. Era davvero carino. Ma il sesso sarebbe stato comunque pessimo, non trovi? Voglio dire, uno che non regge nemmeno una mano… Mormone, decisamente».
«Nel qual caso, meglio perderlo che trovarlo», conclude Lisa proprio mentre il cameriere compare con il nostro pranzo. «Cambiando argomento, come vanno le cose? Uomini esclusi, sia chiaro».
«Discretamente. Si lavora, si pubblica, si va avanti. Devo cenare con mia madre questa sera, tra l’altro. Pare abbia delle “grandi novità”», le svelo. Confesso di attendere la cena con una certa curiosità; al telefono la voce di mia madre era elettrizzata come quella di una bambina. Ho voglia di scoprire cosa abbia generato tutto questo entusiasmo.
«Quando la gente di una certa età se ne esce con questa storia delle novità, io tocco ferro», mi avverte Lisa.
«Stiamo parlando di mia madre. Cosa vuoi che abbia da dirmi?»
«Oh, magari che ha incontrato un uomo e che si sposa», mi prende in giro la mia amica, che mi conosce ormai da anni ed è a conoscenza della storia della mia famiglia. I miei genitori hanno infatti un trascorso da hippie convinti: si sono conosciuti in una specie di ritiro per giovani di larghe vedute, si sono piaciuti, mia madre è rimasta incinta, hanno provato a vivere insieme per qualche anno e poi si sono separati in grande amicizia. Non avrebbero nemmeno dovuto provare a convivere, per quel che mi riguarda: sono due spiriti liberi che non amano i legami tradizionali. Da allora entrambi hanno avuto vari partner; mia madre molti più di mio padre, se vogliamo essere sinceri. Lui si è sistemato qualche anno fa con una deliziosa signora di nome Jennie e vive felicemente in mezzo alla natura di Jeju, sull’estremità est dell’isola, nei pressi del lago Paengnoktam. È abbastanza lontano dalla città da potermi vedere senza problemi, è stata fortunata che questa settimana non avevo impegni, ed è anche abbastanza lontano dal caos metropolitano da considerarsi fedele al suo ideale di vita bucolica almeno. Se fossi una figlia migliore andrei a trovare mio padre con maggiore costanza, ma la realtà è che lo faccio molto raramente, e non solo perché non nutra grande amore per il suo hobby numero uno: la pesca. Mi pare sempre di soffocare un po’, quando sono troppo immersa nella natura.
Mia madre, invece, è sempre stata più simile a me: vivace, cittadina, femminista, antimatrimonialista e con una visione piuttosto disillusa dei rapporti tra uomini e donne. Qualche mio fidanzato di gioventù era arrivato ad accusarmi di comportarmi in un certo modo solo per spirito di emulazione nei suoi confronti, ma aveva torto marcio: mia madre e io ci comprendiamo alla perfezione. E siccome il sangue non è acqua, non ci trovo nulla di strano nel condividere le stesse idee.
«Ho pochissime certezze nella vita, ma una di queste è che mia madre non si sposerà mai. Sarebbe come se un vegano estremista si presentasse a un pranzo e pretendesse che gli servissero la tartarre».
«Te lo concedo, improbabile ma non impossibile».
«Uno statistico ti direbbe che improbabile e impossibile coincidono».
La mia amica scoppia a ridere. «Ah già, sei uscita anche con la massima eminenza in fatto di statistica…».
«Cielo, che essere umano noioso… Non farmici pensare. Non faceva che spiegarmi teoremi su teoremi…», ricordo rabbrividendo.
«Perché voleva elevarti», mi prende in giro Lisa.
«Come ho detto anche a lui alla fine di quella cena pietosa, le mie conoscenze in campo matematico o statistico che dir si voglia sono quasi pari allo zero non perché io non ci arrivi, ma per scelta. La mia è stata una decisione attenta, ponderata e molto, molto saggia».
«Come darti torto…», ride.
«E poi non credo sia necessario scomodare il calcolo delle probabilità: mia madre non è come te», la punzecchio tutt’altro che a caso.
Lisa mi scruta sospettosa dall’altra parte del tavolo. «Ovvero? Cosa vuoi dire?»
«Semplicemente che lei rimarrà fedele alle sue convinzioni di sempre. Non come qualcuno di mia conoscenza che sta completamente cambiando idea sul tema del matrimonio, ora che si è innamorata…».
Lisa reagisce bene all’accusa per nulla velata e scoppia a ridere. «Y/n, non sono mai stata a priori né pro né contro l’istituzione matrimoniale. Non mi precludo alcuna possibilità e non corro a l’abito bianco. Vivo. È la cosa importante, no?»
«Ovvio. Niente rimpianti. Tuttavia, esistono persone che semplicemente non sono fatte per vivere dentro gabbie. Mia madre e io, per esempio».
Lisa scuote la testa, benevola. «Io non so davvero cosa augurarti. O forse sì: di non farti troppo male quando cadrai dall’alta torre delle tue certezze. Perché, se l’esperienza mi ha insegnato qualcosa, è che si dice “fino a prova contraria” per un motivo ben preciso».
«Lisa, mia madre non si sposerà…». E con questo torniamo a concentrarci sul nostro cibo.
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I
l locale dove mi ha dato appuntamento mia madre è sospettosamente elegante. Azzarderei persino “tradizionalista”, parola che in genere evitiamo entrambe come la peste, e per motivi validi. Pareti di legno scuro, divanetti di un marrone caffellatte che avrebbe potuto tranquillamente essere banale e invece non lo è affatto, cuscini scozzesi, dipinti e fotografie di gente che gioca a polo, come forse ci si potrebbe anche aspettare da un posto che in un guizzo di genio e sregolatezza hanno deciso di chiamare “Polo Bar”. Di bar ha ben poco, intendiamoci. È uno di quei posti da puzza sotto il naso dove la gente di un certo livello finge di risultare alla mano. In poche parole, uno degli ultimi posti al mondo dove mi sarei aspettata di cenare con mia madre.
«Allora, cosa te ne pare?», mi chiede nervosa, dopo che ci hanno fatto accomodare a un ineccepibile tavolo coperto da una tovaglia di un biancore esagerato. A saperlo mi sarei portata gli occhiali da sole.
«Be’, è…». Rimango bloccata, indecisa su quale aggettivo usare per l’occasione inconsueta. Mi guardo intorno per la millesima volta, focalizzando la mia attenzione sull’enorme dipinto di un cavallo. «…è particolare…». Non sono riuscita a sforzarmi più di tanto, temo.
Mia madre sospira. «Lo so, non è esattamente il tuo genere».
La osservo incredula. «A dire il vero pensavo non fosse il nostro genere…».
La sua espressione colpevole compare e scompare nel giro di mezzo secondo. «Nell’ultimo periodo i miei gusti sono in parte mutati», mi anticipa facendo segno al cameriere. Non credo che abbia fame; temo invece che abbia bisogno quanto prima di un drink. «Cortesemente, mi può portare un Martini? Tu cosa prendi, Y/n?», mi si rivolge come se nulla fosse.
Un Martini? Mia madre ha sul serio ordinato un Martini? Eravamo solite deridere la gente che beveva simili atrocità fingendo di emulare James Bond. Cosa diavolo sta succedendo questa sera, di preciso?
La mia risposta è ironica solo in parte. «Sono quasi tentata di ordinare una bottiglia di whisky. Ho la vaga impressione che ne avrò bisogno…». Quando né il cameriere né mia madre paiono prendermi sul serio, mi rassegno alla versione edulcorata. «Un whisky con ghiaccio. Doppio, grazie». Il cameriere annuisce e si allontana rapidamente. «Quindi, dicevamo… Come mai siamo qui?», domando passando dalla modalità sospettosa a quella pienamente allarmata.
Se il nervosismo avesse un’espressione, sarebbe proprio quella di mia madre. «Noi due siamo solite mangiare insieme di tanto in tanto», ribatte sulla difensiva.
«Certo. Ma non sorseggiando drink improponibili in posti dove persino la carta igienica sarà firmata».
Deglutisce sonoramente, come se ora fosse piuttosto esasperata dal mio modo di fare. Certo, è irritata ma non davvero sorpresa, avendomi educato a non fingere. «Non andare in bagno, se è questo il problema», non resiste dal rispondermi per le rime.
«Immagino il tutto dipenda da quanto sarò costretta a bere per sopravvivere. Cosa mi devi dire, mamma?», le domando senza perdere tempo.
«Niente, se andrai avanti con questo atteggiamento».
«Quale atteggiamento?»
«Prevenuto. Hai visto due quadri e osservato un menu e sei già pronta a sparare sentenze», mi accusa.
Oh, vuoi vedere che ora sono io dalla parte del torto? «Posto che i quadri non sono esattamente due, ma almeno un centinaio, non capisco a che gioco stiamo giocando. Lo so io e lo sai anche tu che questo non è il nostro ambiente».
«E invece ora lo è. Il mio, intendo».
Per un lungo momento nessuna delle due osa più aggiungere nulla. Lei mi scruta da sotto quelle ciglia che non ricordavo fossero mai state tanto appesantite dal mascara. Anche la sua acconciatura è anomala, ora che ci faccio caso: boccolosa, vistosa, molto da signora dell’alta società. Il mio sguardo si sposta sulla sua mano sinistra, tenuta sempre in qualche modo nascosta. Sto iniziando a sospettare quello che vi scoprirò, una volta che troverà il coraggio di mostrarmela.
«Ti ascolto», le dico semplicemente, dopo che entrambe abbiamo avuto modo di dare un importante sorso ai nostri rispettivi drink.
«Ho conosciuto un uomo qualche mese fa».
«E fin qui niente di strano…».
«Ci stiamo frequentando».
«Buon per te».
No, non ho la minima intenzione di renderle tutto questo facile. Più passano i minuti e più mi sento tradita, in qualche modo.
«Mi ha chiesto di sposarlo», confessa alla fine, dopo aver quasi svuotato il suo bicchiere.
A questo punto ero preparata al peggio, ma è comunque un pugno allo stomaco. «E tu gli hai detto di sì», desumo dal suo sguardo colpevole. Oh, lo sa bene che sta venendo meno a trent’anni di insegnamenti, di lotte comuni e risate alle spalle delle classiche mogli metropolitane. Lo sa, eppure ha comunque risposto positivamente.
Mia madre è una bellissima donna; a sessantadue anni, ne dimostra sicuramente una decina di meno ed è quello che ognuna di noi vorrebbe diventare invecchiando: ha spirito, bella presenza e carattere da vendere. Francamente non mi immaginavo che un uomo sarebbe mai riuscito a corromperla. E a proposito di questo esemplare maschile…
«Di chi si tratta?», le chiedo rassegnata.
«Oh, Jin-young!», esclama subito gioiosa. Sì, il suo volto è subito mutato e la cosa non mi è sfuggita. «Park Jin-young. Ha qualche anno in più di me, è divorziato da oltre dieci anni e ha due figli più o meno della tua età: uno vive a Londra e l’altro a Shanghai».
All’improvviso anch’io sono tentata di emigrare in lidi lontani. «E come vi siete conosciuti?»
«A una mostra, che tu possa crederci o meno. Io fissavo un quadro al MoMA e lui fissava me». Si sforza di non scoppiare a ridere, ma fallisce del tutto l’obiettivo.
Cielo, che triste cliché… «Mmm», è tutto quello che riesco a commentare.
«Abbiamo iniziato a parlare. Era simpatico, alla mano e terribilmente affascinante…», sospira con quell’aria vagamente sognante che io ritengo non doni mai a nessuno.
«Be’, il mondo è pieno di uomini affascinanti. Non per questo hai mai sentito l’esigenza di sposarne uno». Sì, ok, non ho proprio resistito…
Mia madre mi osserva con quella classica espressione che i genitori spesso usano con i figli, invocando chissà quale pazienza. «No, Y/n, il mondo non è affatto così tanto pieno di gente affascinante. E se anche lo fosse, a me ha colpito Jin-young. Lo so che questa storia può sembrarti un tantino repentina…».
«Assolutamente», non mi faccio problemi a confermarle mentre sorseggio il whisky, lottando contro l’impulso di mandarlo tutto giù in un sorso.
«…ma non lo è. Ci ho riflettuto a lungo prima di dirgli di sì».
«Quanto?», non perdo tempo a domandarle.
«Scusami?»
«Quanto ci hai riflettuto? Un giorno, due, una settimana? La tua definizione di “lungo periodo” potrebbe non coincidere con la mia».
«Y/n…», sospira di nuovo. Ogni volta è sempre peggio. «Non essere così…».
«Così come? Ragionevole?»
«La mia decisione non è un torto verso di te», rimarca.
Per carità, avrà anche ragione, ma si dà il caso che ce l’ho anch’io. E da vendere. «Facciamo un passo indietro. Ipotizziamo per un secondo che oggi io ti avessi convocato qui per dirti che mi sposavo. Tu come l’avresti presa?»
«Con sorpresa, ovvio. Ma sarei stata comunque felice per te».
Ah, il meraviglioso mondo dei sensi di colpa… «Mamma…».
«Avrei cercato di capire!», insiste, insinuando ovviamente che io ora non lo stia facendo.
Mi abbandono contro lo schienale e incrocio le braccia. «Ok, vediamo di capire».
«Y/n, mi rendo conto che la mia possa sembrare una pazzia. Specie alla mia età. Un primo matrimonio dopo i sessanta, no? Ma Jin-young è una brava persona, insieme ci troviamo meravigliosamente e io non ho voglia di invecchiare da sola. Sai benissimo che credo poco nel concetto di contratto matrimoniale, ma Jin-young ci tiene. E io tengo a lui. Perciò lo sposo. Per dargli quel segnale che mi chiede. A me non cambia, ma a lui sì».
Mi spiace ammetterlo, ma il suo discorso è sensato. I matrimoni al giorno d’oggi non sono di certo per sempre. Metà finisce in divorzio, numeri alla mano. Anche tra quelli che decidono di fare il grande passo, quindi, pochi riescono poi ad attendere insieme il “per sempre”. Li capisco, è un lasso di tempo discretamente lungo. A me mette una certa ansia la sola idea. Tuttavia, se mia madre ha incontrato una persona che reputa speciale per cui ha voglia di fare questo gesto estremo, che sia. In fin dei conti non è una ragazzina e si presume sappia quello che sta facendo.
«Ok», le dico solo dopo essermi presa tutto il tempo necessario per ragionare.
«Davvero?», chiede speranzosa.
«Certo. Lo sposi tu, mica io. Se a te va bene, vedrò di mandare giù il rospo». Non molto romantica come immagine, ma è il meglio che sono riuscita a fare, date le premesse.
«Ottimo! Anche perché avrei un grosso piacere da chiederti…».
Mi irrigidisco sulla sedia. Cos’altro c’è ancora?
«Verresti sabato prossimo a pranzo a casa di Jin-young?», mi supplica.
Ero talmente preparata al peggio che rimango sinceramente sconcertata scoprendo che si tratta di qualcosa di così banale. «Un pranzo organizzato per le presentazioni ufficiali? Ma certo, nessun problema». Conosco le regole del vivere sociale, cosa crede.
«Promettimi che sarai gentile», mi pressa.
«Mamma, io sono sempre gentile!», ribatto risentita.
Lei mi scruta per nulla convinta. «No, non lo sei, e te lo dico con il massimo affetto. Sai essere diretta fino all’eccesso».
«Scusami? E da quando essere sinceri è considerato maleducato?»
«Non fraintendere il significato delle mie parole. Lo sai anche tu che c’è modo e modo di dire le cose. Il tuo è solitamente… provocatorio», sottolinea.
«E di chi sarebbe la colpa, sentiamo un po’?»
«Sì, sì, lo so che ti ho cresciuta in un modo molto aperto…».
«Appunto».
«E non lo sto rinnegando. Ti sto solo supplicando di essere carina. Per una volta. E magari morderti la lingua quando ti rendi conto di voler essere sarcastica», azzarda.
E poi osa dirmi di non essere cambiata.
«Altre indicazioni da seguire?». Sì, sono sarcastica. Non mi ha mica detto di iniziare da questa sera!
La vedo in dubbio se aggiungere qualcos’altro o rimanere in silenzio. Alla fine sceglie la seconda opzione, lasciandomi sinceramente curiosa riguardo a quello che le sta passando per la testa. A questo punto potrebbe essere qualsiasi cosa.
«Dai, ordiniamo da mangiare. La caesar salad qui è deliziosa», mi suggerisce nella speranza di stemperare la tensione, ancora ben presente tra di noi.
Cielo, persino la caesar salad…
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La settimana successiva ho avuto se non altro il tempo di interiorizzare l’idea che mia madre abbia detto di sì a un tale Park Jin-young, anni sessantotto, classico consulente in settori economici di cui non capisco nulla, e patrimonio di tutto rispetto, a giudicare dall’ingresso del suo appartamento nella JYP. Ora, non ho nulla contro la gente borghese – loro la vita, loro gli appartamenti tutti uguali – ma l’idea che mia madre possa all’improvviso passare sopra un’infinità di cose che ha deriso fino al giorno prima mi sta creando un’ansia indicibile.
Perché, se è impazzita lei, potrebbe succedere anche a me. Potrei andare a una mostra qualsiasi, intenta a osservare il quadro più banale al mondo, e ritrovarmi oggetto delle attenzioni di un banale uomo affascinante, con il suo lavoro banale, la sua vita banale, e la sua banale proposta di matrimonio. E, sorpresa delle sorprese, potrei persino pronunciare un banalissimo sì.
Prima di questo evento apocalittico lo avrei ritenuto impossibile, ma ormai non è più così. Improbabile ma non impossibile.
La casa è deliziosa, per carità: niente grattacielo imponente con classico portiere onnipresente, ma solo un elegante citofono. Sei famiglie in tutto, con i cognomi stampati in modo chiaro. Premo quello con scritto “P. Jin-young”. Lo scatto quasi immediato del portone significa che mi stanno aspettando. D’altronde, mia madre mi ha dato istruzioni ben precise. Secondo piano, appartamento sulla destra. È presente un piccolo ascensore ma io decido di salire a piedi. Sono solo pochi scalini e non ho comunque fretta. Anzi, a mano a mano che salgo, il mio campanello d’allarme interiore si ode sempre più forte. In effetti, vista la mia reazione del tutto fuori misura, mia madre potrebbe avere in parte ragione nel definirmi prevenuta. Lo sono e non riesco a fingere altrimenti. E non posso nemmeno farne una colpa al signor Park Jin-young: in fin dei conti non è stato lui a deludermi, rimangiandosi tutto quello che mi ha insegnato.
Mia madre e il suo fidanzato – cielo, che impressione anche solo pensare alla parola – mi attendono sorridenti in cima alla scalinata. Lui è esattamente come me lo sarei aspettato: elegante, di bella presenza e con un gran sorriso. Mia madre e io abbiamo avuto sempre questo grosso punto debole, temo. Cadiamo come pere cotte quando gli uomini sono capaci di sorrisi sinceri.
«Y/n, carissima», mi saluta baciandomi sulla guancia. «Non hai idea di quale piacere sia incontrarti, finalmente».
Be’, non posso ripetere la stessa cosa se non altro perché prima di una settimana fa ignoravo del tutto la sua esistenza. Scelgo invece di ricambiare il sorriso. Non è facile, sia chiaro. «Anch’io ero curiosa di conoscere l’uomo che ha rubato il cuore di mia madre», è la mia versione diplomatica.
«Accomodati. Prego, di qua…», mi fanno segno.
La prima impressione viene confermata: la casa è deliziosa anche all’interno; Jin-young ha stile e soldi. Accoppiata rara, ahimè, e per questo in qualche modo degna di nota. Il mix di stili è presente ma armonico, pezzi di arte africana e asiatica mischiati con maestria con un arredamento moderno ma non freddo. Faccio fatica a credere che sia farina del suo sacco. Avrà di certo sguinzagliato il suo arredatore per mettere insieme la collezione. Di nuovo, non ho nulla contro quest’ultima categoria professionale, ma non avevo mai pensato che mia madre un giorno potesse arrivare a vivere in una casa arredata da professionisti del settore.
Come se fosse in qualche modo in grado di leggere nella mia mente, la mia genitrice mi tiene d’occhio in modo quasi ossessivo, temendo chissà quale mia uscita infelice. Spero che la mia espressione sia sufficientemente rassicurante, perché sono qui con le migliori intenzioni. D’altronde – cosa che mi sto ripetendo come un mantra da giorni – lo deve sposare lei, mica io.
«Mi sarebbe molto piaciuto poterti presentare anche i miei figli, ma uno è in Europa e l’altro non è riuscito proprio a venire, perciò dovremo attendere il matrimonio», si scusa Jin-young.
«C’è già una data?», mi informo con sorprendente calma. Una parte di me è ancora convinta che mia madre a un certo punto scoppierà a ridere e mi prenderà in giro per aver creduto a tutta questa storia.
«No, ma ne stiamo appunto discutendo. Anzi, potresti darci una mano a sceglierla in maniera definitiva questa sera. Quando arriverà il nostro ospite», mi risponde mia madre.
Solo in quel momento mi rendo conto che il tavolo della sala è apparecchiato per quattro. Ecco, se proprio devo trovare un difetto al signor Park, direi che il suo servizio di piatti è eccessivo, con quel bordo in finto oro e i bicchieri di cristallo ricercato. Provo della sottile soddisfazione nello scoprire qualcosa che non sia esattamente di mio gusto. Tutta questa perfezione mi stava soffocando.
Il momento da famiglia felice viene per fortuna interrotto dal suono del citofono. Jin-young si allontana per andare ad aprire, lasciando così me e mia madre da sole per qualche momento. In tutta sincerità mi pare ancora nervosa.
«Altro che dovrei sapere?», domando sospettosa.
Lei arrossisce e apre la bocca. «Ecco…».
«Mamma?», la incalzo preoccupata. Per fortuna siamo fuori età massima per altre sorpresone del tipo “presto avrai un fratello o una sorella”.
Abbassa nervosa lo sguardo, facendo roteare diverse volte il suo anello. «Jin-young ci tiene a queste cose e quindi…».
Non fa in tempo a finire la frase che l’adorabile fidanzato fa ritorno con il suo ospite. Per qualche strana ragione inizio a osservarlo partendo dai piedi: scarpe nere, pantaloni neri, giacca nera, camicia azzurra con uno strano colletto. Ora, sarò anche fusa, ma direi che è un prete. Un prete con una faccia sospettosamente familiare… Assomiglia infatti in maniera sorprendente a Hoseok, il tizio che ho palpato giusto qualche giorno fa al pub.
Il respiro mi si mozza nel preciso istante in cui anche dal suo volto capisco che mi ha riconosciuto.
È uno scherzo, vero?
«Ah, quando si dice il caso…», commenta. «Ciao, Y/n», mi saluta l’ultimo arrivato come se nulla fosse. In effetti mi pare lievemente arrossito, ma il tono della voce è normale e perfettamente controllato.
«Merda…», mi sfugge invece a voce abbastanza alta da poter essere udita da tutti. Mia madre sgrana gli occhi, il suo fidanzato spalanca la mascella. Sì, in effetti non era la parola migliore con cui esordire sulla scena.
«Y/n!», mi riprende lei come se fossi ancora una bambina.
La comprendo, dico davvero, ma lei non sa. E grazie al cielo che ignora certi particolari… «Ehm, scusatemi un secondo solo. Bagno?», chiedo a Jin-young, che mi indica con la mano la porta a poca distanza.
«Arrivo subito. Subitissimo. Dico davvero», cerco di rassicurare tutti, ma è evidente che sto mentendo.
Non sono affatto certa di voler uscire dal bagno. L’opzione di gettarmi dalla finestra mi sembra sempre più allettante di secondo in secondo. E poco importa se questo è un secondo piano tutto sommato alto. Se non fosse che… «Merda, bagno cieco», mormoro sospirando dopo averci messo piede ed essermi chiusa a chiave. Ma cosa ne è stato dell’amore per la luce naturale? Eh?
Mi accascio per terra ed emetto un sospiro profondo. Ok, è tutto ok, cerco disperatamente di convincermi. Peccato esistano dei limiti quando si tratta di non voler affrontare la cupa realtà.
Merda, merda, merda… ho davvero molestato un prete?
Voglio dire, ho compiuto azioni piuttosto discutibili in trentacinque anni di vita, ma finora ero riuscita a evitare gesti capaci di scatenare la furia divina. Questo, ovviamente, fino all’altro giorno…
Estraggo il cellulare dalla tasca dei miei pantaloni e chiamo con mano tremante Lisa, che per fortuna mi risponde al primo squillo. «Ti ricordi Hoseok, quello che ho palpeggiato al bar?», le chiedo senza alcuna introduzione. Uno dei vantaggi di un’amicizia forgiata dalle rispettive cattive decisioni. Mmm, più mie che sue, in effetti. Ma la sostanza non cambia.
Se il mio comportamento le pare fuori di testa, è gentile a sufficienza da non farmelo notare. «Certo, quello che ti piaceva tanto e con cui speravi di tornare insieme a casa quella sera», ricorda.
«Sì, lui. Ti informo che l’ho appena rincontrato a casa del fidanzato di mia madre e ho risolto il mistero. Ho compreso il perché della sua reazione quella sera».
«Alla fine è gay e mentiva?», prova a supporre.
«Magari. Dico davvero, magari… No, è un prete», le confesso non senza fatica.
Per qualche istante dall’altra parte del telefono non si ode più niente. «Eh? Scusami?», chiede dopo aver elaborato la notizia.
«Hai capito bene. È un prete!». Segue una mia risata, isterica ma motivata.
«Prete di che tipo? Cattolico? Evangelico?»
«Perché, cambia qualcosa? Per l’amor del cielo, Lisa, ti ho appena confessato che ho palpeggiato uno stramaledetto prete l’altra sera al bar e tu mi chiedi il suo credo!».
«Certo che cambia! I preti cattolici praticano l’astinenza mentre quelli evangelici e protestanti si sposano», mi fa notare, razionale come suo solito. Come vorrei poterlo essere a mia volta.
Lascio perdere la questione perché non mi pare sia granché interessante. «Non lo so, e comunque non farebbe una grande differenza. Nel caso non ti fosse chiaro a sufficienza, ho messo le mani addosso a un prete. Questo, persino per me, è un tantino estremo».
«Oh, abbiamo finalmente trovato qualcosa che sia da ritenersi oltraggioso per Y/n», ride la mia amica. «Abbiamo dovuto faticare, ma alla fine ci siamo riusciti», mi prende in giro.
«Ah ah ah… molto spiritosa… Più che altro, sono autorizzati a girare con abiti civili? Non dovrebbero in qualche modo farsi riconoscere?». È mia ferrea intenzione scaricare il più possibile la colpa su di lui, sia chiaro.
«Del tipo, una tavoletta appesa al collo con scritto “sono un prete, non saltatemi addosso”?», domanda sarcastica.
In altri momenti le avrei risposto per le rime, ma non oggi. «Perché no?»
«Lasciamo perdere, va’… Quindi, qual è il tuo piano? A proposito, da dove mi stai chiamando?»
«Dal bagno», le confesso abbassando la voce.
«Sei fuggita e ti sei chiusa in bagno?», ripete incredula, scoppiando a ridere. «Ma, Y/n!».
«Lo so, lo so… non c’è bisogno che tu me lo dica…».
«E invece lo faccio lo stesso. Cosa hai intenzione di fare, rimanere nascosta lì dentro per tutta la cena?»
«Dici che si accorgerebbero della mia assenza a tavola?», domando con un filo di speranza.
«In quanti siete?»
«Quattro?». Non ho la più pallida idea del perché le abbia risposto con tono interrogativo. Forse perché spero che quel quattro si trasformi in tre.
«Allora mi sento di confermare l’eventualità».
«Dannazione…», mormoro tra i denti.
«Altri piani geniali?», domanda ironica.
«Mi sarei calata dalla finestra, se non fosse che…».
«Non c’è una finestra», intuisce Lisa, perspicace come suo solito.
«Maledizione, no».
«Ora, ti sembrerà sciocco, ma ho un solo suggerimento da darti a questo punto…».
«Uscire da qui e correre di gran carriera fino alla porta d’ingresso?», domando con ritrovato spirito. In effetti, la nuova idea non è affatto male, ora che ci penso.
«No, scema. Uscire e affrontare Hoseok. Ti ha riconosciuto?».
Mi sfugge una risata. «Perché, dici che gli capitano spesso incontri simili?»
«Propenderei per una risposta negativa, ma cosa ne so io della scena degli appuntamenti coreani…».
«Sì, mi ha riconosciuto!», borbotto per tagliare corto.
«E, pensa, non si è chiuso in bagno…», mi punzecchia.
«Cosa ne sai, magari avrebbe voluto, ma io l’ho banalmente preceduto», azzardo.
«Ti è parso nervoso a tal punto?», chiede.
Questa risposta mi pesa non poco. Non amo essere in difetto, specie paragonata agli uomini. «No, se vuoi proprio saperlo, non mi è parso granché turbato dal rivedermi».
«Vedi? Qualcuno sano di mente. Esci da lì e raggiungi gli altri, per l’amor del cielo».
«Non nominiamo il cielo, se non ti dispiace».
«Perché, temi che dall’alto stiano per scagliare un fulmine capace di incenerirti, ora che hai scoperto di aver provato a flirtare con uno dei loro?», ride.
«Crudele. Sei terribilmente crudele. Avrei dovuto chiamare Seokjin, piuttosto», mi lamento.
«Che ti avrebbe parlato per ore di quanto il vostro incontro sia un segno del destino e di come tu sia pronta per il grande amore», si fa beffe di me.
«Uhm, sì, hai proprio ragione», non posso che convenire rabbrividendo.
«Quindi, sono riuscita nella difficilissima impresa di convincerti a uscire di lì?»
«Quasi. Ma sto ancora valutando opzioni alternative», le confesso mogia.
«Forza, vai a fronteggiare il drago», mi invita con vigore.
«Io sono il drago», le ricordo. «Pare che assalti uomini virtuosi».
«Chiamami cinica, ma non vedo tutta questa virtù in giro», mi fa presente. E non senza ragione.
«Sì, ma quanto sei pronta a scommettere che sono riuscita a mettere le mani addosso all’unico rimasto?». Sarebbe molto da me, sebbene Lisa non lo dica apertamente.
«Esci e scoprilo. Non dirmi che una parte di te non è curiosa…».
La verità? Sì, panico a parte, a dire il vero lo sono. «E va bene. Vado in battaglia».
«Brava! Così ti voglio», esclama finalmente soddisfatta. «E chiamami dopo. Voglio sapere tutto».
«Ti chiamerò, ma spero davvero di non avere molto da raccontarti».
«Quando si dice, la speranza è l’ultima a morire», ride prima di riagganciare.
A me non rimane altro che tirare lo sciacquone – sì, fingerò di aver avuto un attacco di mal di pancia – e poi mi decido ad aprire la porta.
Che Dio me la mandi buona. Ma non in senso troppo letterale, eh…
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